Appare in gran forma, lucido ed entusiasta, nonostante le 91 primavere che ha alle spalle, lo storico Marc Ferro, autorevole specialista della storia di Francia, della Russia, dell’URSS nonché della storia del grande schermo. Ci riceve nella sua abitazione nei pressi di Parigi, in un’elegante palazzina di Saint-Germain.en Laye. Vanta al suo attivo ben quaranta volumi, “tutti redatti a mano” tiene a precisare, e ha avuto mille vite: cittadino impegnato nonché testimone del XX secolo ha combattuto con la Resistenza, ha vissuto in prima persona la guerra d’Algeria e la decolonizzazione. Schierato con il Partito comunista, ha vissuto il ritorno di de Gaulle, gli avvenimenti del Maggio ‘68, nonché i movimenti intellettuali che hanno segnato la Francia. Ha raccontato se stesso e il suo secolo in Histoires parallèles (2011), con umorismo e nonchalance. Ai rapporti fra storia e cinema ha dedicato alcuni volumi, fra cui nel 2003 Le cinéma, une vision de l’histoire.
Racconta di come scoprì le contraddizioni dell’animo umano militando per l’indipendenza dell’Algeria allorché, nel corso di una discussione con un compagno comunista sposato con una musulmana, lo sentì esclamare: “Anche la mia moresca [araba] capirebbe”. Quindi – ne concluse allora Ferro – «si può essere progressista, e al tempo stesso, inconsapevolmente, reazionario o razzista», come in questo caso, in cui «a un’ideologia di sinistra veniva a contrapporsi una mentalità di destra»; e spesso, constata, «quest’ultima si rivela più forte dell’ideologia: la cecità può prendere il sopravvento sulla razionalità».
Ferro racconta questo episodio al fianco di molti altri in un libro recentemente apparso dal titolo L’aveuglement. Une autre histoire de notre monde [La cecità. Un’altra storia del nostro mondo], (ed. Tallandier, 427 pp., 21 euro), in cui intende mostrare come, a più riprese, negli ultimi cento anni, non si sia avuta un’adeguata comprensione dei processi che si stavano compiendo. In ciò consisterebbe, a suo dire, la cecità quale elemento caratteristico della storia contemporanea, chiave di lettura privilegiata anche per interpretare gli avvenimenti della storia recente.
«Certo, esistono diversi elementi di cecità», spiega. «Ho scelto di iniziare nel mio libro da tre esempi del nostro secolo, solo in apparenza fra essi molto diversi: la rivolta dei giovani del maggio 1968, gli attentati operati da al-Qaida l’11 settembre del 2001 e l’ascesa della Cina – mentre si prevedeva quella del Giappone – perché questi avvenimenti si configurano come imprevedibili, o meglio come processi ‘sotterranei’, lenti nel tempo, anche per i professionisti dell’analisi, quali i politici e i giornalisti, gli specialisti di politica».
I professionisti della politica, ad esempio, non erano in grado di prevedere come dei giovani, degli studenti, potessero scatenare un movimento sociale gigantesco in Germania, in Francia, negli Stati Uniti: «De Gaulle, nel 1968 nostro Presidente, chiedeva ‘ma cosa vogliono questi?’, riferendosi a questi giovani come a soggetti a lui del tutto estranei: egli, infatti, conosceva perfettamente le rivendicazioni dei partiti, dei sindacati, dei cattolici, dei comunisti, dei fascisti, ma non dei giovani che non costituivano una forza politica». Lo stesso, a suo dire, sarebbe avvenuto per al-Qaida, che «non deteneva nessun territorio, alcuno Stato, né struttura istituzionale nota, mentre si configurava soltanto come nebuloso ricettacolo di terroristi sparsi per il mondo. Eppure proprio al-Qaida ha messo in ginocchio gli USA, e ricordo nel mio libro come nel 1996, sul New York Times comparve un annuncio di tre righe appena in cui si segnalava che l’organizzazione avrebbe dichiarato la guerra agli Stati Uniti, e che inevitabilmente passò inosservato». Quanto alla Cina: «Oggi il Dragone ci appare come uno Stato fortemente industrializzato, ma non dobbiamo pensare alle grandi aziende alla tedesca, alla francese o all’americana, poiché lì – ricorda Ferro – abbiamo i negozietti, uno accanto all’altro, come un rosario. Le potenzialità del mercato cinese sono sempre state ignorate dagli studiosi occidentali. E ci troviamo dunque, ancora una volta, a dover “far fronte a una ‘nebulosa’ poco visibile».
E già nel 2011 in occasione del decimo anniversario degli attentati alle Torre Gemelle, Ferro aveva anticipato la propria visione della cecità, sostenendo che «gli americani erano inconsapevoli di quanto stava accadendo e non capivano per quale motivo gli USA potessero essere oggetto di risentimento e di odio. Vivevano nell’illusione che il loro Paese fosse perfetto (…). Preferivano ignorare che tanti in Sudamerica, in Oriente, in Europa, li detestavano». Insomma, per lo storico gli americani «non si sono ancora ripresi poiché vogliono essere un modello per il mondo, ma rifiutano di accettare il fatto che buona parte del mondo contesta questo modello».
