La xenofobia e il fanatismo contro gli immigrati non sono temi importanti da affrontare solo tra persone che in teoria sono sensibili a tali vicende in quanto accademici o esseri umani. Si tratta anche di una questione politica tipica dei nostri tempi, poiché il fanatismo entra a far parte del dibattito pubblico europeo e americano. Non a caso questi punti di vista stanno condizionando i risultati elettorali ovunque, spostandosi dalle frange estremiste al centro dell’arena politica, e sono capaci di determinare il successo di un partito. In alcuni paesi europei questo consenso va dal 10 al 20% (in Svizzera, Olanda, Danimarca, Ungheria e Romania; Francia e Italia son al di sotto del 10%) mentre i Tea parties negli Stati Uniti sembrano trarre origine dallo stesso terreno. Tuttavia la differenza tra Europa e America coincide con la diversa interpretazione di cittadinanza e di accesso al voto: 21 milioni di elettori messicani, tanto per citare una minoranza consistente negli Stati Uniti, fanno una grossa differenza e questo aspetto dovrebbe spingerci a riconsiderare la sua importanza, tanto che è persino il Partito Repubblicano a invocare l’allargamento del voto.
Benzina per le campagne elettorali
I trend xenofobi costringono i legislatori a contraddire i principi liberali in diverse occasioni: la Immigrant Law in Arizona, la proposta francese sostenuta da Le Pen e Sarkozy (che potrebbe diventare legge come già è accaduto per il velo e il burqa) di mettere al bando qualsiasi forma di preghiera pubblica negli spazi pubblici, il bando sulle moschee attualmente vigente in Svizzera e diverse misure discriminatorie verso le minoranze in varie località in Europa (mi riferisco all’Europa Occidentale, non voglio allargare la discussione alla Russia dove il livello di odio etnico e di violenza annessa sono molto alti). Nei paesi democratici europei il diritto di ottenere la cittadinanza per i nuovi arrivati è pressoché impossibile, anche dopo un periodo lunghissimo di residenza, lavoro e di tasse versate allo Stato. La retorica contro lo straniero e l’immigrato agisce da combustibile per la propaganda politica, innalza le soglie dell’attenzione pubblica, sfama i partiti conservatori e imbarazza quelli progressisti: i primi sono messi sotto pressione dall’estrema destra a cui devono sottrarre terreno sulle stesse basi (basta pensare a Sarkozy e al Front National) mentre i secondi temono di perdere voti se adottano i guanti di velluto e non riescono a provvedere una soluzione concreta al problema.
Il caso scottante, gli immigrati musulmani in Europa
L’Islam e l’islamofobia meritano un’attenzione particolare, ma dobbiamo considerare anche il caso degli ispanici in America, dei rumeni e gli europei dell’est nell’Europa Occidentale o dei caucasici le “facce non slave” in Russia, dove tutte queste persone diventano vittime della cultura della paura e dell’odio. Sono molte le prove a dimostrare che l’insicurezza economica, la disoccupazione e lo spettro della povertà creano un terreno fertile per gli scontri etnici e razziali. È per questo che la lotta al fanatismo e alla xenofobia ha a che fare con fattori oggettivi: gestire le politiche migratorie e l’economia sono i primi passi per tenere la violenza sotto controllo nella vita pubblica.
Trend dell’odio ricorrenti
Lo scopo di questa conversazione (New York, IPK, 9 dicembre 2011) nasce dal fatto che ci sono trend dell’odio che attraversano ricorrentemente la vita pubblica, lo scenario mediatico e anche alcuni scaffali di libreria. Prendiamo il caso di Thilo Sarrazin in Germania, il suo best-seller Deutschland schafft sich ab analizza il tema caldo del welfare stare sotto la minaccia degli immigrati e riporta in auge l’eugenetica, il razzismo e la xenofobia suscitando una reazione di proporzioni enormi: ha perso il lavoro ed è stato scaricato dal partito, tutti i suoi conoscenti hanno preso nettamente distanza dalle sue posizioni. Ma si tratta della Germania post-bellica, fatta da antifascisti inflessibili e di un’educazione antirazzista; in altri paesi i protagonisti di una campagna apertamente razzista non vengono censurati dallo stesso tipo di reazione ferrea.
