Il Principe di Machiavelli ha 500 anni esatti. E, a dire il vero, non li dimostra affatto. Così come non li dimostra il Segretario fiorentino. Non solo perché, come classico, continua ad essere studiato e commentato in tutto il mondo. Ma perché, come poche altri autori, riesce ancora oggi a dividere e a generare interpretazioni persino antitetiche. Il fatto è che Machiavelli è un autore complesso e per capirlo, o almeno avvicinarsi ad una possibile comprensione del suo pensiero, bisogna tener presenti mille fili diversi e non facilmente riducibili. Almeno questa è la convinzione che si è fatta in tanti anni di studio dell’opera machiavelliana Gennaro Sasso, a cui è sta fra l’altro affidata da poco dalla Treccani la direzione (insieme a Giorgio Inglese) di un lessico machiavelliano in due tomi che uscirà fra un paio di anni con la collaborazione di numerosi esperti e studiosi. A Sasso, che siamo andati a trovare nella sua casa-biblioteca romana, chiediamo prima di tutto qual è il senso dell’interpretazione che egli dà di Machiavelli “A differenza di quello che si faceva nel passato e di quello che si continua a fare oggi, io credo -ci dice- che Machiavelli non vada studiato dal punto di vista della scienza politica”. Cioè, possiamo dire, all’interno di una disciplina che ha sue categorie, i suoi concetti, i suoi temi e metodi ben delineati e un progresso storico di elaborazione.
In che modo allora, Professore, va secondo lei studiato?
“Io metterei in luce tre elementi. In prima istanza, bisogna considerare che egli ha pensato concretamente la politica a partire dalle circostanze storiche che viveva. E all’interno di una concezione generale della storia del mondo, dalla Repubblica romana alla decadenza dell’Impero e oltre, fino ai suoi tempi. La sua interpretazione si fonda sull’ideale forte della Repubblica e sulla convinzione della decadenza dell’Occidente. Nei miei studi ho tenuto sempre presente la complessità di un quadro che deve tener conto sia della storia sia della filosofia, delle idee dell’uomo così come delle circostanze storiche e biografiche da lui vissute”
E il secondo elemento?
“La sua importanza è meno evidente, ma è fondamentale. Il pensiero di Machiavelli è nettamente e chiaramente anticristiano. L’anticristianesimo è una componente imprescindibile del suo mondo. Esso è stato colto dal gesuitismo, dalla chiesa cattolica, dai primi interpreti, ma mai considerato fino in fondo e per quello che era dai laici. Per Machiavelli, il cristianesimo è stato una delle ragioni della rovina del mondo antico, con la sua concezione della storia effeminata, imbelle, vittimistica, figlia degli avversari dell’Occidente. Nei Discorsi l’anticristianesimo si precisa filosoficamente con la riproposizione del tema dell’eternità del mondo di derivazione averroistica. Il mondo non è assolutamente creato da Dio, ma è a sé autosufficiente, è causa sui. In Machiavelli è forte la presenza di Lucrezio, col suo poema che è un inno alla natura, alla sua potenza del tutto estranea alle passioni umane ”
E il terzo punto?
“Bisogna infine considerare che Machiavelli è un pensatore della decadenza. E’ questo il problema che ha sempre presente e, nel suo orizzonte, colloca ogni questione filosofica o politica”.
Machiavelli ha avuto da subito una grande fortuna…
“Sì, tanto che direi che l’intelligenza effettiva del suo pensiero si è realizzata in tanti e diversi spunti interpretativi. Chi è andato pù a fondo e lo ha letto più attentamente è stato secondo me Spinoza. Ma anche il Machiavelli ateo di Hobbes, che si ricollega direttamente a Lucrezio, è interessante. La presenza poi del pensiero di Machiavelli in Vico è stata posta da Croce nel senso di un inveramento filosofico che la Scienza nuova realizzerebbe di esso”
Ma l’interpretazione di Croce mi sembrerebbe non la soddisfi del tutto?
