In questi giorni di turbolento avvicinamento alla fase 2 non sono stati molti a ricordarsi che in Italia non c’è la religione di Stato e che quindi le norme sulla riapertura anche parziale delle funzioni e dei riti religiosi sarebbe stata meglio discuterla con tutti i soggetti presenti in Italia, visto che la libertà di culto è indiscutibilmente riconosciuta a tutti dall’articolo 19 della nostra Costituzione. Alle volte la forma è contenuto e il reverendo Rocco D’Ambrosio, docente alla Pontificia Università Gregoriana, è stato tra i primi a dirlo, invitando il governo ad aprire un tavolo con tutti i rappresentanti delle religioni. Anche l’informativa sulle cerimonie funebri, a suo avviso, sarebbe stato elegante inviarla non soltanto alla Cei.
Professor Rocco D’Ambrosio, come va il dialogo al tempo della pandemia?
Non va benissimo, anche se alcune disfunzioni si spiegano anche con l’emergenza in cui ci troviamo. Ma sotto si vede che si accavallano due tipi di crisi, quella antropologica e quella etica. La crisi antropologica è quella che ci rende difficile resistere, la crisi etica è quella che ci rende difficile ricordare e riconoscere i nostri principi. Così temiamo: cioè temiamo di non farcela, di non resistere e perdiamo di vista i nostri principi. In questo quadro si capisce meglio perché crescano i complottismi e non arretrino i comportamenti delinquenziali, anche su questioni attinenti beni primari come la salute pubblica. I complottismi poi sono la miglior giustificazione per nascondersi l’incapacità di tenere: i complottismi ci giustificano. Vedere un complotto russo, o cinese, o americano, o dei poteri forti, o una spectre all’assalto delle libertà individuali, è la spia della crisi antropologica che ci porta a non farcela. Sono tanti complottismi diversi che derivano da un’evidente overdose di malafede. Questa malafede induce a scegliere, convincendosene magari, una scorciatoia per risolvere il problema antropologico.
Stando ai recenti fatti italiani e alle diverse comunità religiose italiane, il malessere è parso venire soprattutto dal mondo cattolico. È soprattutto lì, forse anche per la sua preponderanza numerica, che è venuta la difficoltà, la paura di non farcela.
Vede, per i cattolici italiani ci sono dei problemi evidenti. Veniamo da vent’anni nei quali laicato e pastori sono stati educati su alcuni principi cardine, di etica sessuale e di bioetica, mentre il resto è stato trascurato, dimenticato, messo da parte. Ma senza cristiani adulti si rischia di ritrovarsi con una diffusa visione magica della fede, o, appunto, con il devozionalismo, o per tornare ai termini precedenti con il complottismo. Così questa terribile pandemia che ha messo in pericolo la salute di tutti ha reso evidente che il deficit culturale del ventennio trascorso è questo. Papa Francesco con il suo magistero mette in crisi questo deficit culturale, ma per superarlo, o per riuscire a colmarlo, c’è bisogno di tempo.
Quando c’è stato lo scontro tra Cei e governo sulla possibilità di tornare in Chiesa a celebrare e si è parlato di negazione della libertà di culto lei ha scritto: “La nostra fede non andrà in crisi perché non abbiamo messe, se la perdessimo vorrebbe dire che non l’abbiamo avuta”. È una frase molto forte. Molti cattolici in quelle ore sul web l’hanno apprezzata proprio per questo. Ma può aiutarci a capire cosa volesse dire?
L’altro giorno mentre facevo lezione da remoto una studentessa africana – non voglio dire di quale Paese per rispetto – mi ha detto: “io a voi italiani non vi capisco. Io vengo da un Paese dove riusciamo a celebrare la messa una volta l’anno.” Allora le ho chiesto: “E cosa fate durante il resto dell’anno?” Mi ha risposto: “La domenica ci vediamo, leggiamo il Vangelo, ne parliamo tra di noi, discutiamo di cosa ci dica nel nostro contesto e poi ci fermiamo per condividere tra di noi un tazza di caffè.” Allora capisci che se uno dice che non sa come gestire un assembramento in un momento di emergenza pandemica non puoi farne una questione ideologica. Certo che ci manca la messa, manca a loro che l’hanno una volta l’anno come manca a noi che non celebriamo da due mesi. Ma non è una questione ideologica. Non può esserlo, se in ballo è il bene comune. Abbiamo tante ricchezze, dalla chiesa domestica alla liturgia della parola, da riscoprire, valorizzare. Nell’attesa di tornare alla piena dimensione assembleare.
