Da Reset-Dialogues on Civilizations
Qualche casetta, un laghetto artificiale, un paio di gasthaus e sullo sfondo pale eoliche impiantate su rilievi collinari. Fusti fermi, eliche a fare a fette l’aria. Colpo d’occhio ordinario. Se non fosse per una serie di blocchi di calcestruzzo calati su un prato, Mödlareuth sarebbe un villaggio di campagna come tanti. Ma è proprio per via di quel muro, voluto dalla Germania est, che quella di Mödlareuth fu una delle storie tedesche che non poterono passare inosservate al tempo della guerra fredda. D’altro canto un frangiflutti così grande (misurava settecento metri), conficcato dentro un villaggio di nemmeno cento abitanti, faceva sia impressione che notizia.
La contraddizione di Mödlareuth, oltre alla presenza della barriera, sta nel fatto che a un unico nome corrispondono due unità amministrative. Metà dell’abitato giace in Baviera, l’altra in Turingia. Fino al 1990, anno della riunificazione formale tedesca, il confine tra i due stati federali fu uno dei segmenti della frontiera interna tra Germania ovest e Germania est (Baviera faceva parte della prima e la Turingia della seconda), a sua volta parte della cortina di ferro: quella linea che dal Baltico scendeva fino a Trieste, sull’Adriatico, spaccando in due il vecchio continente. A occidente l’Europa all’americana. A oriente quella occupata dal potere sovietico, con l’eccezione autogestita jugoslava.
Mödlareuth, di questa lunga bisettrice, era uno dei tanti puntini. A dire il vero gli abitanti, al passaggio dei confini, c’erano abituati. Nel primo ‘800 il villaggio divenne uno dei nodi di giunzione della frontiera tra Baviera e principato di Reuss. Ma la guerra fredda, con la sua logica di contrapposizione netta, impose rapporti nuovi tra gli abitanti e il limes, che separò alcune famiglie, sottrasse terra ai contadini e costrinse a forme di transito totalmente irreggimentate. Nell’ex Germania est si faceva qualche concessione agli anziani, che si accontentavano di andare a trovare i parenti dall’altra parte. I giovani, invece, restarono ingabbiati. Si pensava che andando a ovest potessero assorbire facilmente i paradigmi del nemico.
I resti del muro
La costruzione del muro, nel 1966, radicalizzò la divisione tra le due Mödlareuth. Prima di allora i residenti dell’una e dell’altra parte potevano vedersi. Con i blocchi di cemento al posto delle reti metalliche questo non fu più possibile. Era ciò che la Germania est voleva, presumibilmente. Da allora il villaggio bavarese-turingiano fu ribattezzato “la piccola Berlino”.
Che cosa resta di quei tempi? Innanzitutto un tratto del muro stesso. Da una parte è testimone dei vecchi tempi, dall’altra è un’attrattiva. La più importante del Deutsch-Deutsches Museum, nato nel 1990. Ne costituisce la sezione all’aperto. In quella al chiuso, in fase di ampliamento, viene tra le altre cose proiettato un documentario che ripercorre neutralmente, senza andare sopra le righe, le vicende di Mödlareuth durante la guerra fredda. Quasi insolito, rispetto a certi altri musei tedeschi sulla guerra fredda informati da approcci tendenti al kitsch. «Dal mio punto di vista l’oggettività è importante. Questo dev’essere un posto dove si può apprendere la storia della Germania divisa, specie in funzione degli studenti delle scuole. I giovani non hanno molte conoscenze, su questo », riferisce Robert Lebegern, il direttore del museo.
Uno dei momenti più intensi del filmato è quello sull’apertura del varco doganale lungo il muro, il 9 dicembre del 1989. Esattamente un quarto di secolo fa. Una vera e propria festa di paese, con banda musicale e grigliate, svoltasi su un tappeto di neve bianca e fresca.
Al giugno dell’anno successivo risale invece l’idea, bagnata dal consenso su ambo i lati del villaggio, di lasciare che alcuni dei blocchi di calcestruzzo sopravvivessero alle macchine demolitrici. «Le ruspe li stavano buttando giù. Era il 17 giugno del 1990. In quel momento Arnold Friedrich, l’allora sindaco di Toepen (il comune di cui la Mödlareuth bavarese è frazione), ebbe l’intuizione di preservare un tratto del muro. Fu quella la genesi del museo. Gli abitanti dei due rami del borgo, riunitisi, votarono a favore della sua realizzazione», ricorda Lebegern.
Riuniti o ancora divisi?
