Lavoro, dieci giovani “resettatori” al tavolo con Ichino

Il senatore del Pd Pietro Ichino ascolta in un incontro-discussione la generazione nata dopo il 1970. Partecipano Laura Cervellione (Reset), Mauro Buonocore (Reset), Antonio Funiciello (LibertàEguale), Michele De Lucia (Radicali), Laura Calderone (Iva Sei Partita), Piet Hausberg (Luiss), Matteo Laruffa (Aises), Mattia de’ Grassi (Luiss), Timoteo Carpita (The Week), Andrea Röllin (La Sapienza).

4 ottobre 2012 – ore 14.00
Luiss Guido Carli – Aula 204 – viale Romania, 32 – Roma
Ingresso libero

Per Napolitano la posizione dei giovani in Italia “è il problema più serio che abbiamo”. Per Monti la nostra disoccupazione giovanile è figlia delle spese allegre degli anni Settanta e Ottanta, “quando c’era un deficit del 12-13% e nessuno diceva niente”. Davanti alla platea del Meeting di Rimini il premier ha parlato di “generazione perduta”.
Noi giovani rappresentanti della generazione nata dopo il 1970 non ci stiamo a questa estrema unzione “ante-vitam” e per questo battiamo un colpo, chiedendo di essere ascoltati dal senatore Pd e giuslavorista Pietro Ichino, il politico che forse più di ogni altro ha raccolto elementi di prova su questo furto generazionale.

Siamo dieci giovani stufi di sentirsi ripetere dall’adulto di turno che “ormai soltanto l’Estero (ovvero l’ultima ipostasi della metafisica occidentale ai tempi dei Piigs) vi può salvare”. Allergici a quest’anestetica melassa della rassegnazione al “destino di precariato”. E grati alla rivista Reset (diretta da Giancarlo Bosetti) e all’università Luiss Guido Carli per averci dato voce in capitolo, visto che il capitolo saremmo, appunto, noi.

Non siamo rottamatori con l’accetta, Edipi ingrati o piccoli Titani che dalle loro riserve indiane covano propositi di colpo di Stato o di pasto totemico. Non vogliamo impugnare l’anagrafe come un randello, anzi. Da chi sta sopra di noi vogliamo trarre lezioni e sostegni. E teniamo ai diritti dei nostri padri, che rappresentano l’unico vero ammortizzatore sociale su cui, in questi tempi di crisi, fare affidamento. Quanto ai padri simbolici, la generazione dei babyboomers coi loro castelli deficit-dipendenti, a quelli teniamo un po’ meno, non condividiamo quella utopica scorpacciata di Welfare che si sono fatti a nostre spese. Non sono stati per niente democratici, quando hanno deciso di consumare in ciascuno degli ultimi trent’anni l’equivalente di circa 30 miliardi di euro in più di quanto il Paese fosse in grado di produrre, accollandone il debito a noi figli. Non sono stati responsabili, quando quel denaro diciamo “preso a prestito” lo hanno destinato non a investimenti in infrastrutture moderne o in istruzione, ma per riservarsi impieghi pubblici usati come paracetamolo alla disoccupazione, e per tessersi una coperta previdenziale che non avrebbero potuto estendere a noi.

Siamo una generazione non-ancora-perduta ma di certo orfana di tutele, che non è rappresentata né dai sindacati né dalla Confindustria e che l’articolo 18 dello Statuto del 1970 non lo vede neppure da lontano. Questo perché l’Italia è un paese anziano governato da anziani che proteggono il passato. Il mercato del lavoro italiano è da decenni diviso fra insider e outsider. Lo Statuto lascia scoperti circa una decina di milioni di lavoratori che sostanzialmente sono dei dipendenti, ma privi di diritti. E secondo l’Eurostat siamo uno dei Paesi dell’EU-27 con più under-30 disoccupati. L’ultimo dato Istat conferma che il 34.5% degli under-25 non lavora. Uno su tre. E la statistica è al netto dei cosiddetti Neet: scoraggiati che né studiano né lavorano, che sono la cifra record di 2 milioni.
Noi nati nel ventennio tra il 1974 e il 1994 abbiamo sopportato il costo più alto della grande crisi. A noi, ultime ruote del carro, sono riservati i cosiddetti bad jobs non protetti, così che noi siamo i primi a essere licenziati quando c’è recessione. Siamo disponibili a lavorare 24 ore su 24.

