Tre sono le chiavi per comprendere il fenomeno Grillo politico, dice Roberto Biorcio. Uno, il comico è un grande comunicatore e catalizzatore di attenzione mediatica. Secondo, la centralità dei meetup, le cellule originarie dell’attivismo del M5S. E tre, la capacità di canalizzare la protesta anti-partiti montata in questi anni in una forma nuova di partecipazione politica. «L’esperimento di Grillo è questo. Non c’è nessuna garanzia di cosa ne può nascere effettivamente e neanche di quali possano essere i risultati, per esempio dopo l’ingresso in Parlamento» dice il politologo dell’Università Bicocca di Milano che manda in libreria in questi giorni il volume scritto assieme a Paolo Natale Politica a 5 stelle. Idee, storia e strategie del movimento di Grillo (Feltrinelli).
Dov’è il segreto del successo di Grillo e del M5S?
Grillo è riuscito a trasformare la sfiducia in impegno civico. Bisogna capire come evolverà, perché non è affatto semplice come esperienza, però Grillo ha fatto un’operazione opposta a quella dei populisti.
Eppure in molti gli danno del populista?
Questi ultimi in Europa sono riusciti a trasformare un elettorato moderato in una forma di estremismo di destra, vedi la Lega che negli anni Novanta era molto più al centro e ora molto più a destra. Lo stesso che è capitato in Austria con Haider e in Svizzera con Blocher che aveva un partito popolare e ora fa i referendum contro le moschee. Ecco, Grillo fa un’operazione opposta. Partendo dalla grande sfiducia che si ampliata moltissimo con la caduta del governo Berlusconi, è riuscito a trasformare un’insoddisfazione che era quella verso i partiti di sinistra e di destra in una forma di mobilitazione.
Dunque c’è solo una semplificazione dell’informazione e della politica nel dare a Grillo del populista.
Da una parte c’è il rituale collettivo fin dai tempi del primo Vday di Bologna nel 2007 del vaffanculo a tutta la classe politica, dall’altra però c’è l’attivismo, la raccolta delle firme, il civismo legato al territorio. E questioni come quelle del Parlamento pulito, senza candidati inquisiti, sono state imposte anche alle altre liste. Non era mai successo che si discutesse di questioni analoghe.
È possibile fotografare la composizione politica dell’elettorato M5S? Ha ragione Berlusconi quando dice che i candidati sono per il 90 per cento No Tav?
Nel libro che ho scritto con Paolo Natale, individuiamo quattro fasce di elettori del M5S: attivisti, gauchisti, i pragmatici e quelli che lo vedono come il male minore. Da quello che emerge dai nostri sondaggi, l’elettorato a destra che sceglie Grillo è più o meno un quarto. Gli eletti alle parlamentarie sono gente che si è messa in luce per piccole battaglie sul territorio, un attivismo di base diffuso. L’operazione rischiosa che ha fatto Grillo di pescare quelli che in altri paesi vanno verso Le Pen o Alba Dorata. Ha sfiorato i mondi della destra e della sinistra, intercettando anche voti in libera uscita da entrambi però sono solo una componente, Paolo Natale stima attorno al 20/25 per cento quella più qualunquista o di destra. Se guardi poi gli eletti in Sicilia non sono quelli, non sono di destra. Il voto a Grillo per alcuni, non per tutti, è un’alternativa all’astensione.
Dunque, un movimento postideologico ma che come composizione elettorale pende a sinistra.
I primi elettori del Movimento erano più di sinistra. Dopo il crollo del governo Berlusconi e le note vicende giudiziarie che hanno coinvolto la Lega ha recuperato voti anche da quella parte ma non sono più di un quarto. Come era accaduto negli anni ’90 quando la Lega conquistò elettorato di destra ma anche di sinistra. Poi scelse di spostarsi a destra.
Effetti sulla politica italiana? Quali possono essere?
Io lo vedo ancora come un esperimento di persone che sono arrabbiate per il modo in cui funziona la politica oggi e che però vogliono fare qualcosa. È tutto da vedere come evolverà, ma l’idea è questa. La politica non come professione ma come impegno civico, idea che può essere vista come una bestemmia da un Massimo D’Alema. Insomma, dedichi una parte del tuo tempo alla politica e poi torni a fare quel che hai sempre fatto. Portare gente comune al governo, come la vecchia idea di Lenin di portare la cuoca al governo.