Con il tempo è emersa però qualche dissonanza. Come riportato dal Wall Street Journal, che a novembre ha dedicato un servizio a Mödlareuth, qualcuno guarda con fastidio al muro. «Ogni anno arrivano le telecamere. Si pongono le solite domande. A un certo punto la gente non vuole più rispondere. Non tutte le storie sono gradevoli», ha detto al Wall Street Journal Dieter Rebelein, numero uno della sezione distrettuale del partito Die Linke, nato da una fusione tra l’ala sinistra della socialdemocrazia e gli ex comunisti dell’est. L’allusione è al fatto che non sempre la narrazione della riunificazione segue la logica del tutto bello, tutto giusto, tutti felici.
Mödlareuth è piccolissima e in quanto tale non riesce a dare una misura chiara della memoria e dei suoi depositi, così come dei divari economici che quarant’anni e passa di guerra fredda hanno lasciato in eredità. Bisogna allargare il raggio geografico, allora. Lo ha fatto Ulrike Hanna Meinhof, della Southampton University, con diverse ricerche basate sulla mappatura di un più esteso di confine tra Baviera e Turingia. «Durante l’era delle divisioni le aree di frontiera erano tra le meno sviluppate, sia nella Germania di Bonn che in quella comunista. In parte ancora oggi è così», dice la professoressa. Nell’area dove Mödlareuth affonda le radici ci sono diversi esempi. «Hof, la città più importante della Franconia (nome storico della parte settentrionale della Baviera), ha avuto una crisi demografica. La vicina Hirschberg, nell’ex Ddr, ha registrato la morte della fabbrica di pellami, che era quasi l’unico datore di lavoro. Dopo la riunificazione è stata prima venduta, poi demolita». Ci sono tuttavia anche storie virtuose. Bayreuth, sempre in Baviera, ma qualche chilometro più a sud rispetto a Hof, ha visto la sua popolazione crescere, attirando interessi finanziari e commerciali.
In senso più ampio, i divari riguardano le rispettive impalcature di Baviera e Turingia in quanto tali. La prima è più ricca, ha meno disoccupazione e tende alla conservazione, politicamente parlando. La seconda ha redditi individuali inferiori, una percentuale di senza lavoro del 9% e un governo, appena nominato, rosso-rosso-verde.
La memoria, invece? Che andamento ha? Nel corso dei suoi sopralluoghi la professoressa Meinhof ha potuto constatare che assume valenze diverse a seconda delle linee generazionali. Gli anziani ricordano con più enfasi il momento magico della riunificazione. Tra i giovani, al contrario, prevale una certa indifferenza e paradossalmente si sottolineano con risalto maggiore le differenze tra ex tedeschi dell’ovest e dell’est. Ma si fa sempre meno caso a queste cose. A Mödlareuth, a quanto pare, non hanno rilievo alcuno. «Da noi il passato non pesa più. Né il confine amministrativo incide sulla vita quotidiana. Mödlareuth, in questo senso, è un unico paese», asserisce il direttore del Deutsch-Deutsches Museum.
La risorsa del turismo
A Mödlareuth il ronzio delle troupe televisive e dei cronisti dà noia. È comprensibile. Ma al tempo stesso è una risorsa. Offre notorietà e visibilità, sollecitando il potenziale turistico. Mödlareuth viene visitata annualmente da circa settantamila persone, contando solo le presenze al museo.
Tuttavia, a fronte di questo flusso, non ci sono strutture ricettive a sufficienza. Si potrebbe fare qualcosa di più, tenuto conto che la qualità turistica del posto non poggia solo sul muro, ma anche su ecologia e paesaggio. Lungo la cortina di ferro il posto delle caserme, dei fili spinati e delle fortificazioni varie, è stato infatti (ri)occupato dalla natura. La guerra fredda, involontariamente, ha preservato dalla cementificazione svariate parti della terra di nessuno che si sviluppava a cavallo della frontiera tra le due Germania e tra le due Europe. Dopo l’89 si è cercato di evitare che appetiti finanziari e contese di proprietà ne incrinassero la caratura. A volte s’è perso, altre s’è vinto. In Germania la sensibilità ambientalista è stata più solida che altrove, forse anche grazie alla forza elettorale dei Verdi.
A ogni modo il turismo a Mödlareuth non è una novità post-1989. La Germania ovest investì molto sulle gite alla frontiera. Mandava i suoi cittadini e i suoi studenti a vedere con i propri occhi il confine. Lo scopo era demonizzare l’altra Germania e il comunismo, percepito come una parentesi transitoria, breve e infelice della storia. Ma essendosi chiusa più tardi di quanto originariamente si pensava, le gite assunsero anche un ruolo paesaggistico, oltre che economico. Si comprese che in quelle aree, le meno prospere dell’ovest tedesco, il turismo mosso a trazione ambientalista avrebbe potuto avere ricadute positive. Ma chi giunse a Mödlareuth dopo il 1966 vide sempre e solo la parte occidentale della cortina.
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