Chi sono e cosa pensano tutti quei pensatori, spesso perseguitati, che dal Marocco all’Iran provano a cambiare dall’interno il frastagliato mondo musulmano? Donne e uomini, religiosi e secolari, filosofi, sociologi e scrittori, in patria o all’estero, più o meno noti che hanno messo le basi di una declinazione della democrazia nelle società a maggiornaza musulmana. Nell’ultimo numero di Reset (maggio-giugno 2011) sono stati tracciati i profili dei rappresentanti del pensiero critico nel contesto islamico|.
In che rapporto stanno queste persone con i cambiamenti in corso nel mondo arabo? Le rivolte in Egitto e Tunisia, in Libia e in Siria non sono il frutto del riformismo islamico liberale o delle loro teorie ermeneutiche innovative, e neppure di qualche ideologia secolare antireligiosa. Sono la conseguenza di situazioni materialmente insostenibili e di una desiderio di liberarsi da poteri autoritari, oppressivi, crudeli e deludenti. Tranne alcune figure di rilievo pubblico e politico (come gli sciiti persiani Khatami o Soroush, o il Nobel Shirin Ebadi, oggi figure dell’opposizione al regime teocratico iraniano), nessuno di loro è direttamente chiamato in causa sulla scena pubblica. Le proteste non hanno avuto connotati religiosi. Eppure è vero che il regime utilizzava l’opposizione islamista, perseguitandola insieme ai liberali laici, per giustificare limitazioni alla libertà politica, è vero che ora il futuro di questi paesi si dovrà misurare con società a maggioranza musulmana, che l’esperienza turca di una correzione del laicismo kemalista riavvicina politica e religione e viene guardata con interesse da tutti i paesi arabi.
Dunque i nodi del rapporto tra l’Islam e la sua via alla modernità, tra questa religione «ortopratica» con i suoi dettati di giustizia (la shari’a) e la costruzione di ordinamenti democratici e pluralisti si riproporranno molto presto, dalla Costituzione egiziana ai codici civili da riscrivere, dalla legislazione sulla famiglia alle politiche necessarie per tutelare i diritti delle donne. Questi temi sono già nell’agenda di oggi. E il lavoro non può che ricominciare da qui, sui punti controversi che hanno alimentato la fatica degli autori e delle autrici di cui stiamo parlando.
Abbiamo limitato la selezione storica ai tempi più recenti, quattro grandi scomparsi di questi anni (Al-Jabri, Arkoun, Abu Zayd, Zakariyya), due figure più lontane nel tempo, ma di grande influenza (Taha, Abderraziq), anche se il riformismo musulmano ha una storia ben più lunga è e non è scaturito improvvisamente – vi insiste nei suoi saggi Massimo Campanini – come Minerva dalla testa di Giove. Senza risalire ai primi secoli del mutazilismo e all’epoca d’oro di Averroè, bisogna almeno accennare al cosiddetto modernismo arabo, Islah o Nahda, della fine dell’ottocento che ha avuto l’esponente forse più significativo nel persiano Jamal al-Din al-Afghani. I nomi dei maestri scomparsi – un marocchino, un algerino, tre egiziani e un sudanese – contengono già le principali direzioni di lavoro nel cambiamento: la critica della eredità islamica (turāth) e la sua riforma, la ricerca delle cause della decadenza seguita al periodo d’oro dell’egemonia musulmana, con l’accento posto sulla necessità di un distacco della religione dalla politica (i secolaristi come Arkoun), o sulla critica storico politica (Abderraziq, Al Jabri), sulla necessità di riaprire le porte dell’ermeneutica del Corano (Taha, Abu Zayd).
Le vie della evoluzione del mondo arabo, e di quello musulmano, si manifestano sia per impulsi interni sia per sollecitazioni esterne. La relazione con l’Europa e l’America ha attraversato secolari fasi conflittuali e poi il colonialismo, con gli strascichi conseguenti, ma ha anche alimentato uno scambio intensissimo. C’è dunque un riformismo islamico che accoglie la sfida della competizione e del dialogo con l’occidente, che pratica il dialogo con il liberalismo occidentale, da Locke a Popper, pur senza rinunciare a una concezione della democrazia con una ispirazione religiosa (Soroush) e c’è chi vede maturare una altra fonte di adattamento e cambiamento dell’Islam nell’immigrazione musulmana nei paesi democratici europei (l’Euro-Islam del secolare Bassam Tibi e la teoria dell’«accasamento» del riformista religioso Tariq Ramadan, figure assai diverse e in contrasto tra loro, eppur parte del mosaico).
Non si insisterà mai abbastanza su quanto possa essere ingannevole l’espressione «mondo musulmano», della quale pure non si può fare a meno. Non bisognerà mai dimenticare che se l’Islam in sé è già un complicato intreccio di sette (utile ricordare il libro di Reset Mosaico Islam, di Vartan Gregorian, con introduzione di Umberto Veronesi), il riformismo musulmano di cui stiamo parlando, attraverso i pensatori di questa mappa, presenta una varietà di percorsi altrettanto vasta.
Per comodità dei lettori abbiamo suddiviso i 26 pensatori riformisti in categorie disciplinari, anche se i confini tra una categoria e l’altra sono a volte da loro scavalcati. Possiamo così individuare
– i filosofi: Al-Azm, Arkoun, Zakariyya, Al Jabri, Talbi, Filali-Ansary, Jahanbegloo, Soroush, Hanafi, Tibi
– i giuristi: El Fadl, Al-Ashmawi, An-Na’im, Ebadi, Moussalli
– gli esegeti del Corano: Abu Zayd, Taha, Abderraziq
– le femministe: al-Saadawi, Mernissi, Wadud
– la riflessione interculturale: Kermani, Göle
– le figure pubbliche e politiche: Khatami, Ramadan, Bencheikh, Kadivar