Una nuova grande rivoluzione tecnologica e industriale è alle porte. Connettività, Velocità, Memoria e Automazione stanno modificando trasversalmente la società contemporanea: dalla vita quotidiana delle persone ai sistemi di difesa dei poteri sovrani. La buona notizia è che la rivoluzione è alimentata da paesi con cui l’Italia intrattiene buoni rapporti come gli Stati Uniti, il Canada, i Paesi Nordici, la Germania e il Giappone. La brutta notizia è che nelle ricerche di frontiera ognuno gioca per sé. Questo vuol dire che nel giro di un paio di anni l’Italia potrebbe perdere i suoi residui margini di competitività industriale. Da qualche mese gli istituti di ricerca più accreditati segnalano una vera e propria escalation nella gara scientifica, tecnologica ed industriale tra i Sistemi Paese.
Spesso la competizione più dura si registra proprio tra paesi alleati. Anche chi non ha partecipato direttamente ai recenti incontri tra il premier David Cameron e la cancelliera Angela Merkel ha potuto agevolmente intuire il clima che si respira. Il leader britannico ha offerto alla Germania un patto di cooperazione bilaterale su nuovi e promettenti dossier tecnologici, ma – verrebbe da dire per nostra fortuna – i due paesi non hanno ancora assunto decisioni bilaterali di carattere strategico. Nel campo delle politiche industriali e tecnologiche (a differenza della politica economica dove è indispensabile un cambiamento profondo in sede UE) l’Italia deve innanzitutto decidere una propria strategia. L’Unione Europea, infatti, non dispone degli strumenti per tutelare e soprattutto promuovere su scala globale gli interessi (anche quando convergenti) dei suoi Stati Membri. Al massimo può approfittare di finanziamenti per progetti quali quelli del programma Horizon 2020 e strumenti similari.
L’Italia è a un bivio. Il nostro paese ha le risorse necessarie per evitare una clamorosa retrocessione: in termini di capitale umano, ricerca, quote di mercato ed alleanze industriali; ma – come si dice a Firenze – l’Italia “è alle porte coi sassi”. La peculiarità della storia italiana, la ridotta dimensione delle imprese e le abitudini radicate nel sistema politico-amministrativo ci hanno sempre impedito di operare come “Sistema Italia” o – per usare termini più appropriati sul piano politologico – di agire strategicamente sulla base di “Italian National Interests” predefiniti e pianificati. Questo deficit di cultura strategica è in parte compensato da una virtù: nelle situazioni di emergenza l’Italia si dimostra attenta, proattiva ed efficiente.
Le nuvole che si addensano sul futuro del Sistema Italia non alludono ad una tempesta passeggera; non è facile comunicarlo all’opinione pubblica, ma siamo di fronte ad una vera e propria emergenza: una nuova e terribile minaccia che incombe sul futuro dei nostri giovani. Che fare? Il caso ci viene in aiuto. L’agenda politica delle prossime settimane offre al Governo molteplici opportunità per compiere scelte lungimiranti in materia di politiche industriali. Speriamo che le virtù del Principe riescano a battere i capricci della fortuna. Ma l’esempio non può venire solo dall’alto: la “svolta” è prima di tutto nelle nostre mani. Spetta innanzitutto al mondo accademico, ai laboratori scientifici, alle imprese di eccellenza lanciare l’allarme.
Marco Mayer, docente di Cyberspace and International Relations, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa