La notizia dimissioni di Benedetto XVI, annunciate in latino, hanno fatto il giro del mondo in pochissimi secondi. Quasi alla velocità della luce è comparsa in simultanea sui siti di tutti i principali giornali che punteggiano il pianeta, ancor prima che in Tv e radio.
Una notizia clamorosa, perché mai accaduto prima in era moderna. Che riflessi ha e avrà anche in futuro sulla Chiesa questo gesto? Si può dire che la modernità irrompe nel cuore della religiosità più antica? Abbiamo rivolto queste domande al professor Enzo Pace, ordinario di sociologia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova, già Direttore del Dipartimento di Sociologia e del Centro Interdipartimentale di ricerca e servizi in studi interculturali e Visiting professor all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales.
Quali sensazioni, professore? La causa è davvero la malattia o ci possono essere state anche pressioni? Il Vaticano non vive una stagione tranquilla, i conflitti sono molteplici e di diverso ordine e grado.
Penso che dalle reazioni, sembra una decisione davvero inattesa, anche se esistevano voci che non stava proprio benissimo fisicamente. E lo si vedeva anche, molto affaticato negli ultimi tempi. Nel corpo come nella voce. Anch’io sono rimasto, come tutti del resto, un po’ sorpreso, però a mente fredda si capisce che è una decisione che evidentemente stava coltivando da qualche mese o da un po’ di tempo e che è con molta probabilità legato al fatto che era lucidamente consapevole che qualche malanno fisico gli stava rendendo difficile il mestiere che deve fare. Non vedo grandi complotti all’orizzonte.
Però le dimissioni sono un fatto inconsueto nella storia vaticana, a parte il caso più citato e ricordato di Celestino V con il suo «non possumus». Ci sono altri casi?
Di Papi ce ne sono stati tanti e persino troppi, bisognerebbe andare a scandagliare e rileggersi le singole storie. Il caso più clamoroso è certo quello di Celestino V, che in qualche misura non era legato a un dato fisico ma al disagio nei confronti di una Chiesa che riteneva ormai persa. Qui invece c’è la sensazione della consapevolezza di un Papa che sa di essere arrivato al limite. C’è molta diversità con Wojtyla che in qualche misura ha tirato fino alla fine.
Wojtyla ha persino reso pubbliche le sue sofferenze, le ha esplicitate a tal punto da renderle mediatiche, così come mediatico è stato tutto il suo pontificato, dai giorni della sua ascesa al trono di Pietro.
Sì, si può dire che ha fatto della sua malattia un elemento di Santità in terra. Ormai nella serie dei Papi moderni non si era mai verificata una situazione di questo tipo e così anche questo in realtà – e non so fino a che punto va calcolato – è una novità, perché Benedetto XVI fa capire che non si è Papi a vita, ci si può anche dimettere. Questa è una cosa clamorosa per la Chiesa cattolica, certamente sì.
Non è quasi la profezia di Nanni Moretti che si avvera? Nel suo Habemus Papam, Michel Piccoli che interpreta il Santo Padre sente di non essere all’altezza e, una volta eletto, si ritira, si dimette.
Sì, l’angoscia del Papa.
Nel film il Papa non si sentiva all’altezza per questioni psicologiche, in questo caso per questioni fisiche. Non può reggere il peso della Chiesa, le incombenze, perché non ce la fa materialmente.
Sì, anche se questo aspetto di non essere all’altezza ha luci e ombre. Perché, a parte l’Europa che ha tassi di secolarizzazione come sempre costanti e forti, un po’ sulla falsa riga dell’America, in Asia, in Cina, in America Latina, in Africa – anche se la concorrenza delle Chiese pentacostali si fa sentire – però, insomma, è pure una Chiesa che ha vocazione, ha gente giovane, un po’ anche per calcolo economico diventa prete. Invece qui da noi, ormai, la situazione è pesantissima, non c’è ricambio. Già importano duemila preti all’anno dall’estero per rimpiazzare gli assenti… Non vedo altro.
