Tra Haftar e Al Serraj, a Palermo ha vinto ancora l’incertezza

Conte con Al Serraj e Haftar

Il 12 e il 13 novembre si è tenuta la conferenza “for Libya, with Libya” organizzata dal Governo italiano per dare un contributo al superamento dello stato di tensione e conflitto che si protrae ormai da lungo tempo in quel paese, riunendo a Palermo tutte, o quasi tutte, le parti coinvolte.

Dalle fazioni e tribù che si confrontano e scontrano all’interno del paese; ai paesi confinanti, che hanno condiviso l’obiettivo di superare la tensione in Libia; ai paesi e le istituzioni, europee ed extra-europee, che hanno interesse ad un componimento della crisi.

La Libia è approssimativamente spaccata in due aree. Una coalizione governativa presieduta da Fayez al Serray, riconosciuta dall’ONU in base agli accordi del 2015 di Skhirat (Marocco), al cui interno vi sono fazioni riconducibili ai Fratelli Musulmani, governa su Tripoli e aree circostanti. Ad essa si contrappone il generale Khalifa Haftar, che con il suo esercito nazionale libico controlla la Cirenaica.

Sebbene l’intreccio sia quanto mai complesso, sul piano dello scacchiere internazionale Italia e Turchia tendono a sostenere la coalizione a guida Serray e Francia, Russia ed Egitto le aspirazioni del generale Haftar.

Gli interessi

Sul paese si concentrano interessi e protagonismi, dettati dagli specifici interessi nazionali che ogni paese cerca di affermare. L’Italia punta in primo luogo ad una risoluzione della crisi in maniera inclusiva, coinvolgendo tutte le parti in conflitto sulla scia degli accordi di Skhirat. E’ inoltre interessata a contrastare l’immigrazione clandestina, gestita da trafficanti che hanno fatto della Libia la loro base di partenza verso l’Italia e, attraverso di essa, verso le destinazioni finali europee. Conta, peraltro, sulle risorse energetiche del paese, petrolio e gas, alle quali guarda con interesse anche la Francia.

Il Presidente Macron spicca anche per un marcato protagonismo nella gestione della crisi, sostenendo abbastanza apertamente la fazione di Haftar. Mira inoltre a favorirla con un’accelerazione sulla tenuta di elezioni presidenziali rispetto al calendario proposto dalle Nazioni Unite e sostenuto dall’Italia, attenta in primo luogo al miglioramento delle condizioni di sicurezza prima di una tornata elettorale. Tali divergenze tra Italia e Francia non aiutano a ricomporre un mosaico quanto mai complesso.

Pur se distinti, gli interessi di altri paesi intervenuti alla conferenza, si sono comunque evidenziati.

La Russia mira a garantirsi uno sbocco al mare nel porto di Bengasi in Cirenaica, dopo aver già trovato una solida base a Tartus in Siria, grazie all’appoggio garantito ad Assad. Così come è interessata alla fornitura di tecnologia per valorizzare le risorse petrolifere nell’Est del paese, che l’ha portata a costruire e sostenere un solido rapporto con Khalifa Haftar, sollecitandone la presenza, fino all’ultimo momento in dubbio, alla conferenza di Palermo.

Anche l’Egitto di Al Sisi si è mosso in questo senso, appoggiando il generale Haftar e sostanzialmente una visione della Libia trainata da un esercito nazionale dominante sulla falsariga dello stesso modello egiziano.

Gli Stati Uniti sono interessati a bloccare ogni possibile ritorno di Al Qaeda e ISIS in Libia, avvalendosi di base italiane per colpire con droni centrali terroristiche in Libia.

La piega islamista impressa dai Fratelli Musulmani in Libia, con la designazione in aprile 2018 di un loro esponente, Khalid Al Mashri, a numero uno dell’Alto Consiglio di Stato, d’intesa con il governo di Fayez al Serray, non si è sentita adeguatamente tutelata a Palermo.

Per organizzare almeno un incontro allargato al Generale Haftar, la presidenza Italiana ha acconsentito a tenerne fuori Turchia e Qatar, avversari dichiarati di Haftar e sostenitori storici della fratellanza musulmana. Di qui l’abbandono anticipato dei lavori da parte della Turchia: “Qualcuno all’ultimo minuto ha abusato della ospitalità italiana”, ha sottolineato Fuat Oktay, vice-presidente turco abbandonando i lavori, senza mai nominare il Generale Khalifa Haftar. “Sfortunatamente la comunità internazionale non è stata capace di restare unita”.

