Jeff Bezos ci ha sorpreso ancora una volta. E non mi riferisco al suo clamoroso divorzio dopo quarant’anni di matrimonio con corollari pruriginosi gestiti con la sua spocchia di miliardario, cosa che non ha certo contribuito a renderlo simpatico. Gli azionisti di Amazon e non solo sperano che non abbia perso la lucidità necessaria per gestire una grande azienda molto complessa che lui stesso ha creato.
La vera sorpresa si è avuta qualche giorno fa con il repentino annuncio che Amazon rinunciava alla costruzione di un secondo Quartier Generale vicino a New York, in una grande area messa a disposizione dallo Stato e dalla città, tra Long Island City e Queens, azzerando i piani del sindaco De Blasio e del Governatore Cuomo per diversificare il portafoglio industriale di New York rendendola attraente per l’insediamento di aziende ad alta tecnologia.
Sicuramente non si tratta di un ravvedimento per una domanda senza risposta sul senso di tre Quartier Generali per un’azienda per quanto grande: se non c’è una geniale soluzione organizzativa, fanno solo confusione. L’annuncio è avvenuto all’improvviso, all’insaputa anche dei manager di Amazon impegnati a negoziare con le autorità locali le condizioni di realizzazione del progetto.
Questa decisione è stata presa, però, a valle di un certo numero di manifestazioni di protesta della popolazione locale, che si opponeva al progetto perché 25.000 posti di lavoro ben remunerati avrebbero fatto salire il prezzo delle case, perché i 3 miliardi di benefici fiscali concessi ad Amazon, in attesa di circa 30 miliardi di entrate fiscali negli anni successivi, erano troppi, perché l’azienda è molto ricca e nel 2018 non ha pagato imposte, non per evasione, ma per aver goduto di incentivi agli investimenti previsti dalla legge.
Una teoria economica degna dei 5 Stelle nostrani in base alla quale se un’azienda guadagna molto non ha diritto agli incentivi per gli investimenti come le altre e deve pagare anche tasse che non deve. Fomentatrice di queste manifestazioni è stata una giovane deputata Democratica di origini portoricane, Alexandria Ocasio-Cortez, dotata di un BA in relazioni internazionali della Boston University e di un eloquio travolgente con la testa piena dei luoghi comuni del socialismo estremista, finora quasi sconosciuto negli Stati Uniti.
Non confondiamola con il gentiluomo Bernie Sanders, Alexandria è più simile a Sahra Wagenknech, pasionaria capogruppo della Linke al Bundestag. Non a caso nel suo primo discorso al Congresso ha auspicato una tassazione del 70% sui redditi superiori a 10 milioni, un provvedimento degno dell’infelice Governo Callaghan a Londra, giustiziato da Margaret Thatcher nel 1979.
Credo che Bezos, dopo attenta valutazione, abbia deciso che con un Quartier Generale a New York avrebbe perso la sua libertà di decidere perché anche se la maggioranza dei newyorchesi è favorevole, una minoranza agguerrita avrebbe messo in questione ogni provvedimento con risonanza mediatica, e anche parlamentare, dannosa. Una situazione italiana. Questo accadimento contraddice tutto quello che abbiamo ammirato dell’America nella nostra giovinezza e dopo.
L’America che abbiamo amato avrebbe colto quest’occasione per rilanciare un territorio che non sembra proprio la Provenza, ma era l’America del sogno americano, l’America del diritto alla felicità, la società libera, il mercato libero, la meritocrazia e la competizione leale. Questo è un paese che io e i miei molti amici americani non riconosciamo più. Non è vero, come abbiamo cercato di credere negli ultimi due anni, che Trump e la degenerazione del partito Repubblicano abbiano cambiato l’America, Trump e la Ocasio-Cortez su fronti avversi esprimono il devastante populismo di chi teme il progresso e il cambiamento, di chi si oppone alla concorrenza perché sa di non farcela.
Trump e tanto meno la Ocasio non sono John Kennedy, non esercitano una leadership che orienta e guida l’opinione pubblica e le aspirazioni degli elettori, ma si presentano come i realizzatori delle aspirazioni inconfessabili di strati della popolazione sorprendentemente affollati. Un percorso parallelo a quello italiano.