“L’idea della scoperta dell’autonomia del politico realizzata da Machiavelli ha un significato nella filosoifia crociana, che si poneva il problema di un’etica che non fosse un semplice conato moralistico. Quella era un’alta pedagogia storiografica”
Su Machiavelli c’è ancora tanto da dire?
“Certamente. Un grande problema degli studi machiavelliani è, ad esempio, a mio avviso, che non sappiamo cosa sia effettivamente accaduto nella sua storia personale prima del suo ingresso in cancelleria. Sicuramente qualcosa di molto importante: non si spiegherebbe altrimenti il fatto che egli vi entri con un grado alto, come responsabile della seconda cancelleria, cioè in pratica della politica estera”
Professore, che giudizio dà della lettura di Machiavelli all’interno del paradigma del repubblicanesimo, cioè dell’ interpretazione che negli ultimi anni ha avuto maggior successo, soprattutto all’estero?
“Nonostante essa sia stata fatta propria da studiosi anche insigni, penso ad esempio a Quentin Skinner, mi sembra che essa non colga la vera essenza del pensiero di Machiavelli. L’idea di una ‘religione civile’ estraibile dalle sue opere mi sembra in sostanza un modo di addolcire sia il carattere conflittualistico che egli ha della politica e della società sia la sua convinzione che ci è dato vivere in un periodo di decadenza”
“Il Principe” di Machiavelli http://www.youtube.com/watch?v=jH4MQzefLP0
Il criterio del vivere libero e la teoria del giudizio prospettico, di Giuseppe Brescia.Nelle ‘Istorie fiorentine’ II, 34, ‘uno dei Signori’ si volge al duca in una elevata perorazione: ‘Voi cercate fare serva una città la quale è sempre vivuta libera: perché la signoria che noi concedemmo già ai reali di Napoli fu compagnia e non servitù.Avete voi considerato quanto in una città simile a questa importi e quanto sia gagliardo il nome della libertà, il quale forza alcuna non doma, tempo alcuno non consuma e merito alcuno non contrappesa?..Quali opere volete voi che sieno le vostre che contrappesino alla dolcezza del vivere libero o che faccino mancare gli uomini del desiderio delle presenti condizioni ?” Sì che il sogno o desiderio della “dolcezza”, “criterio” di “vivere libero”, mi pare debba cogliersi nella attuale congiuntura ermeneutica ed etico -politica. In fondo, tale criterio ricopre quel travaglio interiore del “Principe”, quella “dialettica delle passioni” ( per dirla col Parente citato anche dal Sasso nel suo volume “Benedetto Croce.La ricerca della dialettica”), che rintracciai in “Machiavelli comico e tragico” ( Rivista di studi crociani, 1969/4 e poi “Questioni dello storicismo”, II, pp. 249-250 ) e che giustifica la modalità relazione tra etica e politica ( la “questione che non si chiuderà mai”, nella nota postilla dell’ultimo Croce ). Ma la dolcezza del vivere libero risponde al criterio del “giudizio”, della teoria della previsione ( l’arciere prudente di Machiavelli che alza la mira per cogliere giusto il segno; riportandoci nella linea del discobolo di Croce in Filosofia della pratica e magari della Teoria della previsione del Franchini o del limite in Von Mises ). La dolcezza del vivere libero è altra cosa dal neo-giacobinismo e farisaico virtuismo di alcuni interpreti ed esegeti; dal malinteso machiavellismo degli antimachiavellici; dal gesuitismo laico della doppiezza strategica e strumentale; dalla conquista delle casamatte della società civile, all’insegna di un “realismo” di comodo. E’, invece, ciò di cui forse abbiamo più bisogno per una restituzione di senso alla “religione della libertà” e alle presenti condizioni della cultura, intesa come “accordo di mente e animo”. Giuseppe Brescia