A Forte dei Marmi in mostra le vignette dedicate al Presidente. Fino al 1 luglio. Il catalogo con tutte le vignette (PDF).
Se c’è un leit motiv che unisce destra e sinistra è la sua somiglianza con Umberto di Savoia. Al suo insediamento al Quirinale, il 16 maggio 2006, nella Satira preventiva sull’Espresso Michele Serra commenta: “Chiariamo una volta per tutte, intanto, il famoso gossip che lo vorrebbe figlio naturale di Umberto di Savoia. È falso: dei due, Napolitano è il padre», mentre sul Giornale Giorgio Forattini disegna un Carlo Marx e uno Stalin all’inferno che, nudi tra le fiamme, battibeccano: “Gli italiani vogliono far tornare un Savoia al Quirinale” (Marx, sventolando un ritratto del neopresidente) “Imbecille! Quello non è Umberto II ma soltanto il compagno Napolitano” (Stalin, di rimando).
Un anno dopo lo stesso Forattini sullo stesso Giornale lo disegna in uniforme da Re di Maggio, al balcone quirinalizio dov’è steso un tricolore con falce, tiara e croce, accanto a Prodi vestito da papa che dice “Non abbiamo bisogno di un nuovo Concordato, lui è il Re d’Italia e io rappresento la Chiesa di Stato!”.
Ma poi, sul tema Napolitano e la satira, le strade di destra e sinistra divergono. Nel senso che i disegnatori di destra (o che si producono su giornali, come si diceva un tempo, padronali) lo amano come bersaglio. Quelli di sinistra, invece, fatte salve alcune eccezioni, lo ignorano. Questo, almeno, sarebbe il bilancio suggerito dalle immagini della Napolitaneide, sottotitolo Storie satiriche di un Settennato e anche più, la mostra aperta fino al primo luglio al Forte di Leopoldo I a Forte dei Marmi, nata da un’idea di Pasquale Chessa e realizzata da Cinzia Bibolotti e Franco Calotti. Esposte appunto numerose vignette di Forattini, di Benny, disegnatore di Libero (suo il Napolitano di copertina, con l’Unità in mano e circondato da sfere rosse con falce e “stellone”), di Giannelli, di Vincino e, in quantità assai più ridotta, di Staino come di Vauro, così come una di Altan.
Nell’introduzione al catalogo Chessa esordisce: “Per lungo tempo, nella storia d’Italia, Giorgio Napolitano è stato considerato un passante. Nella storia del Pci, un ospite…”, e prosegue portando l’immagine fino allo stremo, cioè al densissimo Vuoto melvilliano di Bartleby lo scrivano. Essendo in terra di satira, niente male come surreale “ombra” dell’uomo che da sei anni adempie – impeccabilmente – all’incarico di simboleggiarci tutti e di rappresentare la nostra Repubblica.
Ma, tornando a quegli interrogativi, perché Napolitano è così nelle corde dei satirici di destra? E davvero, come sembrerebbe dalle immagini in mostra, non lo è in quelle dei satirici di sinistra? Alla prima domanda la risposta è semplice: non serve neppure rivedere le vignette, basta ripassare il suo excursus: dal Pci al ministero degli Interni in un governo di centrosinistra al Quirinale da dove ha dato l’incarico al Monti che ha disarcionato Berlusconi. Per la risposta alla seconda, la parola agli interessati.
Di Massimo Bucchi al Forte è in mostra una sola vignetta, anno 2011, con un Napolitano nei panni del colonnello John Matrix di Schwarzenegger, che medita “In qualche luogo, in qualche modo, qualcuno pagherà…”. Ma, come spiega Bucchi stesso, se ce n’è una sola il perché è semplice: nel metafisico mondo bucchiano, in quel peculiare universo di vignette che “come spugne assorbono tutto”, i personaggi non reggono e hanno scarsissimo spazio, siano Re Giorgio siano Berlusconi.
