Con Raymond Boudon se ne va uno dei padri della sociologia del Novecento, che ci ha aiutato a capire i principali fenomeni sociali, un raffinato epistemologo, che ha difeso la scientificità delle scienze sociali, un intellettuale coraggioso, che da giovanissimo professore della Sorbona non ha esitato a sfidare le profondità spesso incomprensibili degli strutturalisti francese, il punto di riferimento di una intera generazione di studiosi, che negli anni Settanta e Ottanta hanno resistito al fascino dell’ideologia e hanno visto in Boudon un esempio per scienziati che ritenevano che il loro compito fosse quello di comprendere e non di criticare il mondo in cui vivevano.
Émile Durkheim amava ripetere che non vale la pena di dedicare una sola ora di tempo alle scienze sociali se esse non sono utili per la società. Se non pochi scienziati sociali hanno dato una interpretazione “politica” di questa raccomandazione, concependo il proprio mestiere come un rapporto diretto con l’opinione pubblica, a cui comunicare ex professo ciò che giusto e ciò che è ingiusto per il bene della società, Boudon ha scelto una strada opposta, che nella Francia degli anni Settanta lo ha inevitabilmente portato a scontrarsi con Bourdieu. Se vuole essere utile alla società, lo scienziato sociale deve accrescere la conoscenza empirica delle dinamiche sociali, dedicandosi soprattutto alla spiegazione, mediante teorie che superino rigorosi controlli logici ed empirici, di fenomeni a prima vista incomprensibili. L’utilità delle scienze sociali viene dunque a coincidere, per Boudon, con la sua rigorosa scientificità e con il netto rifiuto di ogni forma di scadimento nell’ideologia. E per fare ciò gli scienziati sociali devono evitare la tentazione sempre in agguato di reificare i concetti collettivi e di ricercare strutture che in modo occulto orienterebbero le relazioni sociali, e devono invece scegliere l’individualismo metodologico, che mette al centro dell’indagine l’azione e spiega i micro e i macro fenomeni sociali come esito intenzionale o inintenzionale di azioni razionali dettate da “buone ragioni”.
Quella messa a punto nel corso degli anni da Boudon, sulla scia di Weber, può essere definita una logica della spiegazione individualistica e nomologica: mediante ipotesi empiricamente controllabili, lo scienziato sociale deve ricostruire la catena causale ragioni-azioni-fenomeno sociale. Questa procedura esplicativa, basata sul presupposto che anche le azioni più incomprensibili per l’osservatore sono perfettamente razionali per chi le adotta e sulla consapevolezza che la non programmata combinazione tra catene di azioni indipendenti può generare “effetti perversi” persino opposti agli obiettivi prefissati, ha consentito a Boudon di formulare delle teorie (sul fallimento di riforme politiche, sul legame tra istruzione e mobilità sociale, sulle dinamiche del mutamento sociale, sulla diffusione delle ideologie e dei valori, sul ruolo degli intellettuali) che sono unanimemente considerate come tra i più solidi contributi scientifici della sociologia contemporanea.
Da intellettuale impegnato che ha sempre fatto i conti con i problemi del proprio tempo, negli ultimi anni Boudon ci ha offerto dei lucidissimi contributi su temi quali quelli del pluralismo etico e religioso, del multiculturalismo e del liberalismo. Contro i fondazionalisti, da un lato, che ricercano valori assoluti e gli irrazionalisti, dall’altro, che considerano le decisioni etiche come effetti di cause sociali diverse dalle ragioni dei singoli, Boudon ha insistito sul fatto che quelle morali sono scelte senza verità ma non senza ragione, dettate da “buone ragioni” che possono essere sempre in linea di principio comprese, a prescindere dalle differenze culturali e dalla loro condivisibilità. Diventa pertanto inaccettabile quel “mito della cornice” che concepisce le culture come entità ”incommensurabili”, per cui sarebbe vano ogni tentativo di comprendere e giudicare l’“altro”, nonché di dialogare con esso.
Originale e disincantata la sua analisi del liberalismo, proposta nel fortunato pamphlet Perché gli intellettuali non amano il liberalismo (Rubbettino, 2004). Gli intellettuali ostili al pensiero liberale sono soprattutto coloro che si sono formati nelle scienze sociali “meno esigenti”, i quali non hanno digerito la lezione weberiana circa la irriducibilità delle valutazioni etiche a spiegazioni scientifiche; intellettuali che non si sono posti il problema della controllabilità empirica delle loro teorie e che hanno percepito come fastidiose limitazioni nozioni come quelle di “oggettività“ e “verità”. Dall’epistemologia più accreditata è venuta invece una lezione di “modestia” per gli intellettuali, perché, ridimensionando le pretese della ragione, essa ha ridimensionato anche il ruolo degli intellettuali, riaffermando il valore della critica e l’autonomia di una ricerca orientata alla verità e non al potere. La “cura epistemologica” può dunque essere una buona terapia contro la diffusione di ideologie illiberali, ad una condizione: che gli intellettuali facciano la scelta – che solo la propria coscienza può imporgli – di portare, come diceva Kant, non lo strascico del Re, ma la lanterna davanti al Re. Ma sono stati pochi a fare questa scelta, perché la professione di modestia gnoseologica implica la rinuncia al ruolo sociale di maître-à-penser, a cui troppo spesso aspirano gli intellettuali, ostentando verità assolute, vantando conoscenze ai più inattingili sui destini dell’umanità; intellettuali, che più che la verità, cercano il consenso e il prestigio presso l’opinione pubblica e le classi dirigenti.
Boudon è stato un intellettuale che come pochi ha dimostrato come si può essere influenti stando “fuori dal coro”. Individualista, liberale e per giunta cattolico, in una Francia collettivista e sempre ostile al liberalismo, è riuscito a influenzare profondamente le scienze sociali del secondo dopoguerra. Ne è testimonianza la monumentale festschrift (Raymond Boudon: A Life in Sociology, Oxford 2011, 4 voll.) che gli ha dedicato un centinaio di studiosi di tutto il mondo, i quali hanno voluto fare un bilancio sistematico dei notevoli risultati che individualismo metodologico boudoniano ha consentito di raggiungere nei vari campi.
Ma con Boudon non se ne va solo un intellettuale tanto rigoroso quanto influente, ma anche una persona dotata di rara umanità, che ha insegnato a tanti di noi a cercare la verità e non il potere, ad ascoltare gli altri, ad essere esigenti con se stessi. Una persona che aveva avuto tutto dalla vita, che era diventato Accademico di Francia, che aveva insegnato nelle più prestigiose università del mondo, e che riusciva ancora a contagiarti con il suo entusiasmo come quando mostrava orgoglioso al suo vecchio allievo il manoscritto del suo ultimo libro in un brasserie di Parigi e che ti dimostrava di essere un grande maestro anche quando non esitava a prendere appunti dei commenti ricevuti.