Testo della tenuta dall’autore alla Summer School del Pd “Democrazia e comunicazione” a Cortona il 21 settembre 2012
Come ribadito molte volte, non abbiamo ragione di pensare che le strutture democratiche attualmente esistenti siano al meglio delle loro potenzialità. Progettare le istituzioni è un problema molto complesso anche per il più abile dei decisori, incapace comunque di prevedere le conseguenze delle sue decisioni. Anche quando un’ istituzione funziona bene in un dato momento, le condizioni sociali in cui operano tutte le istituzioni sono in continuo cambiamento. L’impianto delle istituzioni e la loro riforma è inevitabilmente una questione di – più o meno ambiziosi – “esperimenti sociali frammentari”, per usare una espressione di Popper (1957), secondo cui uno dei punti di forza della democrazia è la sua capacità naturale di fare questi esperimenti e di imparare da essi.
Le democrazie possono, infatti, fare esperimenti con le proprie organizzazioni. Per molte ragioni la comparsa di Internet rende questo momento storico particolarmente propizio per sperimentare le proprie strutture democratiche. I mezzi disponibili per la comunicazione e l’elaborazione di informazioni stanno cambiando le possibilità dei meccanismi di decisione collettiva. Noi non conosciamo fino in fondo la possibilità che la comunicazione mediata da Internet ha di raccogliere e generare conoscenza, di realizzare processi decisionali collettivi. Ma dovremmo scoprirlo. Abbiamo appena iniziato a farlo. La gente sta costruendo sistemi, più o meno grandi, per fare queste cose. Wikipedia è un famoso esempio di come si possa permettere ad un gran numero di persone, più o meno anonime, di concentrare in modo economico informazioni disperse su un’immensa gamma di argomenti. E non è il solo caso.
Nuovi siti, come StackExchange, sono diventati vitali per l’informazione e la comunicazione anche perché consentono di comprendere la gestione e la programmazione tecnica dei siti. La conoscenza aggregata attraverso questi sistemi non è tacita, ma è articolata e discorsiva e soprattutto è, rispetto al passato, condivisa. Sistemi simili sono utilizzati anche per sviluppare nuova conoscenza.
Ad un livello più basso ci sono fenomeni più onnipresenti, come forum, mailing list, ecc., dove la gente con interessi simili discute. Tutti questi sistemi devono affrontare problemi complicati di coordinamento delle loro architetture informatiche, delle loro organizzazioni sociali e delle loro funzioni cognitive. Spesso i partecipanti non si conoscono fra loro e questa è la sfida più importante per rendere una democrazia di massa più partecipativa.
In rete, ci sono anche esperimenti fallimentari e anche questi sono formativi. Vanno dai siti mal progettati che non attraggono, ai gruppi online che hanno molto successo per le loro finalità, ma che sono pieni di pericoli – come le fiorenti comunità dedite alle teorie complottiste o che raccolgono le frustrazioni di chi pensa di essere controllato da misteriose forze esterne. Un altro aspetto importante di Internet è che tutti gli esperimenti in rete stanno lasciando molte testimonianze.
Le persone che usano questi siti lasciano dietro di sé tracce accessibili delle loro reciproche interazioni, al punto che possiamo addirittura sapere cosa stanno pensando. C’è un flusso senza precedenti di dettagli sui processi di conoscenza collettiva in rete. Dobbiamo osservarne non solo i successi e i fallimenti, ma dobbiamo anche esaminare i meccanismi che stanno dietro questi risultati. Si tratta di capire fino a che punto Internet consente alle moderne democrazie di “utilizzare” la mente dei propri cittadini. Vogliamo imparare dalle iniziative in rete in materia di processi decisionali e cognizioni collettive. Vogliamo capire queste iniziative, che sono più o meno spontanee, mettere a confronto i successi e i fallimenti per individuare i meccanismi istituzionali che funzionano bene nel legare la diversità cognitiva di un ampio numero di persone che non si conoscono o non si conoscono affatto, e si incontrano in condizioni di eguaglianza relativa, e non gerarchica.