I risultati

Se questa è una rapida sintesi dei diversi interessi, spesso contrapposti, rappresentati a Palermo, cerchiamo di dare uno sguardo altrettanto sintetico ai risultati della conferenza.

Cominciamo dai partecipanti: abbiamo già detto che Haftar è intervenuto solo all’ultimo momento, senza neanche partecipare alla seduta plenaria finale, cui erano invece presenti Al Serray e le altre delegazioni libiche.

La Russia era rappresentata dal premier Dmitri Medvedev, con uno stuolo di giornalisti al seguito. Gli Stati Uniti da un delegato del Segretario di Stato, a testimonianza del distacco con cui guardano alla crisi in Libia. Tunisia, Algeria, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Qatar e Turchia, erano tutti rappresentati ad alto livello, pur se la Turchia ha abbandonato i lavori prima delle conclusioni, per i motivi già ricordati.

Per l’Unione Europea erano presenti il presidente del Consiglio Donald Tusk e Federica Mogherini, alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza. A livello di singoli paesi era previsto l’intervento della Merkel, in ultimo venuto meno; mentre la Francia era rappresentata dal ministro degli Esteri Le Drian, che ha contribuito all’andamento dei lavori. Erano anche presenti le più significative organizzazioni internazionali, dal FMI alla Banca Mondiale, con la regia del libanese Salame’, inviato dell’Onu per la Libia.

La conferenza si è chiusa senza la sottoscrizione di un documento finale, testimoniando in questo senso il clima di incertezza e aleatorietà che avvolge la questione. Senza del pari accentuare la photo opportunity che ha visto Al Serray e Haftar stringersi la mano insieme al premier italiano Conte, si possono comunque registrare alcuni passi avanti che è opportuno sottolineare.

Una ritrovata sintonia fra Francia e Italia, ormai consapevoli della necessità di collaborare anziché competere nella ricerca di un difficile compromesso, è stata riconosciuta dalla prevalenza degli osservatori. E il piano presentato dall’inviato speciale dell’Onu Salame’ al Consiglio di Sicurezza è il passaggio su cui si è manifestata la convergenza.

I termini del piano prevedono che si tenga agli inizi del 2019 una specie di LoyaJirga, ovvero una conferenza nazionale in grado di coinvolgere tutte le forze in campo. Dal governo di Al Serray all’esercito di Haftar, passando per il parlamento di Tobruk, l’alto Consiglio di Stato e le tribù più importanti della Libia.

L’obiettivo è formare e accrescere il consenso su un percorso che porti alle elezioni nel 2019: in primavera le parlamentari, in modo da unificare parlamento di Tobruk ed istituzioni della Tripolitania; successivamente, forse nel dicembre 2019, le elezioni presidenziali.

Nel frattempo, Haftar ha accettato che resti in carica il governo di Al Serray – questo il messaggio veicolato contestualmente alla photo-opp – mentre l’Onu concorrerebbe a un piano di formazione della polizia locale per contenere e prevenire scontri e contrapposizioni fra le diverse fazioni.

L’Italia, già impegnata e apprezzata per le competenze dimostrate in questo settore in altri scenari di crisi, ha manifestato piena disponibilità in questo senso, come peraltro già condiviso a Skhirat nel 2015 quando Gentiloni affermò che l’Italia era pronta a dare il proprio contributo alla sicurezza del paese, anche partecipando allo schieramento di un contingente sotto l’egida dell’Onu.

Contemporaneamente, è stato revocato l’embargo sulle armi al governo di Tripoli – e non alla Cirenaica di Haftar – per sostenere ogni sforzo necessario al contrasto di Al Qaeda e altre insorgenze jihadiste.

L’accettazione e condivisione di questo percorso dalle diverse parti coinvolte è tutta da verificare. La ripresa dei combattimenti e l’occupazione dell’aeroporto di Tripoli da una delle milizie che si contrappongono, a pochi giorni dalla chiusura della conferenza, non consente eccessivi margini di ottimismo.

Non sembrano esserci, peraltro, altre vie da percorrere, se non insistere e vigilare che i punti definiti a Palermo siano fatti propri da ogni paese e parte interessata al componimento della crisi. Successivamente, quando il paese fosse avviato verso forme di governo più democratiche e rappresentative, ci sarà allora spazio per una politica europea, ove riesca ad esprimersi, di affiancamento e promozione dello sviluppo in linea con un piano Marshall per l’Africa più volte richiamato dal Presidente del Parlamento Europeo Tajani; anche per creare quelle occasioni di lavoro e formazione che possano intercettare e contenere il numero di migranti economici diretti in Europa.

 

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