François Hollande ha vinto le elezioni presidenziali francesi ottenendo quasi il 52 per cento dei consensi. Sarà il primo presidente della République socialista dai tempi di François Mitterrand. Nella sua campagna elettorale, Hollande ha promesso agli elettori francesi un «cambiamento». A mio giudizio, tuttavia, il tema di fondo di queste elezioni è stato, più che il cambiamento, un tacito desiderio di tornare alla normalità. Il giorno dopo il responso delle urne, il quotidiano Libération ha pubblicato in prima pagina la foto di Hollande accompagnata dal titolo «Normal!», con tanto di punto esclamativo. Che cosa significa «normale»? Che era scontato che fosse lui a vincere le elezioni, come avevano previsto i sondaggi? O forse che Hollande rappresenta la gente comune e le tradizioni francesi, a differenza di un personaggio ostentatamente trasgressivo come Sarkozy?
Il voto per Hollande esprime innanzi tutto il desiderio di liberarsi di Sarkozy. Lo stile aggressivo con cui quest’ultimo ha rivestito il ruolo di presidente, la personalizzazione del potere, la volatilità delle sue decisioni lo hanno reso impopolare. Smarcandosi dalla «superpresidenza» di Sarkozy che tanto ha irritato i cittadini francesi, Hollande si è presentato come un “Presidente normale”, ossia come uno statista serio, consensuale (rassembleur, come dicono i suoi connazionali) e affidabile, in linea con le tradizioni dello Stato repubblicano. Molti hanno attribuito il suo successo alla capacità di seguire le orme di una figura leggendaria come François Mitterrand, che incarnava il potere dello Stato quasi come un sovrano. Da questo punto di vista, l’evento «normale» può essere il ritorno alle tradizioni dello Stato repubblicano custodite dalla sinistra.
Nel corso del dibattito televisivo pre-elettorale, Sarkozy ha attaccato Hollande insinuando che l’aspirazione alla «normalità» fosse in realtà sinonimo di mediocrità. Per sminuire il suo rivale, ha ricordato che Mitterrand non era un politico «normale» e che, alla luce dell’attuale situazione di crisi economica, la Francia aveva bisogno più che mai di un presidente eccezionale, come lui, alla guida del Paese. Il fatto è che Sarkozy ha già avuto la sua occasione con le elezioni del 2007, quando è salito al potere con la stessa promessa di cambiamento, modernizzazione e liberalizzazione dell’economia francese e delle sue istituzioni. Ma le tanto attese riforme economiche non sono riuscite a consolidare la leadership francese in Europa. La Francia è rimasta indietro rispetto alla Germania in termini di crescita economica, produttività, competitività e tassi di disoccupazione. Durante i dibattiti della campagna elettorale, la Germania è stata il punto di riferimento costante come modello economico di successo. D’altra parte, il Partito socialista ha proposto il modello di crescita economica keynesiano come alternativa alle politiche di austerità; il suo programma si basa sull’espansione della macchina e della spesa pubblica, sulla creazione di nuovi posti di lavoro e sull’aumento dell’aliquota dell’imposta sul reddito.
Un Paese che nega la realtà?
In generale, gli osservatori concordano nel sostenere che nessuno dei candidati abbia affrontato seriamente il tema della profonda crisi economica in cui versa il Paese. La società francese non sembra pronta a riconoscere la gravità della situazione, né intende rinunciare ai diritti e ai privilegi garantiti dallo Stato sociale. Prima delle elezioni, il settimanale britannico The Economist ha descritto la Francia come «un Paese che nega la realtà», con una sarcastica allusione a quella che ha definito la «campagna elettorale più frivola», perché priva di qualsiasi seria proposta per affrontare la crisi. Così, il voto per Hollande può essere interpretato non tanto come un radicale desiderio di cambiamento e attuazione di riforme, ma come la volontà di tornare al periodo pre-crisi, nella speranza che non sia un’illusione. I socialisti, tuttavia, hanno proposto un nuovo approccio all’economia, indebolendo l’ideologia dominante che presentava la politica neoliberista come un articolo di fede indiscutibile, l’unico rimedio giusto, la cosa «normale».
Il fatto che i francesi non stiano affrontando con piena consapevolezza la crisi economica non significa che non siano preoccupati per il loro futuro. La crescente popolarità dell’estrema destra illustra molto bene la presenza di un terreno fertile per i sentimenti nazionalisti e la retorica xenofoba. Le crisi economiche favoriscono la politica del capro espiatorio contro gli immigrati e i musulmani, tacciati di rubare posti di lavoro, di abusare dello Stato sociale e di invadere la società francese con la loro visibilità religiosa e le loro retrograde norme culturali.
Con questa politica islamofobica antieuropea, nazionalista e anti-immigrati, il volto femminile del partito di estrema destra, Marine Le Pen, ha ottenuto quasi il 20 per cento dei voti, diventando una figura chiave nell’arena politica. Marine Le Pen ha consolidato la sua leadership del Front National, il partito fondato da suo padre, ma soprattutto si è accreditata come potenziale leader della destra. In effetti, è lei la seconda vincitrice di questa tornata elettorale, dal momento che è riuscita ad affermare e imporre la sua agenda politica. Per sedurre l’elettorato dell’estrema destra, Sarkozy non ha esitato a fare propria la retorica della sicurezza della candidata del Front National. In questo modo, tuttavia, egli non solo si è arreso all’agenda politica della rivale, ma ha anche dato legittimità alle posizioni della destra radicale.
