“Cara, questo è Alessandro Spina, che sta tentando di far sentire gli italiani colpevoli per il loro passato coloniale”. Vittorio Sereni, grande poeta e scrittore italiano, introduceva così alla moglie Alessandro Spina, nome di penna di Basili Shafik Khouzam. Nato nel 1927 a Bengasi da una famiglia di siriani Maroniti, Basili fu poi mandato dal padre, un imprenditore tessile molto benestante, a Milano. Ecco che un giovane libico, di origini aleppine, si ritrova negli anni Quaranta e Cinquanta in Italia. Sente un senso di disorientamento, comune a coloro che sono “estranei” a una determinata società. Ma questa esperienza, insieme all’università a Milano, danno a Basili la possibilità di diventare un letterato. Torna in Libia dopo essersi laureto con una tesi su Moravia. A Bengasi, ci dice Khouzam, si scontra con la realtà del lavoro e i problemi degli operai. Nel tempo libero, invece, comincia a scrivere romanzi in italiano.
È da Alessandro Spina che parte un viaggio in quella che è la diaspora araba in Italia, divisa fra stereotipi e cultura. Da una parte c’è la normale quotidianità della stragrande maggioranza degli arabi venuti nel nostro paese – porta dell’Europa – e che si scontrano con pregiudizi e stereotipi di una Italia che fino a due decenni fa era ancora affossata nel reciproco disprezzo fra nord e sud. Un odio che affonda le sue radici in una delle tante questioni, in questo caso quella meridionale, mai davvero risolte. Fra queste c’è quella del colonialismo italiano. A differenza dello spagnolo e dell’inglese la nostra produzione letteraria coloniale e post coloniale è scarsa. In questo senso, Spina è una figura isolata. Scrive un ciclo di romanzi che vengono poi pubblicati in forma di raccolta per Morcelliana editore, dal titolo “I confini dell’ombra”. È una storia della Libia, un mosaico di voci. Si va dagli ufficiali italiani, ai burocrati libici. C’è la Libia ottomana fino a quella di Re Idris. Spina vince anche il premio Bagutta. Ma è isolato. È troppo avanti per l’Italia. Moravia lo aveva avvertito: “Non riuscirai a portare a termine questo progetto”. Gli italiani non sono pronti. Spina scompare nel 2013. I suoi libri vanno fuori catalogo in Italia, mentre è celebrato nel mondo anglosassone.
Ma se sulla questione coloniale gli “arabi italiani” non sono riusciti – ancora – a fare breccia, Amara Lakhous, scrittore algerino, per lunghi anni vissuto a Roma, con “Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio”, EO editore, ci restituisce il mosaico di una Italia che fa i conti con la quotidianità dell’incontro con l’altro. Attorno all’ascensore di un condominio ci sono tutti i pregiudizi e le paure dell’oggi. “L’Islam saprà convivere con noi?”; “rispettano le donne?”; “ci sono venuti a rubare il lavoro?” si sente domandare costantemente in tv. Le risposte, vere e oneste, perché non tralasciano neanche l’autocritica, ci vengono restituite solo dai libri di questi autori.
Se da una parte questa “letteratura migrante araba-italiana” risulta di nicchia qui nel nostro paese, nonostante alcuni autori abbiano venduto – si veda Lakhous – decine di migliaia di copie; dall’altro lato manca l’attenzione dell’editoria del mondo arabo. Ci si trova spesso con autori, come Spina, pubblicati nel mondo anglosassone e celebrati da premi Pulitzer, come Hisham Mattar, e sprovvisti di una edizione in lingua araba. Se è vero che questi autori ci devono spiegare l’Italia è altrettanto vero che devono spiegarla anche al mondo arabo che, come nelle umane cose, vive anche esso legato a pregiudizi che si smontano solo con una dose di vita reale.
Quest’articolo è un’anticipazione dell’intervento dedicato alla produzione letteraria delle diaspore arabe che Shady Hamadi, giornalista e scrittore, terrà giovedì 1° luglio ai Seminari di Carthage 2021 organizzati da ResetDOC in collaborazione con la Beit al-Hikma di Tunisi.
Foto: Una fiera libraria nella città di Derna, in Libia – Febbraio 2021 (AFP)