Non pochi altri esempi gli apparirebbero rivelatori: nelle prime pagine del volume, per esempio, compare l’immagine della ragazza berlinese che l’11 novembre 1918 esulta convinta che la Germania fosse uscita vittoriosa dalla Grande Guerra: «Il comunicato dell’Alto comando tedesco – spiega – annunciava che ‘i soldati tornano non vinti dai campi di battaglia’. E quindi, come si poteva pensare che la Germania sconfitta aveva concluso l’armistizio quando il patrio suolo era rimasto inviolato? I tedeschi festeggiano la fine della guerra con il medesimo entusiasmo dei francesi, degli inglesi, degli americani, che l’avevano invece vinta. Non conoscevano né le clausole dell’armistizio né quelle del trattato di Versailles che dichiaravano la Germania responsabile delle ostilità: ecco, quindi, un altro caso di cecità, dovuto al comunicato ingannevole nonché al ‘colpo di pugnale nella schiena’ ideato dall’Alto comando per nascondere la disfatta. E questa convinzione ebbe lunga vita, in quanto portò all’ascesa di Hitler con tutte le conseguenze a noi tristemente note».
«Questa fotografia – racconta fiero – l’ho ritrovata io, casualmente, nel 1963 negli archivi di Coblenza quando preparavo un film sulla Grande Guerra: Mi consegnarono una bobina di 35 millimetri, che riuscii ad aprire con un coltellino e portava indicato sul bordo ‘11 novembre 1918’…». Ecco che a Ferro apparve l’immagine, «Era l’esempio principe della più totale cecità! Una cecità di massa, ben rappresentata dall’utilizzo di un termine specifico – dice dopo aver cercato fra le pagine del suo libro – ovverosia quello di méprise (l’errore, l’abbaglio), per dire che si prende un abbaglio, non si vede bene, si vive una situazione che in realtà è tutt’altra».
Si domanda, ancora, lo storico nel suo libro: perché delle situazioni eccezionali non sono state previste? E fra i numerosi esempi citati, quello della Prima Guerra Mondiale, che sarebbe dovuta durare sei settimane, e gli accordi di Monaco che ci garantivano la pace. Coglie l’occasione per ricordare un’ulteriore méprise, ovverosia quello del ritorno, accolto con acclamazioni, dalla conferenza di Monaco nel 1938 del Presidente del Consiglio Edouard Daladier: «I francesi credevano di avere salvato la pace, senza vedere la capitolazione. Lo stesso Primo ministro, dinanzi alla folla entusiasta, venne a etichettare i francesi come “coglioni”. Considerava tali i suoi concittadini perché riponevano fiducia nei Patti di Monaco, quando in realtà lui stesso e il primo ministro britannico Arthur Chamberlain avevano ceduto a tutte le richieste del Führer».
«Ho cercato di ricordare i comportamenti che creano cecità, di offrirne degli esempi, anche se gli esempi puri appaiono rari, poiché il diniego e l’ingenuità possono anch’essi generare cecità». Così sarebbe avvenuto nel caso dell’interpretazione del regime sovietico: «L’esperienza sovietica suscita la credulità di tutti i militanti dei Partiti comunisti occidentali, che si recano in URSS e si convincono che i dissidenti venivano incarcerati nell’obiettivo di educarli. Lo studioso Pierre Pascal (1890-1983), slavista ed esperto di storia dell’URSS, raccontava delle idilliache condizioni di vita dei carcerati, e dieci anni dopo appena, negli anni ’30, ammise di essere stato cieco. Ma in questo caso si trattava di una cecità ordinaria, che posso per certi versi comprendere». Per Ferro, letteralmente mai stato “né comunista, né anticomunista, ma sempre di sinistra”, si credeva quello che si voleva credere: ci si recava in URSS dove si era realizzata “una rivoluzione straordinaria”. In seguito però divenne sempre più difficile negare l’esistenza dei gulag, poiché si sapeva, sul finire degli anni ’30, che vi morivano numerosi oppositori.
Ferro, ancora, nella sua ricerca, prende in esame anche il ‘diniego’, e quello degli ebrei gli appare sorprendente: «Raymond–Raoul Lambert, presidente degli israeliti di Francia, pur assistendo a un arresto dopo l’altro, e a sua volta deportato nel 1942, scriveva ai familiari promettendo “Vi trasmetterò il mio indirizzo”; ignorava quindi che i deportati venivano sterminati. Aveva chiamato sua figlia nata poco prima del suo arresto Marie-France, e non vedeva altro che la “tenacità germanica” dietro la molteplicità dei decreti di applicazione del secondo statuto degli ebrei».