La democrazia ha la capacità insuperata di sperimentare realmente e usare realmente la diversità cognitiva nella soluzione di problemi complessi. Per far il miglior uso possibile di questi potenziali, le strutture democratiche devono essere ideate in modo che l’interazione sociale e la funzione cognitiva si rafforzino reciprocamente. Ma questo non basta se le risorse, materiali, sociali e culturali non vengono effettivamente condivise. Non si tratta di equità; la diversità cognitiva è una fonte, una fonte di potere e non qualcosa che possiamo permetterci di sciupare.
I politologi stanno cominciando solo adesso a fare i conti con l’importanza di Internet per la politica. Il modo migliore per capire Internet è capire il ruolo che fattori quali la riduzione dei costi di transazione o la facile manipolazione dell’informazione giocano nella interazione tra Internet e politica. Questo consentirà agli accademici di affrontare meglio questa relazione causale e contribuirà all’importante dibattito in atto sulla responsabilità di Internet nella accresciuta polarizzazione politica negli Stati Uniti e sul ruolo dei social media nell’insorgere della cosiddetta Primavera araba. I politologi come dovrebbero studiare l’influenza di Internet sulla politica? La scienza politica può sicuramente aiutare a migliorare il dibattito corrente su Internet che si muove, tra l’altro, attorno a poche questioni generali:
Internet ha davvero esacerbato la polarizzazione politica? Internet conferisce davvero più potere ai cittadini ordinari di fronte alle élite politiche? Può Internet aiutare a rovesciare i dittatori al potere? La scienza politica ha prestato fino a poco tempo fa poca attenzione a Internet.
Ora questo sta cambiando. Gli accademici stanno ora iniziando a scoprire in che modo Internet può influenzare la politica e ad esplorare questa relazione analizzando dati qualitativi e quantitativi. Pensare a Internet in questo modo produce alcune importanti conseguenze. Innanzitutto, e cosa più importante, suggerisce che nessuno dovrebbe studiare Internet in questo modo, ossia come un blocco monolitico. Internet dovrebbe essere disaggregato, analizzato per aspetti distinti, in modo da consentire agli accademici di cimentarsi con questioni che hanno qualche possibilità di ricevere una risposta. Ad esempio, le diverse tecnologie basate su Internet hanno differenti architetture d’impianto, incoraggiano o scoraggiano diversi tipi di comportamento. Si potrebbero studiare le differenze tra Facebook e Twitter e i loro relativi diversi risultati. E soprattutto si potrebbero approfondire le interazioni tra Internet e gli altri media.
In questo scritto sostengo la tesi secondo cui dobbiamo smettere di pensare a Internet come un nome proprio e iniziare a pensarlo come un insieme di meccanismi che possiamo disaggregare e isolare fra loro. Possiamo così pensare in modo sistematico a come la politica stia cambiando, man mano che Internet diventa sempre più parte della vita politica quotidiana. Noi possiamo osservare per la prima volta i flussi di comunicazione informale, la disseminazione di idee attraverso differenti gruppi sociali e le attuali reti sottostanti alla comunicazione.
Il dibattito sulle conseguenze politiche di Internet non è nato tra i politologi, ma tra gli attivisti e i politici. Quando Internet cominciò a cambiare durante gli anni ’90, trasformandosi dall’essere unicamente una rete che connetteva università e istituti di ricerca, si è subito parlato del ruolo dello Stato in proposito. Johnson e Post, ad esempio, hanno sostenuto che il diritto tradizionale era inadeguato a regolamentare Internet perché Internet non era legato alla sovranità fisica statale. Internet ha dato ad attori privati nuove opportunità nei confronti dello Stato. C’è poi chi ha sostenuto che Internet ha aiutato i regimi autoritari anziché danneggiarli. Altri studiosi hanno esplorato le più ampie questioni sulle conseguenze sociali di Internet.