La normalizzazione della politica di estrema destra e il racisme d’en haut
La “normalizzazione” della politica di estrema destra è la chiave per comprendere i cambiamenti nella vita pubblica e nel panorama politico europeo. Negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a un fenomeno non limitato alla Francia, ma esteso all’intera Europa: la proliferazione di voci e figure pubbliche che annunciano la fine del multiculturalismo, criticano le norme del «politicamente corretto» nel discorso pubblico e cercano continuamente di liberarsi dei tabù contro il razzismo.
La scena pubblica di quasi tutti i Paesi europei è stata dominata da una serie di controversie legate all’Islam, e in particolare all’uso del copricapo femminile nelle scuole statali, al velo integrale, al burqa nei luoghi pubblici, alla carne halal e alle preghiere per strada. Questi dibattiti finiscono per cancellare le classiche differenze tra destra e sinistra, promuovendo un consenso sulla necessità di condannare e proibire determinate pratiche culturali e religiose. I valori della laicità e del femminismo sono stati ostinatamente proclamati superiori e distintivi rispetto a quelli dei musulmani che vivono in Europa. La politica della tolleranza e del pluralismo è stata condannata non solo da leader di destra, ma anche da intellettuali con un retroterra laico e di sinistra. Il filosofo Jacques Rancière ha richiamato l’attenzione sulle nuove forme di razzismo, riferendosi non ai pregiudizi che si presumono radicati tra le classi povere e svantaggiate, ma a quelli instillati e promossi dall’alto, dal potere statale, su sollecitazione degli intellettuali.
Rancière l’ha definito racisme d’en haut. Più di recente, e cioè il giorno prima delle elezioni presidenziali, Alain Badiou ha pubblicato sul quotidiano Le Monde un articolo intitolato “Il razzismo degli intellettuali”, nel quale rivolge la sua critica agli intellettuali che hanno reinventato la «minaccia islamica» e difeso la superiorità della civiltà occidentale, contribuendo così alla proliferazione di discorsi allarmistici sull’immigrazione, sul razzismo culturale e sull’islamofobia in Francia. Badiou accusa apertamente gli intellettuali che hanno stimolato questa forma mentis, favorendo l’ascesa al potere del fascismo.
La crescente popolarità di questi nuovi protagonisti della destra sottende una dinamica di «normalizzazione» della diffusa retorica contro l’Islam e l’immigrazione. La sinistra laica e la destra conservatrice uniscono le forze per far apparire quella linea politica del tutto «naturale». Come molti dicono, “non bisogna demonizzare il Front National”, perché ha la stessa legittimità di qualsiasi formazione politica. Tra gli elettori di Marine Le Pen è diffusa la convinzione che non ci si debba vergognare di votare per un leader che dà voce ai sentimenti e alle preoccupazioni della gente, e che è «uno di noi». Inoltre, i nuovi volti della destra populista non sono come la prima generazione di propagandisti dell’antisemitismo, dal momento che condannano l’omofobia, si riconoscono nel femminismo e difendono la laicità. E non sono figure marginali. Via via che piegano la loro agenda politica contro l’Islam, diventano attori sempre più centrali nel sistema.
Un futuro normale
La recessione economica, i discorsi anti-islamici e i sentimenti nazionalisti stanno ridefinendo la sfera pubblica in Europa. In tale contesto, qual è il significato della promessa di Hollande di essere un presidente normale? La «normalità» evoca diversi leitmotiv potenzialmente in contrasto tra loro. Il ritorno alle normali tradizioni repubblicane della sinistra implica la difesa dello Stato laico, della laïcité, della comunità nazionale e del valore dell’uguaglianza dei cittadini. Ma c’è anche un altro passaggio alla «normalità»; si tratta della normalizzazione delle idee di estrema destra, del modo in cui i discorsi anti-immigrati e anti-Islam appaiono naturali e consensuali.
Come può il partito socialista difendere il repubblicanesimo, la politica della laïcité e i diritti delle donne senza convergere con la nuova destra popolare? La politica anti-islam dell’estrema destra e la recessione economica sono le due principali minacce alle democrazie europee. Il socialismo può essere un’alternativa a queste ondate distruttive? La vittoria del candidato socialista in Francia assume un’importanza storica ben al di là dei confini nazionali, per l’Europa in generale.
Il ritorno alla normalità comporta lo sviluppo di alternative alle crisi economiche, il riconoscimento di una Francia multiculturale (e la difesa della France métisse, cui finora ha provveduto solo il candidato comunista Jean-Luc Mélenchon), l’estensione del pluralismo democratico e l’adesione all’ideale europeo? Forse è un’ipotesi troppo ottimistica. Ma la vittoria di Hollande ci dà per lo meno la speranza che la politica e le idee dell’estrema destra possano essere respinte come aberrazioni. E ciò richiede una nuova presa di coscienza da parte degli intellettuali europei.
(Traduzione dall’inglese di Enrico Del Sero)