Prosegue l’inchiesta su portaborse e portavoce nel nuovo Parlamento. Qui la prima puntata.
Sui portaborse si gioca proprio la credibilità della classe politica che si affaccia a partecipare alla vita della nuova legislatura, lunga, media o breve che sia. Per esempio, lo scorso 6 marzo l’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati s’è guardato bene dal deliberare – in extremis – la regolarizzazione (leggi: assunzione “a tempo indeterminato” di trenta altri nuovi portaborse a Montecitorio – e senza concorso – da inserire sic et simpliciter tra il personale del Parlamento come collaboratori dei diciotto membri che compongono il medesimo Ufficio di presidenza. Probabilmente, visto il clima generale in materia di privilegi, il blitz non è riuscito. O, semplicemente, non se la sono sentita.
In genere la moltitudine dei collaboratori sono co.co.pro o partite Iva, guadagnano da un minimo di 600 ad un massimo di 2.000 euro, i più fortunati, spesso hanno anche più lauree nei propri “curricula”, conoscenza di più lingue e anche altre conoscenze specifiche che ne fanno dei collaboratori preziosi, anche se guardati con sospetto dall’opinione pubblica come soggetti destinatari di favoritismi vari.
Tuttavia, nel “mare magnum” delle tante collaborazioni parlamentari, c’è un caso che sfugge o va oltre le più trite dinamiche e i vetusti rituali del nepotismo, del clientelismo, del familismo o di come lo si voglia chiamare. È quello di Monica Macchioni, classe 1979, trentaquattro anni tra meno di due mesi, che si definisce un po’ come una «curatrice d’immagine in senso lato» o «una donna di pubbliche relazioni, ma non lobbista» e che offre la sua assistenza ai deputati che lo richiedono, a prescindere dalla loro diversa collocazione politica. Sia di centro, di destra o di sinistra. «Quando il rapporto non funziona più, allora lo sfumo». Per lei niente “fondi parlamentari” per assistenti, portavoce o portaborse. «Sono una rigorosa partita Iva». Il lavoro se lo guadagna sul campo. Un po’ all’americana, forse. E non ci sono precedenti simili al suo caso. Istituzionalmente parlando e fuori dalle logiche societarie del mondo degli “spin doctor”.
Nel suo lungo “curriculum vitae” si trovano prestazioni d’opera presso strutture speciali della Regione Emilia-Romagna, ad esempio presso il Gruppo consigliare del Pdci di cui è stata segretaria provinciale a Modena nell’ormai lontano 2002, per poi ricoprire il ruolo di ufficio stampa dell’on. Marco Rizzo e dell’astronauta Umberto Guidoni, eletti al Parlamento europeo nella delegazione dei Comunisti italiani. Ha cominciato con Masenna, Rocco Giacomino, Pagliarulo, tutti del Pdci, ha svolto consulenze per Vittorio Sgarbi quando nel 2006 era Assessore alla cultura al Comune di Milano, ha fatto da portavoce a Lorenzo Cesa, segretario nazionale dell’ormai pressoché estinta Udc, e – insieme – anche del senatore Francesco Pionati, già notista demitiano di un antico Tg1, poi portavoce di Mario Baccini, vicepresidente del Senato, Italo Bocchino, Anna Maria Bernini, del ministro Saverio Romano, Laura Ravetto, Lara Comi, la Gelmimi oltre a svolgere consulenza per la promozione d’immagine dell’Autorità degli Appalti pubblici. Nel suo carnet c’è ancor oggi la curatela dell’immagine di Fabrizio Cicchitto e quella della new entry Ernesto Carbone, «un renziano del Pd».
Interessi contrapposti e per lo più divergenti. Variegati. «Mi diverto a stressare la posizione dei singoli – dice di sé –, anche perché vivo la politica come passione e interesse vero, e in una certa misura la mia vecchia militanza politica lo testimonia, anche come dinamica delle posizioni politiche personali». A suo modo è un’indipendente, anche se rispetto a un normale giornalista non lo si sente poi tanto: «Non mi passa mai per l’anticamera del cervello di chiamare il giornalista tale o il caporedattore talaltro per dirgli o chiedergli “metti questa frase”. Secondo me il giornalista deve essere autonomo, se non fa un altro mestiere, il mio. Perché io non sono autonoma, altrimenti farei la giornalista. Non è carino essere ingerente nel lavoro altrui».
Più che un addetto stampa o una portavoce in senso stretto e classico, lei è un «facilitatore di rapporti e relazioni». Oggi si direbbe «crea link». Con il suo pacchetto di politici a disposizione li colloca nei talk show, ad esempio, e aiuta giornalisti, conduttori, anchorman e anchorwoman che siano ad averli ospiti nelle rispettive trasmissioni. «La tv stressa i difetti, e la tv in questo paga molto. Ti fa vedere se riesci oppure no, se emergi o soccombi, se sei uno costruito o vero. Penso che la tv rappresenti ancora un mezzo e un modo per condizionare il pensiero di massa. Del resto, anche Grillo se non fosse stato conosciuto per la tv che ha fatto in passato e per come l’ha usata ora, non sarebbe andato da nessuna parte e non sarebbe diventato il fenomeno che è diventato. Sfrutta i benefici della tv, passata e presente» analizza lei.