Il manifesto dell’assassino norvegese e le sue fonti
Per raccogliere una bibliografia di questo tipo di odio e avversione basta leggere il testo pubblicato dal killer di Utoya, Anders Behring Breivik, il giorno del massacro sull’isola norvegese in cui persero la vita sessantanove persone (dopo la bomba a Oslo che ne ha uccise otto). In questo documento di millecinquecento pagine intitolato «2083, una Dichiarazione Europea di Indipendenza» ci sono 64 citazioni tratte da Robert Spencer, molte altre a Bat Ye’or (70 volte) o Pamela Geller, ma si resta impressionati anche dall’ammirazione di Breivik nei confronti di Oriana Fallaci o Geert Wilders. Questi nomi sono dei classici per coloro che sono ossessionati dall’invasione islamica in Europa e dall’ondata demografica che dovrebbe spazzare via il Vecchio Continente. Il background culturale della xenofobia prolifera nei discorsi politici di alcuni leader, giornalisti, presentatori radiofonici e televisivi; la persistente nostalgia esistenziale verso un’identità smarrita e il rimpianto per il tramonto del nazionalismo, lo spettro del multiculturalismo e della sua compagna– “il political correct”– la mancanza di carattere e la codardia vengono tirate in ballo come conseguenza della corruzione delle anime dovuta alla propaganda liberale e all’ «internazionalismo, estremo femminismo, estremo egualitarismo, anti-elitismo, e anti-nazionalismo» liberale (dal documento di Breivik).
Putin, Wilders e le loro “scorrettezze politiche”
Prendete questa frase: «Se continua così l’Europa Occidentale diventerà una colonia di vecchie colonie». Sono parole di Vladimir Putin citate dal killer norvegese, che ha commentato il passaggio così: «Perché l’Europa non ha l’autostima politica e culturale necessaria per evitare il proprio suicidio? È una questione genetica, un modo della natura per informare gli europei che non hanno diritto di esistere o è solo il risultato di decenni di decadenza eccessiva? Come abbiamo fatto a ridurci alla stregua di eunuchi senza coraggio che applaudono al proprio annichilimento demografico e culturale?» E poi ancora: «Cosa abbiamo che non va, cosa c’è che non va nell’uomo europeo moderno? Perché non si oppone alle élite multiculturali o quantomeno non cerca di danneggiarle e limitarne il potere in nome della sua dignità, di quella della sua famiglia e della sua gente? Molti leader di Stato attorno al mondo sono sconvolti da quanta poca resistenza stiano riscontrando le élite europee nel loro tentativo di ridisegnare la demografia del continente». Geert Wilders è l’eroe di Breivik. Il leader del Party for Freedom of Nederland è giunto a New York in occasione della protesta contro Park 51 per dichiarare «Non dobbiamo mai tendere la mano a chi vuole soggiogarci […] Mettete un confine adesso per evitare che New York non diventi la Nuova Mecca». Anche Newt Gingrich è entrato in scena e ha paragonato il progetto dell’Islamic Community Center alla costruzione di un monumento nazista fuori dal Museo per l’Olocausto.
«L’Islam moderato non esiste»
È una delle frasi preferite di Wilders, lo stesso slogan viene agitato da un membro del governo francese, Jeannette Bougrab– «Je ne connais pas d’islamisme modéré»– che copre le vesti di Ministro della Gioventù (Le Monde, Dec 3rd 2011)– all’indomani delle elezioni in Egitto. Secondo il killer norvegese, i multiculturalisti con le loro campagne da «lavaggio del cervello»- una rilettura perversa e astuta del marxismo– dovrebbero essere uccisi affinché «il nazionalismo possa trionfare» e anche per impedire che l’Eurabia prenda piede. Siamo consapevoli che Geert Wilders, la Lega Nord in Italia, Billy O’Reilly o Glenn Beck non appoggerebbero mai questa dichiarazione, ed è una differenza che non va dimenticata.
Il sillogismo di Huntington. Il multiculturalismo è il suicidio dell’Occidente.
