Con la scelta di provocare la caduta del governo, nel tentativo disperato, infantile e inutile, di esorcizzare con una crisi la sua disfatta, la sua decadenza da senatore, la sua fine politica, Berlusconi ha spinto il sistema politico italiano a toccare il fondo più nero della sua discesa verso l’abisso della inconcludenza. È una scelta che consegna al Presidente della Repubblica una responsabilità enorme, quella di trovare la via del minor danno per tutti gli italiani in un momento in cui gli attori politici che dovrebbero fornire indicazioni per una soluzione sono in condizioni di estrema fluidità e fragilità.
Con l’atto unilaterale e improvviso che ha compiuto, d’intesa con l’avvocato Ghedini e il contorno di falchi – prova ultima, per chi ancora ne aveva bisogno, della gravità del conflitto di interesse che ha inquinato gli ultimi 20 anni della vita pubblica italiana – il Cavaliere ha innescato l’esplosione che dividerà inevitabilmente il suo partito. Chi consulterà Napolitano per valutare i comportamenti parlamentari dei deputati del Pdl? I capigruppo? Il segretario? Il Pdl entra in un fase “gassosa” e imprevedibile, che avrà bisogno di tempo prima che si definisca qualche nuova forma di comando. Coloro che daranno priorità a scelte di stabilità rispetto alle disperate manovre di sostegno e di diversione inventate dalla ridotta di Arcore passeranno rapidamente dal ruolo di fedeli a quello di traditori. Gli esiti della dinamica non sono facili da prevedere, ma una spaccatura di incerte dimensioni è sicura.
Dall’altra parte Napolitano si troverà un manipolo di possibili transfughi del Movimento 5 Stelle, i quali pure avranno numero incerto e incerta guida. Anche qui si svilupperanno scontri violenti, anticipati dai toni estremi dell’attacco insultante di Grillo al Quirinale. Un altro punto interrogativo si aggiunge ai difficili calcoli sulla scacchiera parlamentare.
Gli altri interlocutori non sono, neppure loro, delle rocce su cui costruire edifici di lunga durata. Il Pd è nelle mani di un reggente, Epifani, persona seria e responsabile, ed ha trovato nelle ultime ore, dopo mesi di estenuanti e mai concluse battaglie sulle date delle primarie, la forza di chiudere una riunione senza spaccarsi in quattro. Ma si tratta di un partito in procinto di ridefinire la sua leadership, e incerto sul da farsi perchè il maggior numero di consensi sembra ormai aggregarsi intorno a Matteo Renzi come futuro segretario e candidato premier, mentre la riconferma di Letta, nella versione bis, fino al 2015 (o anche oltre) agirebbe in direzione contraria. Il Pd avrebbe fatto bene – e non è solo senno di poi – ad arrivare a questo appuntamento con una scelta già compiuta. È una responsabilità grave non averlo fatto.
L’errore è madornale e superato soltanto, per gravità di danni, dalla paura e dallo scarso senso di responsabilità di chi, nel Pdl, ha lasciato che la crisi personale del capo-padrone si trascinasse fino a questo punto, quando era da tempo a tutti ben chiaro che non esisteva e non esiste una soluzione che, dopo la sentenza in Cassazione, potesse esentare Berlusconi dalla pena e dalle sue conseguenze. Non esisteva e non esiste dentro il perimetro dello stato di diritto. Il fallimento dei “responsabili”, o “diversamente berlusconiani” (Alfano? Cicchitto? Gianni Letta? Quagliariello? Lupi?) che vorremmo davvero vedere emergere fuori da questo incendio del Pdl, è evidente e la reazione tardiva potrebbe non essere sufficiente ad avviare un nuovo percorso per i moderati.
Soltanto una improvvisa accelerazione, del distacco da Berlusconi e della costruzione di una nuova aggregazione parlamentare, potrebbe mettere in gioco un nuovo soggetto e nuove ipotesi per una maggioranza capace di durare quanto serve per varare una nuova legge elettorale e per adempiere alle urgenze economiche di bilancio. E francamente finora nessuno ha mostrato carattere ed energia sufficiente alla bisogna.
Il Pd, con la solida maggioranza alla Camera e con la responsabilità della maggioranza relativa al Senato sarebbe stato l’unico soggetto forte di riferimento, per il Quirinale e per tutti gli Italiani, per pilotare una ragionevole, ancorché rocambolesca, soluzione della crisi. Dovrà definire in tempi rapidissimi quella linea che non ha saputo trovare finora. Quanto al centro, è riuscito, come è noto, anch’esso a dividersi in modo da innalzare ulteriormente il livello della nebbia sul futuro politico della legislatura. E anch’esso avrebbe potuto avere una funzione essenziale nell’aggregare forze determinanti per liquidare la lunga egemonia berlusconiana sui moderati.
La crisi va dunque in Parlamento sotto la attenta sorveglianza del Quirinale. Molto dipenderà dalle decisioni che in tempi rapidi dovranno prendere in molti che finora hanno sempre preferito rinviare ogni scelta, temendo per il proprio seggio e la sua riconferma. Difficile scommettere su un Parlamento eletto con il Porcellum, pieno di fedeli, che ora sono in dubbio su quale fedeltà osservare. Non c’è molto da essere ottimisti. Ormai siamo abituati all’idea che le riflessioni sulla politica italiana si aprono e si chiudono all’insegna della recriminazione. Per la speranza non c’è spazio e non ci sono leader in carica sui quali se ne possa investire molta. Regge nella tempesta l’unica istituzione a cui tutti guardano ora come possibile deus ex machina di un lieto fine, al momento improbabile. Ma Napolitano merita di sicuro gli auguri di tutti.