Tutti uniti contro Orbán. In vista delle elezioni parlamentari previste ad aprile 2022, le diverse anime dell’opposizione ungherese hanno deciso di fare fronte comune e di schierarsi compatte contro Viktor Orbán e il governo conservatore ed euroscettico del suo partito, Fidesz.
Chi sarà lo sfidante del premier ungherese, a caccia del suo quarto mandato consecutivo, lo decideranno le urne. Per la prima volta nella storia del Paese un candidato premier verrà infatti scelto attraverso lo strumento delle primarie.
A sfidarsi saranno i rappresentanti dei cinque principali partiti dell’opposizione.
Il favorito e quello mediaticamente più esposto è il sindaco di Budapest Gergely Karácsony, candidato dai partiti di centro sinistra e filoeuropeisti MSZP, Dialogo (Párbeszéd) e LMP. Karácsony è diventato primo cittadino della capitale ungherese nel 2019, proprio grazie al voto congiunto dell’opposizione. In questo modo era riuscito a sconfiggere il sindaco uscente István Tarlós, esponente di Fidesz, che deteneva la carica dal 2010.
I sondaggi attribuiscono buone possibilità anche a Klára Dobrev, candidata di Coalizione Democratica (DK), partito di centro sinistra nato nel 2011 da una costola di MSZP. Dobrev ricopre la carica di europarlamentare ed è la moglie di Ferenc Gyurcsány, attuale presidente di DK e primo ministro tra il 2006 e il 2010.
Nelle ultime settimane Fidesz ha attaccato pubblicamente sia Karácsony che Gyurcsány. Contro di loro è stata avviata una petizione popolare per ricordare all’elettorato i problemi causati dal governo di centro sinistra. Un’iniziativa che i diretti interessati hanno definito “da asilo nido”.
Il possibile outsider delle primarie è Péter Jakab, candidato di Jobbik, partito che si attesta su posizioni di centro destra. Quello di Jobbik rappresenta un paradosso della politica ungherese. Nato come formazione di estrema destra, con connotazioni neonaziste e antisemite, nel corso degli anni si è progressivamente deradicalizzato, pur restando un partito conservatore. Jobbik si è considerato da sempre avverso a Fidesz, considerato un partito corrotto.
Secondo i sondaggi poche speranze sono riservate invece agli altri due competitor della tornata elettorale: Péter Márki-Zay, cofondatore del Movimento dell’Ungheria di tutti e András Fekete-Győr, candidato di Momentum: su posizioni conservatrici il primo, su quelle liberiste il secondo.
Le regole del gioco
La partita si articolerà in due turni. Il primo, dal 18 al 26 settembre in cui verranno scelti i 106 candidati che si presenteranno nei collegi uninominali. Sempre nella stessa tornata gli elettori saranno chiamati a scegliere il candidato premier.
Nel caso in cui nessuno dei cinque candidati ottenesse il 50% delle preferenze, si andrà al ballottaggio, dal 4 al 10 ottobre. Questa eventualità è data praticamente per certa dai sondaggi.
Il voto avverrà in modalità ibrida. Gli elettori potranno recarsi nei 106 punti mobili sparsi per il Paese, oppure votare da casa attraverso l’apposita piattaforma Előválasztó 2021. Potranno esprimere la loro preferenza tutte le persone che avranno raggiunto la maggiore età (18 anni) entro aprile del prossimo anno.
Imponente la macchina organizzativa. In ognuno dei tendoni allestiti è prevista la presenza da tre a sei volontari. Tra le mille e le duemila persone saranno chiamate ad effettuare il conteggio dei voti.
Perché le primarie
Chiunque uscirà vincitore dalle primarie, sarà il candidato unico dell’opposizione. Una circostanza impensabile fino a qualche anno fa, considerando l’estrazione estremamente variegata dei partiti che la compongono. Questo “cartello” si è reso necessario per rendere difficile a Orbán la conquista del suo quarto mandato consecutivo da primo ministro, il quinto assoluto se si considera l’esperienza di governo tra il 1998 e il 2002. Una necessità che affonda le radici nel sistema elettorale ungherese, plasmato dallo stesso premier nel 2012.
La legge elettorale prevede un sistema misto a turno unico. Dei 199 deputati che compongono il parlamento, 106 vengono eletti con il sistema maggioritario in collegi uninominali secchi.
Finché le opposizioni si sono presentate separate alle elezioni, Fidesz ha avuto gioco facile, dal momento che basta avere un solo voto in più rispetto ai contendenti per assicurarsi il seggio. Questa volta la partita sarà più aperta.
I restanti 93 deputati vengono eletti col metodo proporzionale, in cui i partiti presentano i candidati su listini bloccati. Questo sarà invece un terreno più favorevole a Orbán, che potrà contare anche sul voto dei cittadini ungheresi residenti all’estero, tradizionalmente sostenitori del suo partito. Va sottolineato che in questi anni Orbán si è speso per garantire il più possibile la concessione della cittadinanza ai cittadini di origine ungherese che vivono nei paesi confinanti.
La lotta si prospetta dunque serrata, e la strada per sconfiggere Orbán è tutt’altro che in discesa. Le opposizioni possono però contare su un precedente: quello delle elezioni locali del 2019. Oltre a Budapest in quell’occasione l’opposizione riuscì a strappare a Fidesz 10 delle 23 principali città ungheresi tra cui Szeged, Eger e Miskolz. Già in quell’occasione i principali partiti appoggiarono un solo candidato. Nel caso di Budapest Jobbik non entrò formalmente nell’alleanza ma rinunciò a presentare un proprio concorrente, avvallando così di fatto la candidatura di Karácsony. In quella tornata elettorale il partito di Orbán ottenne la maggioranza dei consensi, ma vide per la prima volta incrinato il proprio sistema di potere.
