L’impatto del risultato elettorale francese sulla politica italiana sarà decisivo su almeno tre livelli.
Il primo riguarda il governo. Anche se le affinità ideologiche tra Hollande e Monti sono scarse (socialista il primo, liberale il secondo), il progetto politico molto differenziato (di lungo periodo il primo, di breve termine il secondo), e diverso è il loro stesso percorso (politico il primo, tecnocratico il secondo), il risultato elettorale francese rafforzerà il disegno e il governo di Monti per due ragioni importanti.
La prima è che in comune hanno entrambi una grande enfasi sul cambiamento, e sulla urgenza e la radicalità del medesimo (anche se lo vedono certamente in maniera diversa, e soprattutto da condizioni di partenza dei due paesi diversissime). La seconda riguarda l’impatto che la vittoria di Hollande avrà sul rapporto con la Germania e con l’Europa: si spezza l’asse Sarkozy-Merkel, e si apre una stagione di maggiore iniziativa europea contro la crisi, e di rafforzamento della stessa idea di Europa (politica, non solo monetaria), che rafforzerà il ruolo di Monti, con cui c’è una comune visione su alcune misure strategiche importanti (ad esempio sugli Eurobond) cui l’asse franco-tedesco era stato finora contrario.
Il secondo impatto sarà di natura politica più generale. Con la vittoria di Hollande i francesi hanno mostrato di volere un cambiamento che esca dagli schemi del mero rigore: si aspettano un rilancio che prospetti anche un nuovo modello di sviluppo, basato su priorità diverse, legate alla qualità dello sviluppo più che alla quantità della crescita (gli ecologisti, tra gli altri, hanno sostenuto Hollande con convinzione), innovativo rispetto al modello neo-liberista sin qui dominante. Si tratta di una domanda di ripensamento presente a più livelli in tutto il quadro politico europeo (nelle pubbliche opinioni più che nei partiti), che dalla vittoria di Hollande riceverà una spinta non solo simbolica assai significativa.
Il terzo impatto riguarda più direttamente il fronte progressista italiano. La vittoria di Hollande è stata il prodotto della selezione del leader attraverso delle elezioni primarie molto partecipate, che i francesi avevano affrontato per la prima volta con grande entusiasmo, copiandole di fatto dall’esperienza italiana.
Se Hollande è risultato il candidato più popolare e alla fine vincente, è perché non è stato il prodotto delle alchimie oligarchiche del Partito Socialista, ma il frutto di una scelta popolare larga, affidata alla base, ai francesi, iscritti o meno ai partiti, che lo hanno preferito ad altri. Incidentalmente, Hollande non ha partecipato alle primarie in quanto segretario del partito, ma le ha vinte contro il proprio segretario del partito di allora, Martine Aubry. Ecco, da qui viene un insegnamento e un esempio su cui sarebbe folle che il fronte progressista italiano e direttamente il Partito Democratico, che le ha introdotte in Italia, tornasse indietro.
Infine, una postilla greca alle conseguenze di elezioni straniere sul quadro politico italiano. Al di là di ogni altra considerazione, le elezioni greche ci dicono che il consenso ai partiti tradizionali (socialista e conservatore), che in tutta la storia democratica del paese hanno avuto insieme percentuali intorno ai quattro quinti, è crollato di oltre la metà, aprendo a molti nuovi partiti e forze politiche spesso dell’ultima ora.
Sta succedendo anche altrove, in forme e percentuali meno eclatanti. La Grecia, in maniera dirompente, ci dice che si apre un nuovo ciclo politico europeo. È un segnale anche ai partiti italiani, che non paiono essersene ancora resi conto.