Libri, film, incontri, dibattiti. E poi ieri, finalmente, la commemorazione pubblica con la presenza e l’intervento, storici, del presidente della Repubblica. C’è una nuova aria di consapevolezza, dopo decenni di mezze parole e mezze verità, attorno a piazza Fontana, la strage che terremotò l’Italia del boom economico in una strada di tormenti e violenza senza fine. Soprattutto tra le generazioni nate dopo quel fatidico 1969, per anni tagliate fuori dalla conoscenza, e dunque dalla memoria, di quella stagione.
È un inizio di presa di coscienza e riscoperta, ma il sentiero è ancora quanto mai lungo. Ne è convinto, tra gli altri, Ferruccio Ascari, artista poliedrico e filosofo. Quando esplose la bomba, aveva vent’anni e come tutta la sua generazione – racconta a Reset – rimase sconvolto: da quella smisurata e inattesa violenza, e dalla ricerca ossessiva del “mostro” da sbattere in prima pagina (Pietro Valpreda) subito dopo. Un trauma segnante, ma difficile da comprendere per i ventenni di oggi, nati e cresciuti in un’Italia incerta e fragile, ma senza l’ombra della violenza.
Per questo, in vista del 50esimo anniversario, Ascari ha ideato e promosso insieme a un gruppo in costante crescita di cittadini il comitato “Non dimenticarmi”. E il primo obiettivo che si è dato è molto concreto: convincere la città di Milano ad adottare e collocare un monumento – meglio, una “installazione ambientale” – dedicato alle vittime di tutte le stragi di quella stagione.
«Senza una visione d’insieme – riflette Ascari – è impossibile comprendere davvero ciò che accadde, e scadremmo in una memoria monca, frammentata». Piazza Fontana, invece, fu come si comprese presto “la madre di tutte le stragi”. Di certo di quelle per le quali è ormai acclarato il ruolo di uomini o servizi dello Stato nello scommettere sul sangue di innocenti e sulla tensione come armi per deviare il corso degli sviluppi politici: Gioia Tauro (1970), Peteano (’72), la Questura di Milano (’73); l’Italicus e piazza della Loggia (’74). E poi ancora Brescia in piazzale Arnaldo (’76), sino all’eccidio della stazione di Bologna (’80).
Una scia di sangue e sofferenze che – assente da qualsiasi programma scolastico – anche un luogo di riflessione e contaminazione può contribuire a ricostruire. Il memoriale è in effetti un’enorme installazione aperta, composta di 136 steli ricurvi, come fiori spenti, alla sommità dei quali è appesa una piccola campana di bronzo. Un omaggio ideale a ciascuna delle vittime innocenti di quella sequenza di bombe: di più, «una doverosa riparazione nei confronti della mancata giustizia e della ferita ancora aperta inflitta al nostro Paese», afferma sul suo sito il comitato “Non Dimenticarmi”.
Il progetto è attualmente al vaglio del Comune di Milano, che ha già dato segnali d’interesse, tanto da ipotizzare, con l’assessore competente Pierfrancesco Maran, la possibile futura collocazione: viale Andrea Doria, a pochi passi dalla stazione Centrale.
Dopo le formelle piantate negli scorsi giorni in piazza Fontana, l’albero piantumato dal sindaco Sala alla memoria di Giuseppe Pinelli, e le altre targhe già esistenti, un ulteriore tentativo di riattivare il circuito della memoria tramite un concretissimo arredo urbano. Funzionerà? «Se aumentano i segni visibili la città non può che giovarsene», riflette Benedetta Tobagi, storica e appassionata studiosa della storia della strategia della tensione, oltre che figlia di un’altra illustre vittima della violenza di quegli anni. «Il problema però è animarli, far sì che divengano luoghi vivi, in grado di stabilire una relazione con le persone che li vedono, percorrono, calpestano – così da aiutarle a riconnettersi con il proprio passato».
Ascari stesso, d’altra parte, ammette che il memoriale non può essere che uno degli ingredienti di quest’esercizio collettivo: uno stimolo, un invito allo studio, al dialogo, al porsi domande e cercare risposte. Tanto che lo stesso comitato “Non Dimenticarmi” ha già progettato almeno un altro strumento per rendere omaggio alle vittime e rinnovare la memoria: la performance Chi è Stato?. Un viaggio nello stesso passato di meno di 30 minuti tramite i corpi di attori e le proiezioni di frammenti video per andare al cuore dell’interrogativo centrale, ancora oggi: chi volle quelle stragi, e perché?
Domenica 15 dicembre, sarà proprio questa performance – prodotta e realizzata interamente da volontari – a chiudere il programma della giornata aperta di commemorazione indetta dal Comune di Milano per ricordare il corteo con cui tutta la città accompagnò, tre giorni dopo la strage, i funerali delle vittime di piazza Fontana. Secondo molti, ponendo l’argine decisivo ad una svolta ancor più violenta e autoritaria.
..anche in questo caso la memoria va tramandata attraverso i figli e i nipoti, la verità diffusa e come sempre bisogna “STUDIARE” e “RICORDARE” dopo aver studiato
(Per i giovani può essere molto difficile se è vero che molti pensano a Pz.Fontana causata dalle BR!)