Attacchiamo a lavorare quando la maggioranza degli italiani si riposa: secondo Datagiovani, l’Italia dei cosiddetti “bamboccioni” è quarta in Europa per quota di under 25 all’opera il sabato e la domenica. Dopo gli studi o dopo il primo, precarissimo, lavoro, otto di noi su dieci sono costretti a tornare a casa (Istituo Toniolo – Ipsos). Tagliati fuori dal circuito economico, ci mettiamo in proprio, ma anche lì non ci va meglio. I dati Confcommercio rivelano che tra giugno 2011 e giugno 2012 sono sparite 23 mila aziende guidate da under35. A strozzarle è il fisco troppo alto, la mancanza di credito, il ginepraio di adempimenti, i tempi biblici per riscuotere un pagamento o per risolvere un contenzioso civile.

Ci viene chiesta flessibilità. Noi non abbiamo chiesto alcuna tutela, ma non abbiamo ricevuto come contropartita agevolazioni fiscali o più salario, come sarebbe equo. Anzi, per giunta siamo sottopagati. Noi precari guadagniamo il 28% in meno di chi ha il posto fisso, raggiungendo a fatica i mille euro netti (dati Isfol). Un libero professionista under35 guadagna anche un terzo rispetto alla media dei colleghi (dati Adepp). Con l’escamotage dell’apertura della partita Iva, diventiamo dipendenti a tutti gli effetti senza le protezioni dei colleghi “di serie A”, con l’accollo della maggior parte dei costi previdenziali, e dobbiamo anche pagarci il commercialista. Saltando da un contratto atipico all’altro, versiamo contributi per una pensione che forse non avremo mai; i nostri soldi intanto vanno a finire nel calderone dell’Inps, per finanziare la pensione dei nostri nonni; ma se non si arriva a una sufficiente anzianità contributiva, quei soldi sono a fondo perduto.

Eminenti editorialisti e politici spesso ci invitano a riscoprire il lavoro manuale. Questo quando siamo penultimi in Europa per numero di laureati, come spiega l’Ocse, e questo quando andiamo verso “l’economia della conoscenza”, o dovremmo andare. Nel resto d’Europa i laureati trovano lavoro più velocemente dei loro coetanei non laureati. In Italia no, complice un sistema universitario che “non s’abbassa” a considerare le esigenze del tessuto produttivo. Il tasso d’occupazione dei laureati italiani è di ben 20 punti percentuali più basso rispetto alla media europea. Senza menzionare la cosiddetta fuga dei cervelli: immense risorse che lo Stato investe nei suoi pupilli, che poi, però, regala all’estero.

Quanto alla nostra supposta “sindrome di Peter Pan”, dimentichiamo che noi italiani incontriamo muri per accedere alla professione, per ottenere un mutuo, per affittare una stanza, piuttosto che le agevolazioni, per noi utopiche, che ci sono riservate altrove (Germania, Francia, Svizzera, paesi scandinavi). Insomma le bufale che girano su noi giovani sono fin troppe. Non siamo “vitelloni” che in cerca di comodità, ma vogliamo un nuovo patto intergenerazionale dove troviamo rappresentanza. Ispirato a questi principi: meno tutele, ma estese a tutti; meno protezione, ma meno tasse e più salario. E quel che ci è stato tolto senza diritto deve esserci restituito. Con gli interessi.

 

  1. Dieci resettatori che si autoeleggono “rappresentanti della generazione” perduta, per sostenere un’ennesima volta che la causa del debito pubblico italiano è un welfare troppo generoso e un mercato del lavoro troppo tutelato. Ma dove vivono questi qui? Oltre alla propaganda, e al ripetere asserzioni prestampate e con ogni evidenza strumentali e ideologiche, sarebbe beneaccetta qualche argomentazione. saluti

    • dove abbiamo scritto di volere un welfare meno generoso e un mercato del lavoro meno tutelato? tutto l’articolo dice l’inverso: che non siamo contemplati dal Welfare italiano. E da quale nomenklatura dovremmo farci eleggere, scusami, per organizzare uno spazio di discussione?

  2. Ottimo articolo.
    Il mio modesto parere è che oggi moltissimo potrebbe essere fatto a favore dell’occupazione giovanile. I soldi ci sono, si tratta solo di convincere chi è alla dirigenza di privilegiare i giovani, quelli in gamba, con programmi mirati che rendano merito alla loro meritrocrazia.
    La scelta politica delle persone giuste è ciò che può caratterizzare l’alba di un futuro diverso, di scelte appropriate, di realistiche speranze e spazi concreti per i giovani.
    Occhio a che votate, carissimi Giovani Meritevoli e in bocca al lupo!

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