Negroponte (1995), ad esempio, ha sostenuto che Internet avrebbe portato un mondo con molta meno coesione sociale poiché gli individui avrebbero smesso di consumare informazione di massa dai giornali e dalla televisione e iniziato a consumare fonti di informazione personalizzate. Conclusione questa che potrebbe suggerire di imputare a Internet la maggiore polarizzazione ed estremizzazione politica.
Una seconda ondata di letteratura sul tema è iniziata nella metà degli anni 2000. Quando i politici americani hanno cominciato a muoversi dietro i siti web di propaganda politica e ad usare Internet attivamente per raccogliere fondi e organizzare i sostenitori. Allora i politologi americani hanno cominciato a prestarci attenzione.
L’importanza dei social media è stata poi dirompente nell’avviare la campagna di Obama del 2008, un mix di successo tra le tradizionali strutture della politica e operazioni di organizzazione e fundraising on line.
Il dibattito sui nuovi modelli di fundraising e di organizzazione politica è andato di pari passo con quello sul declino dell’impegno civile nella vita politica americana. Pippa Norris, ad esempio, ha sollevato preoccupazioni sul rischio che il digital divide possa essere motivo di divisione tra chi ha le capacità di usare le nuove tecnologie per partecipare alla vita politica e chi no.
Questo dibattito si è allargato a tematiche più ampie sullo sviluppo economico, ma ha anche assunto un nuovo significato negli USA e nelle democrazie avanzate quando i blog e altre simili forme di comunicazione (ad esempio Twitter, YouTube, Facebook) hanno iniziato a consentire ad un sempre maggior numero di persone di comunicare senza alcun costo o ad un costo molto basso. Alcuni, soprattutto i blogger stessi hanno sostenuto che questo incredibile aumento nella facilità di accesso conduce ad una destituzione delle élite tradizionali e a una democratizzazione del dibattito pubblico. Altri autori hanno sottolineato la diffusione di blog che hanno distorto il numero dei lettori in modo che un piccolo numero di blog “elitari” ha ricevuto molta attenzione.
Con il passare del tempo i blog più grandi e i media tradizionali hanno iniziato a fondersi. Quando la novità di Internet è diminuita, sono apparsi ampi dibattiti sulle implicazioni generali di Internet per la democrazia, per la conoscenza e la partecipazione politica.
La questione se Internet aiuti o danneggi la democrazia, ha provocato molte controversie nell’ultimo decennio. In realtà, posta in questi termini, la domanda non può avere risposta perché non c’è una teoria specifica sulle relazioni tra Internet e la democrazia. Quelli che credono che Internet aiuti la democrazia possono individuare una serie di interrelazioni, mentre chi crede il contrario indicherà esempi opposti.
Di certo c’è che Internet aiuta la democrazia abbassando i costi dell’azione collettiva e può spingere a finanziare attivisti democratici in paesi non democratici. Le loro azioni possono politicizzare Internet e far sì che regimi non democratici cerchino di bloccare l’accesso, di minare la possibilità che Internet costruisca una società civile attiva e quindi forse creare un sentiero alternativo alla democratizzazione di una società.
È qui che la scienza politica può dare un importante contributo. Chi ritiene che ci sia una semplice relazione tra le nuove tecnologie e i risultati politici può facilmente cadere in errore.
Ci sono buone ragioni per credere che i meccanismi di informazione e partecipazione consentiti dai social media hanno sicuramente favorito le proteste della Primavera araba.
È inoltre altamente plausibile che un tale meccanismo abbia giocato un importante ruolo nel movimento di Occupy Wall Street.
Se Internet abbassa i costi dell’azione collettiva rendendo, ad esempio, più economico comunicare con gli altri o fornendo i mezzi per azioni decentralizzate, sarà più facile per i soggetti coinvolti raggiungere i loro obiettivi.
I possibili benefici di costi di transizione più bassi sono chiari. Tuttavia, alcuni autori sono cauti, sostenendo che costi più bassi possano avere conseguenze inattese di lungo termine, tipo una lealtà politica di durata minore.