Lei diceva dei complottismi. Questa difficoltà ha messo i cosiddetti laici, se mi consente di dir così, a contatto con il problema della libertà. E molti hanno reagito proprio come diceva lei, hanno visto complotti perché in gioco c’era la libertà personale, si potrebbe dire “la libertà di fare come mi pare”. È d’accordo? E nel caso la preoccupa?
Bisogna stare attenti alle parole. Ci sono state tolte le nostre libertà? No. Sono state limitate. Allora a chi parla di complotti per controllarci, per toglierci le libertà, per controllarci, ricordo che siamo già controllati. Perché il problema prima è stato posto meno intensamente? Non è con la app Immuni che diventeremo controllati, lo siamo già e non sappiamo bene quanto, come, da chi. Perché io ricevo tante pubblicità editoriali? Forse perché on line compro soprattutto libri? È bello questo? Quello della libertà è un tema complesso, le libertà vanno difese, ma vanno anche capite. Kant non ha mai detto che dobbiamo essere soltanto “liberi da”, dobbiamo anche essere “liberi per”. Essere liberi dai vincoli è un’esigenza che capisco. So che al riguardo possiamo avere posizioni diverse, articolate, ma ci sono vincoli dispotici, dittatoriali che limitano la nostra libertà personale e che non voglio, nessuno di noi li vuole. Non vogliamo essere spiati. Ma oltre ad essere “liberi da” dobbiamo anche avere un progetto. Essere “liberi per”. La società non è fatta da persone che stanno insieme per un problema di spazio. Allora devo chiedermi quale sia la mia finalità, qual è la nostra finalità? Guardiamo la questione europea. È difficile stare insieme, ma quante bugie sono state dette sull’Europa? Il fatto evidente è che una società senza finalità è una società che si autodistrugge. Oggi ci confrontiamo con il coronavirus per tornare ad essere come prima, a sbagliare come prima o peggio di prima? La crisi etica è preoccupante se gli stessi credenti, tanti credenti monoteisti, non si rendono conto di rimanere fermi alla “libertà da”, perdendo il valore della “libertà per”. Questo mi ha preoccupato della discussione sulla possibilità di tornare a celebrare. Tutti vogliamo tornare a celebrare, vogliamo essere “liberi da” limitazioni e costrizione, ma essendo “liberi per”: per costruire una società sana, più solidale. È il liberismo sfrenato a illuderci che non esista il progetto. E così arriviamo a discutere di regolarizzazione dei migranti non perché sia giusto per il nostro progetto di società, ma perché è diventato necessario per l’economia nella crisi che ci avvolge. Ma la progettualità non è solo economica. Se torniamo a progettare una società che riscopra le ragioni della persona difenderemo le libertà, certamente, ma insieme. Rafforzando il dialogo. È uno sforzo necessario, direi che è lo sforzo che ci serve a tutti.
Ma noi non siamo in Africa. Siamo in Italia e la messa la celebriamo regolarmente da secoli. Il professore promuove la protestantizzazione del cattolicesimo. Abbiamo resistito secoli per vedere così?
Caro Reverendo
Con tutto il rispetto del Mondo il problema è che se non si celebra la MESSA NON SI CELEBRA L’EUCARESTIA e molti purtroppo sembrano averlo dimenticato o peggio ancora pensano che sia possibile surrogare con la semplice lwttura della Parola.
Con stima
Sì, la fede deve progettare la società,
tutti dobbiamo impegnarci a promuovere il bene comune. Un articolo molto interessante, il Professore Rocco D’Ambrosio, ha posto l’accento su temi fondamentali che toccano da vicino ognuno di noi, soprattutto in questo particolare contesto storico.