Con i suoi politici di riferimento e del suo bouquet decide tempi, modi e contenuti delle dichiarazioni da mettere in rete o inviare alle agenzie per poi essere riprese dai giornali o dalle tv. Crea casi giornalistici, sollecita o suggerisce prese di posizione su un tema piuttosto che un altro. Venendosi a trovare anche in situazioni non semplici «come quella volta in cui – racconta – Bocchino insultava la Ravetto e lei gli replicava animatamente. Io dissentivo profondamente ma dovevo anche stare al gioco perché erano tutti e due sotto la mia tutela d’immagine. Li sconsigliavo, e non per conflitto d’interesse, ma perché più che altro non ne valeva la pena. Però fu il segnale dell’inizio di una crisi, tanto che “Il Messaggero” il giorno dopo titolò “Il Pdl si spacca”».
È già difficile tutelare politici affini, com’è possibile con interessi contrapposti? «Offro loro quel che serve rispetto a quel che sono. Li seguo in modo separato, senza farmi influenzare dalle loro diverse collocazioni. Si tratta sempre di studiare bene la situazione, come e quando intervenire, talvolta creando persino finte notizie, anche “la mosca” che attacca “l’elefante” può essere una notizia, una curiosità».
Il suo schema generale? «Innanzi tutto leggere quel che esce sui giornali. Credo siano fondamentali. Lo so che è progressivamente in calo il numero delle persone che li legge, ma dai giornali non si può prescindere. Per me sono la base di partenza. Io mi alzo alle tre. E vado avanti a leggerli fino alle dieci, tutti i giorni. Devo dire che mi piace, forse è anche una forma di perversione. Ma la loro lettura ti fa venire delle idee, un virgolettato, una dichiarazione o un retroscena ti suggerisce una connessione. Alle 10,30 più o meno un’idea del mondo e di come andrà la giornata te la sei fatta. Scegli il tema e in quel caso vedi chi puoi fare intervenire, contro chi e per dire cosa. In pratica ti metti nel gioco delle agenzie. Il mio sistema è mettere sempre tutto in rete e se ha interessato qualcuno lo vedi subito, vedi se qualcuno ti ha ripreso, una citazione, un’intervista. E capisci se c’hai beccato oppure no. Io suggerisco, consiglio, non faccio e non mando mai nulla di testa mia. Tutto quel che preparo avviene in sinergia e in perfetto accordo con la persona che seguo. Se ha un’idea me la sottopone, la discutiamo, vagliamo l’opportunità. A volte ci sono cose giuste dette nel momento sbagliato, perché farlo bruciando magari una notizia?»
Anche lei in questi giorni si sta guardando intorno. Qualcuno dei vecchi “clienti” l’ha già confermata, ma i nuovi? Sta osservando le facce, i “curricula” che appaiono sui giornali, non solo nazionali. Studia. E si prepara. Ma avverte: «Non so se continuerò a fare questo mestiere, dipende anche se il sistema nel suo complesso regge o non regge. Se arrivano i grillini e dicono “sventriamo il Palazzo” oppure “smantelliamo tutto”. In questo momento sto cercando solo di capire chi ha bisogno di cosa, chi saranno i capigruppo. Per ora è ancora tutto in movimento. In verità non si capisce ancora un bel nulla. Indispensabile è riuscire a mantenere l’ingresso alla Camera, è fondamentale: lì ci sono le notizie».
Monica Macchioni produce anche una Rassegna stampa mattutina, una sintesi dei principali titoli e articoli che manda a circa 400 persone, la pubblica pure su Facebook e la offre via mail. Come si calcola economicamente il lavoro che fa? C’è un tariffario? «Dipende dalla persona. Dal lavoro più o meno dedicato che faccio, da quanto ci devo star dietro. Non sono tutti sullo stesso livello. Dipende dal tempo che richiede il lavoro per ciascuno, da tante cose. Però sono in servizio permanente effettivo, perché mi diverte. Più che un lavoro, quasi un divertimento. Un hobby con cui mi mantengo. Anche se non è quella la molla, perché ci sono tanti altri lavori con cui ci si sostiene anche meglio. Però magari ti annoi di più. Secondo me la qualità della vita è la cosa principale. Cioè viver bene utilizzando il cervello, mantiene vivi. E positivi. Infatti sono una persona abbastanza ottimista, nonostante tutt’intorno ci siano solo macerie e sfracelli, ovunque. Di fatto non so ancora che lavoro farò e con chi fra dieci giorni. Non dico che non mi pongo il problema, sarebbe eccessivo, però sono relativamente tranquilla». C’è forse una piccola dose di follia in lei.
Il 19 marzo s’insedia il nuovo Parlamento. L’avventura della comunicazione riparte.