Morozov, ad esempio, sostiene che i protagonisti saranno tutti motivati ad impegnarsi in forme di politica più economiche, inefficaci ma appariscenti, vistose, come i gruppi su Facebook, piuttosto che forme di azione collettiva più costose o più rischiose.
Secondo Gladwell, invece, Internet, al contrario di quanto sostengono i teorici dei movimenti sociali, può molto più probabilmente creare “legami deboli” anziché legami forti. Ci sono inoltre meccanismi che collegano Internet agli esiti politici attraverso l’omofilia, cioè la propensione di individui che sono simili fra loro a formare raggruppamenti. Ci sono infatti una varietà di modi in cui Internet rende più probabile che individui con opinioni simili si raggruppino.
La omofilia può anche verificarsi indirettamente e secondariamente. Gli individui per esempio possono convergere intorno ad una fonte comune di informazione on line che è attraente dati i loro interessi condivisi, e poi si associano solo in un secondo momento.
In un sistema omofilo la diffusione di nuove idee, di nuovi concetti, di nuove teorie e di ideologie politiche può essere molto difficile. In un ambiente eterofilo la diffusione di idee innovative è più facile. La spinta al cambiamento politico dovrebbe quindi indirizzarsi a gruppi sociali eterofili e non omofili, come accade con la maggior parate delle comunità politiche in rete.
Quando le persone si uniscono in raggruppamenti omofili, l’azione collettiva diventa più probabile. L’azione collettiva può, a sua volta, indurre le persone a cambiare le loro convinzioni — quando le persone lavorano attivamente insieme tendono più facilmente ad identificarsi reciprocamente. L’omofilia influenza anche la distorsione delle opinioni e delle preferenze. E’ più facile rivelare le proprie vere opinioni a chi la pensa allo stesso modo e chi condivide con noi un gruppo. A sua volta la distorsione delle opinioni influenza i costi dell’ azione collettiva.
I potenziali dissidenti che vivono in regimi oppressivi molto probabilmente non si impegneranno in una azione contro il regime se credono che gli altri, la maggioranza, sostiene questo regime.
Focalizzarsi su questo aspetto è importante per affrontare il dibattito sul ruolo che Internet ha nella accresciuta polarizzazione della politica americana e nella diffusione della democrazia nei regimi autoritari.
La politica americana è sempre più polarizzata tra destra e sinistra. Le cause di questa polarizzazione sono argomento di un vigoroso dibattito. Sebbene Internet non spieghi di per sé questa polarizzazione (che è una tendenza di lungo periodo), può sicuramente esacerbarla. Sunstein (2002), ad esempio, sostiene che Internet, lungi dall’annunciare un’utopia libertaria, riduce il contatto tra persone con diversi punti di vista e aumenta la polarizzazione politica. Internet tenderebbe a mettere insieme persone che la pensano allo stesso modo, rendendole ancora più simili sotto questo punto di vista di quanto non lo fossero prima.
Internet incoraggerebbe l’incontro fra persone con la stessa opinione, impendendo quindi il confronto tra diversi posizioni e rafforzando così la polarizzazione. Questo rischio aumenta tra i lettori di blog. I lettori di blog di sinistra non leggono blog di destra e viceversa. I lettori di blog politici sono comunque una minoranza poco rappresentativa. Se esaminiamo i forum di discussione on line la possibilità di imbattersi in opinioni politiche in contrasto fra loro sono molto più alte nei forum non politici rispetto ai forum politici.
In ogni caso il grado di dibattito trasversale ha implicazioni per l’azione collettiva. È più facile organizzare azioni collettive tra persone che hanno le stesse idee politiche. I blogger si giustificano dicendo che non sono interessati a convincere altre persone, bensì ad organizzare un’azione politica. In effetti c’è una relazione inversa tra relazioni sociali trasversali (ad esempio contatti con vicini o amici che hanno idee politiche differenti), e l’impegno attivo in azioni politiche. Un dilemma questo per la democrazia. Da un lato la democrazia dovrebbe favorire il confronto tra opinioni diverse, dall’altro la partecipazione politica. Resta comunque ancora molto difficile dimostrare se una maggiore omofilia sul web aumenti il rischio di estremismi politici.