Lunga marcia
Lo sfidante di Orbán verrà presentato ufficialmente il 23 ottobre, festa nazionale, in cui si celebra l’anniversario della rivoluzione ungherese del 1956. Da quel giorno alle elezioni mancheranno oltre sei mesi, che si prospettano di dura campagna elettorale. Il rischio è che in questo lasso di tempo emergano dissapori all’interno delle diverse anime dell’opposizione e si disperda l’entusiasmo venutosi a creare. C’è anche un problema di ordine economico. L’organizzazione delle primarie ha richiesto un notevole sforzo finanziario, tra i 130 e i 160 milioni di fiorini (tra 370mila e i 457mila euro). La raccolta fondi ha portato nelle casse dell’organizzazione solo 1,7 mln di fiorini (poco più di 4mila euro). Il timore è che nei prossimi mesi non ci siano più soldi per fronteggiare la macchina elettorale di Fidesz.
Uno degli obiettivi sarà quello di restituire entusiasmo a un elettorato sfiduciato. Un sondaggio di Zavecz Research riportato dal Financial Times rivela che il 49% degli intervistati vuole un cambiamento nel Paese, ma solo un quinto di essi crede che sia possibile che Orbán perda le elezioni. D’altra parte Fidesz ha vinto le tornate elettorali del 2010, del 2014 e del 2018 conquistando la maggioranza dei due terzi del parlamento. Per molti la sensazione è che battere Orbán sia un sfida impossibile.
I problemi di Fidesz
Tuttavia anche per il premier ungherese i prossimi mesi rischiano di essere complicati. Ci sono diverse questioni aperte sul tavolo. Su tutte quella legata allo sblocco del Recovery Fund. La Commissione europea tiene congelati i 7,2 mld di euro, che spetterebbero all’Ungheria nell’ambito dei finanziamenti del Next Generation Eu. La motivazione sta nel fatto che l’approvazione del piano è legata a una serie di garanzie che hanno a che fare con la trasparenza del sistema giudiziario e con la lotta alla corruzione. Garanzie che Budapest non è stata ancora in grado di fornire. Fino a questo punto la posizione di Orbán è stata di sfida aperta nei confronti di Bruxelles. L’Ungheria, a suo dire, potrebbe fare a meno dei finanziamenti.
Sulla decisione del congelamento dei fondi, sebbene non ufficialmente, peserebbe anche la legge sulla propaganda omosessuale approvata nello scorso mese di giugno. La normativa prevede il divieto di affrontare temi legati all’omosessualità e all’identità di genere in contesti pubblici frequentati dai minori, come ad esempio la scuola, ma anche attraverso la tv, i libri o contenuti multimediali. La legge, che nasce in realtà come una legge antipedofilia, è stata duramente criticata in sede europea, ed è costata a Budapest una procedura d’infrazione. Orbán ha annunciato che su questo tema sarà indetto un referendum.
E sempre con un referendum Orbán vorrebbe risolvere lo spinoso caso della Fudan University. A inizio giugno il governo aveva paventato la possibilità di costruire un campus dell’università cinese Fudan, nella cittadella universitaria di Budapest, attualmente in via di edificazione. Il progetto ha trovato la ferma opposizione di gran parte della società civile. Troppo elevati i costi, che si aggirerebbero intorno a 1,5 mld di euro, e troppe le incognite sulla sua utilità. Circa diecimila le persone che si sono riversate in piazza a protestare.
Proprio il sindaco di Budapest Gergely Karácsony è stato il primo a schierarsi contro questa operazione. La sua posizione è che la cittadella universitaria di Budapest non dev’essere utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è stata immaginata. Nel caso in cui il progetto venisse portato avanti, ha minacciato di bloccare i mondiali di atletica leggera del 2023 previsti proprio nella capitale ungherese. Sebbene questa minaccia non sembri intimorire più di tanto il governo- le autorità municipali non avrebbero il potere di bloccare l’organizzazione – il caso della Fudan University ha rappresentato un punto di svolta nella lunga corsa alle elezioni del prossimo anno. Ha proiettato Karácsony nella posizione di principale avversario di Orbán e del sistema costruito nell’ultimo decennio.
La sfida all’Orbanismo
Scagliandosi contro il suo avversario, Karácsony ha apertamente parlato di «una dittatura che fa gli interessi dell’1% della popolazione contro il restante 99%». Un concetto a lui caro, ripetuto anche nel giorno della candidatura alle primarie «Sarò al servizio del 99% dei cittadini». La sua idea di Ungheria, fondata su valori liberali e progressisti è diametralmente opposta a quella del Paese plasmato da Viktor Orbán negli ultimi dieci anni. Un Paese, che Fidesz in virtù della schiacciante maggioranza ottenuta alle urne è stato in grado di cambiare dalle fondamenta. A partire dalla modifica della Costituzione, passando per la già citata legge elettorale, fino alla presa pressoché totale del settore dei media. Fidesz è diventato una sorta di partito Stato, il cui apparato sarà difficile da scardinare anche nel caso in cui l’opposizione dovesse vincere le elezioni.
Sul piano internazionale Orbán in questi anni è assurto a figura simbolo del sovranismo, e i suoi contrasti con Bruxelles hanno fornito un’immagine cupa dell’Ungheria, considerata, al pari della Polonia, il cavallo di Troia dell’autoritarismo nell’Unione. Se ci saranno le condizioni per cambiare la direzione politica del Paese sarà il tempo a dirlo. Le primarie dell’opposizione che si aprono questo finesettimana possono essere considerate un primo segnale.
Foto: Gergely Karacsony la sera del suo successo elettorale nella corsa a sindaco di Budapest – 13 ottobre 2019 (Attila Kisbenedek / AFP).