Se di vignette di sinistra in mostra ce ne sono relativamente poche, Chessa però, nella sua introduzione, parla ampiamente del rapporto che la satira “interna” al Pci ebbe con il suo dirigente, insomma del compito svolto in questo senso dai supplementi satirici dell’Unità. Dice ora Michele Serra, protagonista di quella stagione: “Napolitano era un bersaglio ricorrente ai tempi di Tango (1985-1988) e di Cuore (1989-1995) in quanto ‘migliorista’, cioè molto tiepidamente di sinistra e (soprattutto) molto tiepidamente anticraxiano. Craxi era il bersaglio prediletto della satira, e la polemica politica contro i miglioristi era alimentata soprattutto dalla loro vicinanza politica ai socialisti. Tango e Cuore li trattavano come una specie di quinta colonna di Bettino dentro il Pci. Ma questa è solo una traccia grossolana… Più interessante, direi, è che ‘tecnicamente’ Napolitano si presta molto alla parodia per i suoi modi molto azzimati, molto ‘per bene’. Da cittadino, devo dire che gli riconosco l’enorme merito (anzi: gigantesco) di avere trasformato una ricorrenza quasi di routine come il centocinquantesimo in una formidabile campagna politico-culturale, facendo rinascere spirito unitario e spirito repubblicano, e mettendo finalmente alle corte quei briganti della Lega. Da satirico, la morbidezza dei modi, le frasi interminabili, levigatissime, molto formali, sono un’occasione irresistibile. Se non ricordo male, in non so quale pezzo di satira, lo ritraevo come mediatore a oltranza. Uno che in occasione di tumulti e sparatorie si rivolge a forze dell’ordine e manifestanti pregandoli ‘di convenire su un uso della dialettica più confacente alle grandi tradizioni della nostra democrazia’, il tutto mentre le pallottole gli fischiano sulla testa”.
Ed ecco Sergio Staino, il cui Molotov ha avuto per tante vignette e tanti decenni borbottii di fuoco contro la “destra” del Pci: “Napolitano faceva parte del gruppo dei ‘miglioristi’. All’epoca, giovane, io per loro provavo una certa diffidenza. Il mio cuore batteva a sinistra, con Ingrao, Pintor, Minucci, Terracini. Però poi successe una cosa di cui capii il senso solo a distanza di molti anni. Cioè che a chiamarci a collaborare con l’Unità furono proprio loro: cominciai con Macaluso direttore, continuai con Chiaromonte…”. Forse perché avevano più chiara una cultura liberale dei diritti? “Sì. Ho capito solo molto dopo di essere stato utilizzato da Macaluso per dare una svolta in chiave volterriana, per instillare quel dubbio laico che la politica dovrebbe sempre coltivare”. Ma qual è stato poi per Staino il Napolitano migliore, dal punto di vista della satira: il leader migliorista, il responsabile Esteri del Pci, il ministro… “Nel Pci Napolitano esisteva in quanto punto di vista filosofico, aveva visibilità scarsa in quanto leader, era Amendola che aveva il vero physique du rôle. Bisognò aspettare che diventasse ministro”.
E oggi? Staino spiega che il Napolitano presente – in effetti – in lui muove più altre corde che quelle della satira: “Da Presidente l’ho difeso da Di Pietro perché non sono sempre d’accordo con lui, ma mi sembra dimostri una saggezza notevole”. Sì, è vero, qui il satirico Staino depone la matita: “Nelle nostre sfortune mi sembra una stellina luminosa…” conclude.
Napolitano col 150. anniversario dell’unità ha inscenato l’ennesimo revival dal falso patriottardismo neorisorgimentale, con tutto l’armamentario nazionalista dal sapore stantio “democratico-interventista”. Già ci dobbiamo sorbire il 25 aprile e il 2 giugno svuotati di ogni significato, il 4 novembre militarista (in cui celebriamo la cosidetta “vittoria” in una guerra dove l’Italia prima tradiva i suoi alleati e poi li aggrediva alle spalle), per tacere su quella che è la vera giornata dell’orgoglio fascio-nazionalista, il 10 febbraio.
Taccio su Staino, il Forattini del PD.