Che ruolo ha avuto Internet nella Primavera araba?
Secondo i dati a disposizione, la diffusione di Internet ha aumentato la libertà e la democrazia. Questa conclusione, poco supportata da evidenze empiriche, è comunque abbastanza vicina alla verità. Non solo la letteratura rilevante enfatizza il bisogno dei regimi autoritari di controllare la comunicazione, ma il comportamento di questi regimi, e dei ribelli che cercano di sconfiggerli, fornisce ampia prova dell’ importanza di Internet. Tuttavia, Internet si è rivelato essere più vulnerabile alla censura di quanto si pensasse all’inizio. I dibattiti più recenti non si sono focalizzati sulla resistenza alla censura ma sul modo in cui Internet può o non può favorire un più rapido passaggio dall’ autocrazia alla democrazia.
Dati statistici sottolineano una correlazione tra l’accesso a Internet e la democrazia.
Horward ha sostenuto che la diffusione di Internet sta rendendo la democrazia più probabile nel mondo arabo. Egli ritiene che la congiunzione di diversi fattori in un dato paese, incluso soprattutto la crescita di una società basata su Internet, è utile alla transizione democratica.
In un recente dibattito sul Journal of Democracy, Diamond (2010) sostiene che, malgrado la censura, Internet può consentire ai cittadini di “riportare notizie, di esporre opinioni, di mobilizzare proteste, di monitorare elezioni, di allargare la partecipazione”. Questo consente ai dissidenti di abbattere i governi. Può anche aiutare a promuovere la liberalizzazione della società e la creazione di una sfera pubblica pluralista, perfino prima che avvenga la democratizzazione.
Non bisogna dimenticare però che Internet non è usato solo dagli attivisti democratici, ma anche le imprese criminali, le reti di spionaggio e gli estremisti politici e religiosi.
Morozov (autore del famoso bestseller Net delusion) sostiene che i metodi di controllo di Internet stanno andando al di là delle misure tecnologiche, stanno evolvendosi verso forme più sottili di ingegneria sociale, finalizzate a stroncare le reti dei dissidenti.
La discussione si è incentrata sull’interpretazione degli eventi in Iran e su quelli più recenti della Primavera araba. Internet è stato descritto come fattore determinante di questi eventi. I dati relativi suggeriscono che il ruolo di Internet è stato più complicato di quanto comunemente si possa ritenere.
In generale, in questi contesti il ruolo di Internet viene probabilmente esagerato. Alcuni commentatori politici ritengono che i disordini sociali in Iran sono stati una “rivoluzione di Twitter”, malgrado la quasi totale mancanza di qualsiasi prova che Twitter sia stato usato dai dimostranti iraniani per comunicare tra loro, e men che meno per organizzare una rivoluzione. Il dibattito più recente sul ruolo di Internet nella Primavera araba dimostra che non è possibile affrontare questo tema generalizzandolo in tutta l’area del Nord Africa. La Tunisia, ad esempio, (con un’ampia fascia di popolazione che usa Facebook) e l’Egitto (con il maggiore numero di utenti Internet dell’area) ha vissuto una più grande partecipazione della popolazione ai movimenti di protesta e quindi una maggiore spinta al cambiamento. Secondo questa tesi, la frustrazione popolare non si è tradotta in azione finché Internet non è stato accessibile, consentendo di unire le singole rimostranze in un’agenda comune e creando un’azione collettiva.
I social media hanno fornito ai movimenti di protesta un mezzo per organizzarsi al di fuori del controllo dello Stato. Tuttavia alcuni osservatori sostengono che non ci sono prove sufficienti per stabilire una relazione rigorosa tra i nuovi media e i risultati delle rivolte. Di certo i new media hanno dato potere agli attivisti.