L’unico messaggio chiaro è questo: anche il Papa si può dimettere, questo sì. Non è una figura al di sopra del tempo, che può resistere anche all’usura del tempo fino alla fine, no può dimettersi.
Il direttore de la Repubblica, Ezio Mauro, in un commento a caldo durante la riunione di redazione di stamane, e che compare sul sito del giornale, dice che «la modernità irrompe in Vaticano». Condivide il giudizio?
Bè, nel senso che, ed è proprio quel che sto dicendo, all’ idea che il Papa sia quasi una figura che può sfuggire alle leggi della vecchiaia e della malattia e quindi deve restare fino a quando proprio non esala l’ultimo respiro, Benedetto XVI contrappone il “cambiamo”. Sulla mia pelle, sul mio esempio “cambiamo”. Ci vuole un limite, un pensionamento anche per i Papi.
Lui abdica, ma questo uscita di scena in che momento avviene per la Chiesa? Mi sembra un passaggio molto complicato: la Chiesa di Roma è esposta su più fronti, incalzata dalle richieste anche sui diritti civili, per esempio. È di pochi giorni fa il passo compiuto di apertura su alcuni, minimi diritti delle coppie omosessuali.
Ci sono questi temi, c’è poi quello che da noi in Italia si sente poco ma si sente moltissimo in altri Paesi, in Europa, in America, in Australia, del sacerdozio femminile. Questa è una questione molto viva altrove. C’è poi la questione che in Europa il calo delle vocazioni è costante e in molti Paesi il clero ha mediamente 62 anni. O importano preti dall’Africa, dall’America Latina, dall’Asia con problemi di adattamento e di inserimento che non sono piccoli oppure questa prospettiva di una progressiva perdita di “quadri”, funzionari, è un po’ il problema critico centrale. Compreso quello degli ordini religiosi, maschili e femminili, e di quest’ultimi non ne parliamo proprio…, perché anche lì c’è un fermento di suore, di entità che vogliono avere più peso. Ecco ci sono tutti questi problemi qua. In America Latina, in Africa, in Asia, anche se c’è una tenuta, però la concorrenza con le nuove chiese pentecostali è molto, ma molto forte. E quindi lì ci vuole un disegno che lui, Benedetto XVI, pensa di non avere in questo preciso momento di debolezza anche fisica. E d’altra parte in questi ultimi anni ha pure scritto dei libri anche interessanti, ma non ha dato l’idea di uno che avesse un disegno, come aveva invece Wojtyla. Evidentemente è ed era un altro periodo.
Ratzinger era ed è stato forse sopravvalutato nella funzione che avrebbe potuto assolvere una volta diventato Papa?
Bé, chi lo conosceva diceva, sì è un grande intellettuale ma che sappia governare una macchina complessa come la Chiesa, a Roma soprattutto, è un altro paio di maniche. Wojtyla saltava a pie’ pari questo problema perché giocava moltissimo con i media, con la sua immagine che ha travolto i media prima ancora che le masse.
Dal punto di vista politico ci saranno ripercussioni? Quale potrebbe essere il corso a cominciare da oggi, senza voler prefigurare quale sarà o potrebbe essere il prossimo Papa?
Questo fatto delle dimissioni ha spiazzato un po’. Probabilmente qualcuno in Vaticano si era dato tempi più lunghi. Certamente adesso se riprende fiato il “partito italiano”, cioè Ruini, allora lì l’unico personaggio un po’ di spicco, perché tutti gli altri sono andati quasi tutti in pensione, è Scola.
E di Scola che si può dire??
Ritornerebbe l’idea di un italiano dopo due stranieri. È l’unico con una certa statura culturale e intellettuale. E poi sta a Milano.
Una buona scelta, dovesse essere lui?
Probabilmente sì. Un Papa conservatore ma intelligente.