L’ultima telefonata una settimana fa.
Mariella Gramaglia doveva partecipare con noi alla conferenza di Reset-Dialogues di Padova e Venezia, un confronto tra europei ed indiani.
Avevamo cominciato questi incontri cinque o sei anni fa anche perché spinti dalla sua esperienza, cui aveva dedicato un libro “Indiana. Nel cuore della democrazia più complicata del mondo”. Mariella nella telefonata non ha fatto alcun cenno alla malattia con cui aveva combattuto per anni. Mi ha detto che semplicemente le era impossibile venire a Venezia in quei giorni, con la consueta dolcezza, la stessa con cui aveva affrontato le situazioni più dure della sua vita, la perdita del marito Fernando Vianello, e le battaglie politiche, in cui mescolava, con il suo stile originale e unico, la amabilità e la cortesia istintive con la determinazione della volontà di una donna forte.
L’ho conosciuta attraverso Vittorio Foa, di cui si considerava una allieva. Insomma era un pezzo forte della squadra del vecchio azionista, che ne andava fiero, e aveva scelto di fare del giornalismo militante e femminista una ragione di vita, per passare poi alla politica, alla vita parlamentare. Abbiamo cominciato insieme la avventura di una rivista, per lei l’ennesima, per me la prima: “Reset”. Contribuì all’avvio dell’allora mensile anche con la sua quota di fondi. Ma era la promettente stagione dei sindaci, alla fine del ’93. Dopo la partenza della rivista decise di accettare la proposta di fare l’assessore, con Rutelli sindaco, addetto ai rapporti con i cittadini del Comune di Roma. Era l’aspetto della politica che amava di più e questa volta poteva impegnarsi personalmente e direttamente nei contatti umani, non più attraverso la mediazione parlamentare. Ma non ci siamo mai persi di vista. Mariella sarebbe tornata a impegnarsi con Reset per dar voce alla robusta protesta femminista negli anni peggiori di Arcore e delle Olgettine. Scrisse una lettera aperta a Fini, che fu l’innesco di una reazione a catena. E poi i dialoghi internazionali e le “complicazioni” della incredibile democrazia indiana con i suoi estremi di povertà e di iniquità, ma anche di ricchezza umana, spirituale e con il suo vastissimo pluralismo. Non abbiamo potuto e forse voluto salutarci come avremmo dovuto, una settimana fa, al telefono. Ma forse è meglio così.
– Giancarlo Bosetti –
Una femminista che ha amato la politica
Mariella Gramaglia si è spenta il 15 ottobre, a Roma, al termine di una malattia. Nata a Ivrea, era arrivata a Roma con in tasca una laurea in filosofia, conseguita nel 1972. Qui aveva incontrato le sue grandi passioni: il giornalismo, la politica, il femminismo.
Nel 1985, dopo aver scritto per riviste come Lavoro e aver varcato le soglie della redazione del Manifesto e degli uffici della Rai, era diventata direttrice di “Noi Donne: La storica rivista dei movimenti femminili”.
Un paio di anni più tardi, entrava in Parlamento tra i banchi della sinistra indipendente per poi dedicarsi, a partire dal 1994, al governo locale. Al Comune di Roma lavorò sia negli anni dell’amministrazione Rutelli che durante il quinquennio di Veltroni che la sceglie assessore alle politiche per la semplificazione e le pari opportunità.
Così, sul suo blog, lei stessa raccontava l’esperienza in politica:
Ho lavorato tanto, con quella fatica artigiana e quotidiana che difficilmente si pratica altrettanto in altri ruoli politici. L’elenco tecnico delle cose fatte per cercare di semplificare la vita dei cittadini, comunicare con loro e ascoltare il loro punto di vista, sarebbe lungo e noioso. Quello che conta è la sostanza: la consapevolezza vissuta che i diritti dei cittadini non si esercitano solo una volta ogni cinque anni per votare, ma sono il sale della democrazia ogni giorno. E che la loro dignità, la loro uscita dal ruolo di sudditi o di clientes, è uno straordinario valore per il quale impegnarsi.
Ma per chi non la conosceva, l’immagine completa della persona che era Mariella Gramaglia, si costruisce attraverso il saluto di chi con lei aveva lavorato, studiato, discusso di tutto, ma soprattutto di donne.
“La grande scoperta della mia vita”, così Mariella Gramaglia definiva il femminismo, quasi lasciando vedere la passione, come fosse tangibile, per quel movimento nato “quando i cuori delle donne hanno cominciato a cantare solo quando ne avevano voglia loro”. Un movimento che tanto aveva dato a Mariella Gramaglia e al quale lei aveva contraccambiato donando tempo ed energie, fino a prendere la decisione nel 2007 di partire per l’India per sostenere il sindacato autonomo delle lavoratrici Sewa.
Al momento della sua scomparsa però non sono le donne a esprimere con messaggi pubblici il loro dispiacere.
Ci sono sì le amiche di Se non ora quando e del Comitato 13 Febbraio. “Grazie per sempre”, la saluta Valeria Fedeli. “Una persona limpida, una femminista sorridente, sempre curiosa di capire”: è il ricordo di Cecilia D’Elia. Mentre Giorgia Serughetti descrive la perdita come “un dolore immenso”.
E ci sono le associazioni come lo stesso Comitato 13 Febbraio che piange una “meravigliosa amica”; e la Casa Internazionale delle donne che “si stringe nel dolore” per la scomparsa di quella che chiama “la nostra cara Mariella Gramaglia”.
Ma ci sono anche gli amici e i colleghi, come il direttore de La Stampa Mario Calabresi che celebra la sua vita “spesa con coraggio dalla parte dei diritti”; o il democratico ” Paolo Gentiloni che la ricorda come “Un esempio di giornalista, politica, amministratrice. Una donna mite e coraggiosa”.
E il saluto delle istituzioni, come quello del Presidente della Regione, Zingaretti che si dice “profondamente addolorato”. O quello, più informale, proprio di Veltroni: “Con Mariella scompare un’amica, era una persona straordinaria con cui ho a lungo lavorato condividendo e potendo apprezzare da vicino la sua passione il suo coraggio la sua voglia di cambiare le cose senza mai arrendersi su posizioni scontate”.