Ma torniamo all’11 settembre 2001, e poi, ancora più vicino, ovverosia alle azioni dell’ISIS ed al reclutamento di molti giovani che partono dall’Europa per combattere la guerra santa in Siria. A questo proposito Ferro sostiene: «La cecità mi appare volontaria da parte nostra: si è detto da subito che l’ISIS non era uno Stato, quindi non esisteva, i suoi adepti venivano considerati dei pazzi, ed etichettandoli come ‘ lupi solitari’ li si è ridotti a terroristi e delinquenti, in maniera molto riduttiva». Le diagnosi si sono poi rivelate di gran lunga errate, «per volontà di non sapere».
Lo storico tiene a narrare un ulteriore episodio: «Nel 1997, invitato in un’università marocchina per discutere di un mio libro sulla colonizzazione (Histoire des colonisations, 1996), trovai i miei ospiti sorpresi dal fatto che conoscessi bene il Paese, e a cena si discuteva dell’Islam, degli arabi, in grande libertà, come mai avevo visto accadere invece in Algeria. Notai però che le donne non erano presenti, e lo rimarcai. Gli organizzatori, alla fine della cena, mi offrirono di nascosto un pacchettino contenente un libro, raccomandandomi di leggerlo soltanto una volta arrivato in Francia. Cosa che feci: si trattava di un testo dal titolo Islamizzare la modernità. Ciò avveniva – constata – mentre il mondo occidentale continuava a illudersi che si stesse piuttosto modernizzando l’Islam. Nella copertina del volume – scritto da un tale Yassine – compariva un grattacielo con sopra la bandiera dell’Islam, e questo quattro anni prima del 2001. Insomma, nessuno vuole vedere che il progetto islamico consiste nell’islamizzazione del mondo».
E continua constatando: «Il Paese da cui parte la maggior parte dei volontari in Siria, in proporzione della popolazione, è la Repubblica Maldiva: ben quattrocento famiglie da un Paese che ha meno di un milione di abitanti. L’ISIS, insomma, costituisce un arcipelago che utilizza la Jihad lontana, ovverosia la sharia, in nome del diritto alla differenza ed utilizza le conversioni, come nel Medioevo» Con quest’affermazione, Ferro intenderebbe mostrare come «L’ISIS non ha influenza solo in Siria ma – a differenza di Assad – ma è un’organizzazione che in futuro potrebbe contare su 500 o 600 milioni di eredi, ovverosia su d’una riserva esplosiva quanto a capacità di distruggere ovunque e in qualsiasi momento, rivelandosi assai più pericoloso di quanto ora appare sotto i nostri occhi nel corso della guerra civile siriana».
Ferro ha affermato a più riprese che “il passato delle società costituisce un inesauribile serbatoio di risentimenti”, e ne offre quattro tipologie che costituirebbero «Altrettanti elementi di cecità che si intrecciano l’uno con l’altro e di cui l’Europa deve inevitabilmente rendersi consapevole in quanto essi rappresentano un pericolo per la nostra era». A cosa si riferisce? «Il primo – che tutti noi conosciamo –, viene dai Paesi ex-colonizzati; poi vi è il risentimento dei Paesi dell’Est nei confronti della Russia, prima quella zarista che li ha dominati per un secolo, poi l’URSS, che li ha tenuti sotto scacco per cinquant’anni. A loro non interessa la questione dei rifugiati, in quanto il loro terrore lo hanno vissuto ai tempi dello zar e di Stalin. Questo risentimento appare ancora vivo e in questo momento non siamo in grado di affrontarlo. Vi è poi l’astio da parte di quasi tutti nei confronti degli USA, per via del loro intervento in Afghanistan, in Iraq, e prima ancora in Cile e in Venezuela. E per finire, la sfida davvero più difficile, un elemento di cecità che viene dai Paesi dell’ex Est Europa che provano risentimento nei confronti dell’Unione europea pur facendone ormai parte: essi, infatti, rimproverano agli Stati fondatori di non avere mosso un dito per aiutarli negli anni bui, dal 1945 al 1989…». Non a caso, a dire dello storico, ormai il timone non è più tenuto dalla Gran Bretagna, dalla Francia o dall’Italia, ma cresce il peso dei paesi già satelliti dell’Unione Sovietica come la Lettonia, l’Estonia e la Polonia.
Titolo: L’aveuglement. Une autre histoire de notre monde
Autore: Marc Ferro
Editore: Tallandier
Pagine: 427
Prezzo: 21 euro €
Anno di pubblicazione: 2015
ottimo
Interessante e veritiero. Appena posso lo compro. Mi interessa soprattutto vedere se Ferro esamina come l’allora Al Qaeda Iraq (poi divenuto ISIS) abbia fatto a “sottomettere”, a mio giudizio senza spargimento di sangue, sei milioni di popolazione irachena e siriana.