«Le esigenze e i bisogni delle donne non sono parziali. L’11 dicembre abbiamo manifestato per sostenere una serie di proposte che riguardano il futuro del Paese. Abbiamo messo i temi delle donne al centro dell’agenda politica dei prossimi mesi». Così Francesca Izzo, una delle promotrici di “Se non ora quando?”, spiega il senso della manifestazione di domenica, sottolineando il ruolo che il movimento può e deve avere all’interno della dialettica democratica, pur non trasformandosi in un soggetto politico-istituzionale.
Partiamo dalla manifestazione dell’11 dicembre scorso.
Il movimento Se non ora quando è tornato a farsi sentire con le proprie rivendicazioni, a dimostrazione, se mai ce ne fosse stato bisogno, del fatto che quella dello scorso febbraio non era la protesta estemporanea di “poche radical chic”, come qualcuno ha sostenuto. Qual è il bilancio che si può trarre sul movimento, in questa fase?
La manifestazione dell’undici ha centrato gli obiettivi che si proponeva: in più di 20 piazze italiane uomini e donne hanno manifestato per sostenere una serie di proposte che riguardano il futuro del Paese. Abbiamo messo al centro dell’agenda politica dei prossimi mesi i temi delle donne, che non sono questioni, esigenze e bisogni parziali ma riguardano tutto il Paese. La manovra di Monti è d’emergenza. Alla fine di questo ciclo si tratterà di affrontare tutti i problemi legati allo sviluppo e alla crescita dell’Italia, economica e civica. Le donne dell’11 dicembre si sono poste come protagoniste.
A proposito di cicli, secondo la teoria sociologica classica, la vita di un movimento può essere analizzata secondo quattro fasi: alla genesi segue la mobilitazione, a questa il momento di consolidamento e la sua istituzionalizzazione, che spesso coincide con l’adozione di una forma partitica. Quale veste intende adottare Se non ora quando?
Noi vogliamo essere un movimento: in una democrazia articolata, infatti, non esistono solo partiti, ma anche movimenti, che non sono soltanto fuggevoli e momentanei, ma possono strutturarsi in modo solido pur rimanendo tali, cioè soggetti della società civile e non attori politico-istituzionali quali sono i partiti. Siamo abituati a una visione asfittica della vita democratica, con partiti ridotti a gruppi dirigenti, mentre una dialettica democratica ricca prevede più soggetti. Per questo il ruolo di Se non ora quando può essere altamente proficuo, non solo per le donne ma per la democrazia stessa.
Si parla spesso di crisi dei partiti, della loro capacità di rappresentare alcune fasce di elettorato. L’attitudine femminile alla partecipazione è storicamente più pragmatica, più libera dagli schemi di appartenenza partitica rispetto a quella maschile. In questo senso, che ruolo può avere il movimento come strumento di recupero di quella che è stata definita una “disaffezione di genere” nei confronti della politica?
Un ruolo importante, un movimento dovrebbe fare entrare nel discorso pubblico questioni che restano collaterali rispetto alla formazione dell’agenda politica. I temi relativi al rapporto tra la sfera lavorativa e quella familiare ad esempio toccano le dispute sociologiche ma non riescono a entrare nell’agenda politica. Lo stesso vale per le questioni connesse all’ingresso del corpo femminile nella policy. Per questo motivo il movimento delle donne non serve solo ad avvicinare i cittadini alla politica, ma anche e soprattutto a ridare linfa alla politica, a darle una maggiore aderenza a quelli che sono i grandi temi e le grandi questioni delle nostre democrazie.
Negli ultimi anni si è diffuso il concetto di democrazia paritaria, una democrazia che sopprime la matrice monotematica della politica e garantisce parità di accesso e di rappresentanza alle donne. Quanto è connessa la condizione femminile al concetto di qualità dei sistemi democratici?
Il dato della parità nelle assemblee rappresentative è il segno di quanto anche intere sfere di vita, tradizionalmente appannaggio delle donne, stiano entrando nella sfera pubblica. Quindi non solo sono rientrate nell’azione regolativa del governo, ma hanno acquisito un valore dal punto di vista politico, etico e civile. La democrazia paritaria non può ridursi a un aspetto quantitativo: il riequilibrio della rappresentanza di genere è strettamente correlato all’ingresso, nell’agenda di governo, di molte tematiche che erano state volutamente tenute fuori. Purtroppo, il fatto di non aver voluto vedere il problema prima, ha portato a un arretramento della vita civile, culturale e politica italiana.
Quali misure si aspetta nei prossimi mesi dal Governo in questo senso?
Abbiamo avanzato alcune proposte da sottoporre all’attenzione del governo e dei partiti:
la necessità di disegnare un nuovo welfare, inteso come investimento in infrastrutture sociali; il tema della tutela della maternità come diritto universale, quindi a carico della fiscalità generale; la conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa, con i congedi obbligatori anche per i padri; l’abolizione della norma che rendeva possibile l’imposizione di dimissioni in bianco; il problema della democrazia paritaria e del nuovo servizio pubblico televisivo. Si tratta di un pacchetto di riforme sia di tipo generale che di carattere concreto. Con esso vogliamo porci come movimento forte e articolato all’attenzione del governo e dei partiti perché queste istanze vengano accolte non solo per le donne, ma perché è necessario per il nostro Paese.