Anche se Internet abbassa i costi dell’azione collettiva, può farlo in modi che hanno conseguenze inattese. Se da un lato le proteste sono state sufficienti a destabilizzare i vecchi regimi in Tunisia ed Egitto, non sono state comunque sufficienti a costruire democrazie in grado di reggersi in piedi. Questo perché un’ azione collettiva basata su Internet può rendere più difficile costruire strutture durevoli che possano raggiungere obiettivi politici di medio termine. Il fallimento delle proteste di piazza Tahrir di creare un partito o un movimento politico stabile, è fortemente suggestivo; sebbene queste proteste abbiano aiutato ad abbattere un’autocrazia, non sono riuscite ad organizzarsi in modo da trasformarsi in un’ampia costituente politica. Di contro, i Fratelli musulmani che avevano già una organizzazione politica forte, stanno giocando un ruolo chiave nel nuovo futuro politico del Paese.
È anche possibile che Facebook e altri spazi simili abbiano giocato un ruolo più sistematico nell’aiutare a creare e a disseminare una identità di opposizione. Facebook ha fornito un luogo a basso rischio, dove la gente ha potuto sviluppare ed esprimere il suo dissenso al regime.
La prova delle conseguenze politiche della omofilia in rete sono scarse. Comunque si è affermata tra gli osservatori occidentali l’idea sbagliata secondo cui il mondo arabo online è un focolaio di retorica estremista al servizio dell’integralismo, o peggio, del terrorismo islamico. Come già affermato, non ci sono prove della sussistenza di questa relazione. Al contrario, l’evidenza empirica suggerisce il contrario. C’è una tendenza maggiore all’eterofilia tra gli oppositori politici prima che un regime venga abbattuto. In Iran, ad esempio, sostenitori e oppositori del regime hanno occupato molto spesso gli stessi blog. In Egitto, ad esempio, i blog politici sono stati fortemente critici nei confronti del regime di Mubarak, enfatizzando nel contempo le loro specifiche diversità (se erano islamici, laici, sostenitori dei diritti umani, ecc.).
Questa connessione trasversale, questa eterofilia non è sopravvissuta al cambio di regime.
Nell’ultimo decennio la relazione tra Internet e la politica è diventata sempre più importante per la sociologia politica.
Paradossalmente, però, è probabile che in futuro ci saranno perfino meno accademici specializzati nel legame tra Internet e la politica. Ma questo non sarà da ascrivere al fatto che i politologi hanno perso il loro interesse per Internet e le relative tecnologie. Piuttosto sarà perché queste tecnologie saranno completamente integrate nelle regolari interazioni politiche (impossibili da studiare), cioè il fundraising, la pubblicità elettorale, l’azione politica, la diplomazia pubblica o i movimenti sociali. A livello internazionale Internet sta sostanzialmente influenzando i processi di diffusione delle informazioni, la credibilità degli Stati (come esemplificato dalla controversia di Wikileaks).
In conclusione
Internet è sia una minaccia che una promessa per la democrazia e la politica.
La minaccia è data dal fatto che rende probabilmente le persone più ignoranti politicamente e più divise. Stare lontano dai media tradizionali rende più facile per le persone ignorare le notizie politiche e per i politici nasconderle. Le persone interessate alla politica tenderanno probabilmente a leggere solo le persone con cui sono d’accordo e ad ignorare coloro con cui sono in disaccordo. Questi sono una sfida alla nozione tradizionale di democrazia.
La promessa invece è che Internet può fornire, se usato adeguatamente, straordinari benefici alla democrazia. Se usato adeguatamente, può aiutare a risolvere i problemi enormi e complessi che affliggono le società moderne. Questo richiede un dibattito vivace tra persone con diversi punti di vista. Il futuro della sinistra sta nel riuscire a trarre vantaggio dalle nuove forme di “democrazia cognitiva” per riportare la gente alla politica e risolvere la crisi apparentemente irrisolvibile delle società moderne.