Ciò nonostante, dobbiamo riflettere sulle forme assunte dai seguenti sillogismi (tutti estratti da Lo Scontro di Civiltà di Huntington): 1) i nemici sono fondamentali per stabilire l’identità di una persona e reinventare l’etnicità; 2) alla fine del Novecento l’identità è stata messa duramente alla prova dagli intellettuali in nome del multiculturalismo (vale a dire promozione di identità culturali e gruppi razziali, etnici e sub-nazionali) «La tendenza multiculturale si è manifestata anche in una varietà di leggi successive ai civil right acts degli anni Sessanta, e negli anni Novanta l’amministrazione Clinton ha fatto della promozione della diversità uno dei suoi obiettivi principali»; 3) «Rinnegare la Dottrina e la civilizzazione Occidentale significa condannare gli Stati Uniti così come li conosciamo all’estinzione. Significa anche mettere fine alla civiltà occidentale (il trend suicida, lo stesso tirato in ballo da Breivik e da Putin)». «Lo scontro tra i multiculturalisti e i difensori della civiltà Occidentale…è l’unico scontro reale nel segmento americano della civiltà Occidentale… dal punto di vista interno questo significa ignorare le sirene conflittuali del multiculturalismo»
Lo scontro vero si svolge in casa
In conclusione, secondo coloro che accettano questa prospettiva e vogliono sconfiggere le tendenze autodistruttive che indeboliscono l’identità e l’inerente dottrina nazionale, ogni cittadino deve mantenere alta la tensione tra “noi” e il “nemico” allo scopo di sconfiggere coloro che promuovono qualsiasi tipo di dialogo. La strategia di opporsi allo “scontro vero” diventa chiara. Il conflitto internazionale tra l’Occidente e il nemico esterno non è altro che una proiezione dello scontro domestico tra codardi e patrioti, e viceversa. Questo gioco di specchi è evidente in qualsiasi cultura politica dell’odio. La sua versione estrema ricalca lo schema del potere stalinista totalitarista: lo spettro esterno deve essere strumentalizzato al fine di individuare il traditore interno. Vale per tutti noi: tutti possono essere accusati tutti di cecità.
L’Eurabia e quelli che ci credono
Lo stesso schema è rintracciabile in Eurabia: The Euro-Arab Axis di Bat Ye’or o in They must be stopped: Why We Must Defeat Radical Islam and How We Can Do It di Brigitte Gabriel. Basta scorrere l’indice: «Madrassas in America, Reviving the Caliphate, The subtle Islamization agenda: boiling the West alive» (citato anche da Breivik).
Il dialogo preso di mira dalla letteratura dell’odio
Lo scopo della nostra fondazione è esattamente l’opposto: quello di smontare visioni paranoiche e oscure attraverso la promozione del dialogo e l’apertura, che cerca di oltrepassare i confini più problematici e la distanza tra persone contrapposte dal conflitto e da nette differenze. Sono quasi orgoglioso nel constatare che alcuni membri del Comitato Scientifico e altri collaboratori vengono presi di mira da questi autori dell’odio in quanto persone “narcotizzate dal dialogo”. È un compito a volte scomodo, ma merita la nostra gratitudine. I nostri obiettivi– promuovere il dialogo e la comprensione oltre le barriera– diventano se possibile ancora più imperativi dopo i cambiamenti occorsi in Medio Oriente e in Nord Africa: rivolte, riforme, elezioni libere e l’affermazione di partiti Islamisti forti. Questi eventi provocano nuovi argomenti per la strumentalizzazione della paura e dunque nuove ragioni per insistere su una visione chiara ed equilibrata del presente.
Superare il dogma e i limiti della sovranità nazionale in Europa
La xenofobia e il revival dell’ideologia nazionalista– associata a pregiudizi razziali– sono un argomento politico e culturale tipico del nostro tempo. La sfida diventa particolarmente difficile in Europa dove dobbiamo cercare di «superare il dogma e i limiti della sovranità nazionale». In una lettera a Reset, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrive: «È un dogma, o un complesso ricorrente, che detiene una grossa responsabilità nella crisi della leadership e del progetto europei a cui assistiamo di recente».
(Traduzione di Claudia Durastanti)