L’M5S è un partito o no?
L’idea di fondo è: i cittadini non hanno più voce in politica e allora gliela diamo noi. E qui si pone il problema della leadership. Per ora Grillo supplisce alla carenza di una struttura. Anche se ora faranno dei portavoce in Parlamento come facevano i Verdi in Germania che rifiutavano di avere il segretario o il presidente per non dare neanche l’idea di avere un tramite. Un’idea che tutti i movimenti allo stato nascente propongono e poi diventano anch’essi, qualche volta, delle forme di macchine di potere.
C’è poi l’idea di farsi eleggere in Parlamento per superare la democrazia rappresentativa.
Il progetto di Grillo è usare la rete e altre forme di democrazia diretta come i referendum, per far sentire la voce dei cittadini. Sostituire il ruolo mediatore dei partiti. Certo, c’è l’obiezione: una volta che entri in parlamento sei un partito. E qui il problema è complesso. Di fatto gli iscritti al blog sono iscritti a un partito, esiste una sorta di legittimazione collettiva dei programmi e i candidati. Il loro programma non è un programma di governo in generale ma un insieme di richieste di cui loro si fanno portavoce.
Se è così, in cosa è diverso il M5S da un partito tradizionale?
Mi pare che Grillo abbia in mente di impedire che emergano troppi carrieristi e troppi profittatori. I partiti sono composti da “credenti”, ovvero gente che crede nell’idea del partito, i “carrieristi” che vogliono qualcosa in cambio della militanza e la leadership. Ecco, dal modello standard il progetto di Grillo vuole eliminare i carrieristi. La leadership c’è, i credenti pure, la scommessa è proprio sull’eliminazione dei professionisti della politica.
Quel che sta facendo Grillo le ricorda altre operazioni politiche analoghe?
Con le dovute proporzioni, somiglia a quello che fece Obama, partendo da zero, sostenuto da MoveOn, che aveva 5 milioni di contatti e si presentava sul territorio ed è riuscito a far attivare molte persone che non facevano politica. Obama ovviamente si inseriva in una struttura diversa, quella dei democratici, ma nella campagna per le primarie era sostenuto da una rete auto-organizzata e ha spinto molto per le micro-donazioni dal basso, come ha fatto Grillo di recente per la campagna elettorale.
Non avendo ( ancora ) letto il libro, e basandomi quindi sulle risposte date in questa intervista, mi pare ci sia nell’approccio degli autori una decisa sottovalutazione del fattore “ignoranza”, che costituisce nel M5S ( come in tutti i movimenti populisti ) il vero collante del consenso. Quello che accomuna i grillini è l’adesione convinta ( probabilmente simulata in malafede per la gran parte dei loro leaders e per Grillo stesso ) ad accuse iperboliche e non dimostrabili ( stile berlusconiano ) verso tutti e tutto, a semplificazioni assurde ( per questo non possono avere un “programma” ), a turpiloqui gratuiti e falsamente liberatori. Insomma l’operazione di Grillo mi pare meno lucida e “morale” di come gli autori la descrivono: alla base è sopratutto una cinica speculazione sulla condizione di frustrazione di una larga fascia della cittadinanza, che sa di essere male amministrata e servita, ma non ha gli strumenti per capire perché. Anziche cercare di incrementare il possesso e l’uso di questi strumenti ( informazione, cultura, pluralismo, confronto, trasparenza, dibattito e partecipazione civile etc. ), si canalizza l’ignoranza di questi elettori inermi — evitando accuratamente di aprire loro gli occhi sulla loro inermità — verso illusioni miracolistiche, improbabili messianismi, ripartenze da zero, etc. Cioè tutto l’armamentario dei peggiori populismi, già ben sperimentato in Italia dalla Lega e da Berlusconi ( ma sopratutto al Nord, che quanto a ignoranza non scherza ! ) e sempre fruttuoso a breve termine (!!). Mi sembra dimostrato che queste strategie “gonfiano” successi elettorali effimeri, ai quali segue e sopravvive l’eventuale consolidamento di interessi precisi di settori omogenei della società: quelli a cui “conviene” oggettivamente la ricetta berlusconiana o la variante leghista, sul cui voto si può dunque contare per legittimo egoismo.