Questo articolo è uscito su Europa l’8 marzo 2013.
“Ragazze, lasciateci lavorare”. No, certo, non lo si è detto proprio così alle donne, eppure parole del genere le si possono quasi leggere tra le righe della politica in Italia. In questi giorni post elettorali, se ne trovasse una di donna sul palcoscenico che conta. Ci sono le Laure Comi e le Alessandre Moretti, le new entry televisive come la deputata piacentina Paola De Micheli e la capogruppo M5S Roberta Lombardi, ma sono solo il contorno, le portate principali sono altrove. Mai come in questi giorni la politica italiana si dimostra una cena per soli uomini (non di primo pelo, peraltro).
Oggi Beppe Grillo riesce non soltanto a dettare l’agenda politica (ieri persino Alessandro Onorato dell’Udc metteva al primo posto liste pulite e riforma del finanziamento pubblico) ma anche quella dei toni e del linguaggio. Ed è anche lo stile muscolare che tiene fuori le donne. La partita per il governo si gioca tra un “t’aspetto in parlamento” e un “faccia di culo” ed è difficile separare Grillo dal suo stile aggressivo e da galletto da combattimento, anche perché funziona proprio per quello. Quel che sorprende è vedere Pier Luigi Bersani cadere nella gioco del “vienimelo a dire in faccia” o de “li sbraniamo”.
Nel parlamento più rosa della repubblica con il 31 per cento di deputate e senatrici, i partiti con la percentuale di donne più alta sono il Pd (156 parlamentari) e il M5S (62) entrambi con il 38 per cento, segue Sel con il 28 per cento. Il Pdl e i montiani si fermano di poco sotto il 20 per cento, mentre la Lega è al 13,5 per cento. «Sono contenta, certo – dice Lorella Zanardo autrice del video Il corpo delle donne e del libro Senza chiedere permesso (Feltrinelli) – però se non si ascoltano le parole delle donne non cambia molto. Si conferma che il problema italiano non era Berlusconi. Il vero passaggio che dobbiamo fare è culturale, per questo ho poca speranza nella mia speranza generazione e moltissima in quella dei ragazzi».
Giusto, i giovani. Gli under 24 alle ultime elezioni hanno in Italia che per la metà (il 47,8 per cento dice Lavoce.info) hanno scelto M5S. Ora che iniziamo a conoscerle, che rappresentazione esce dalle neo-deputate a cinque stelle? Risponde Zanardo: «”Non vogliamo essere come le altre”. Il sottotesto è: “siamo diverse”. Ci vuole una rottura con le donne della generazione precedente, quelle che hanno fatto politica o carriera e in alcuni casi hanno rinunciato alla maternità per la carriera. Però è un errore. Ci può essere la donna bravissima che non ha fatto figli e sono fatti suoi e l’altra che ne ha fatti quattro e sono fatti suoi altrettanto. Il problema è: a un Marchionne si chiede quanti figli ha o come gestisce la famiglia? Si tende a ingabbiarci e noi stesse ci mettiamo in gabbia».
Nell’Italia post tsunami Grillo, la maternità non è più un fronte culturale e sociale su cui combattere, ma un punto del curriculum da sottolineare. Alla prima assemblea degli eletti del M5S, la Lombardi ostenta la creatura di 10 mesi e nella microbiografia su Twitter rivendica, dopo la romanità, di essere una mamma, come fosse una medaglia al valore e come a dire «sono una donna comune, capace, pragmatica». Il M5S ha mangiato molti movimenti, piccoli o grandi, locali o nazionali. Prendiamo la grande protesta di piazza di due anni fa di Se non ora quando. Indignazione, rabbia e disgusto verso il costume politico berlusconiano avevano portato per le strade italiane centinaia di migliaia di donne. Poi il movimento si è attorcigliato su richieste (50/50 nelle liste e così via) lodevoli ma istituzionali e che non hanno saputo scaldare i cuori. Il “tutti a casa” delle piazze grilline ha travolto tutti e addio rivendicazioni di genere. «Perché alle donne manca il coraggio e la sfrontatezza di un Grillo, anche se a riempire le manifestazioni non sono seconde a nessuno» si chiedeva ieri Mariella Gramaglia su inGenere?
L’eclisse delle donne dalla politica italiana già si annunciava nella campagna elettorale. Per una Giorgia Meloni che si intestava un partitino, c’erano protagoniste dell’ultimo parlamento che non uscivano di scena ma erano dietro le quinte. Rosy Bindi e Anna Finocchiaro schiacciate dalla contrapposizione vecchio/nuovo e costrette dagli eventi alla semi invisibilità. O prendiamo Emma Bonino naufragata nel disastro della lista pannelliana Amnistia, giustizia e libertà, che ha accettato per amor di patria radicale una candidatura da ultima in lista ma ormai diretta verso altri lidi politici, internazionale. In corsa da sempre per le riserve della repubblica a essere la prima donna al Quirinale. Ma chi ci scommetterebbe ora?
«Le donne non riescono a dettare l’agenda se non in casi straordinari» nota Elisabetta Gualmini presidente dell’Istituto Cattaneo e coautrice di Il partito di Grillo (il Mulino). «E questo limite non è solo una questione di barriere di genere ma anche di reticenza femminile. La situazione italiana conferma gli studi sulla leadership: mentre per gli uomini il potere è positivo per le donne non è così. Siamo più orientate a vivere la politica come servizio pubblico con uno spirito poco agguerrito. Molto spesso le donne in politica hanno la “Sindrome di Cenerentola”, come la chiamano gli psicologi, per cui preferiscono mandare avanti gli altri o farsi proteggere. Insomma, fanno fatica a prendersi la scena». Oppure il ring dei maschi non fa per loro.