A noi italiani serve, in queste ore di decisioni importanti, uno sforzo di fantasia per guardarci sobriamente dall’alto, con il «terzo occhio», non quello dei chiaroveggenti o dell’illuminazione induista, ma quello del distacco dagli istinti di parte, come suggeriva ai suoi tempi Norberto Bobbio, per giudicare noi stessi con qualche obiettività. Con un po’ almeno di quel distacco riusciremmo a vedere che la paralisi seguita alle elezioni non è solo conseguenza dell’ingorgo istituzionale o di una sfortuna aritmetica, ma la semplice diretta conseguenza delle scelte degli elettori che si sono lasciati conquistare (in modo ripartito per tre, con qualche resto) da leadership indecise, pigre, illusioniste ed evasive. Nonostante le apparenze e le declamazioni in contrario, una vera radicale svolta dell’economia e della società per rimettere l’Italia in linea con la competizione internazionale non la voleva davvero nessuno. Hanno tergiversato loro, non i saggi nominati da Napolitano.
Le tre minoranze, vincenti/perdenti, hanno variamente eluso il problema delle riforme radicali (dolorose, ma cariche di futuro migliore) che sono necessarie per portarci strutturalmente fuori dalla recessione. La paralisi, in sostanza, non è solo dovuta alle geometrie politiche sbilenche e a una orribile legge elettorale, ma è proprio di sistema. Gli italiani non vogliono cambiare, o meglio vorrebbero ma senza pagarne il prezzo. E nessuno ha carattere e autorità sufficienti per dare la scossa. È come se il paziente avesse in mano il bisturi per incidere il bubbone, ma non lo fa perché fa male.
E neppure i candidati dottori lì intorno hanno il coraggio di sfidare la paura del paziente, perché dipendono dal suo voto, ora non dopodomani. Il risultato è la cancrena avanzante. La scossa non è venuta dalle elezioni perché le elezioni democratiche in fase di recessione sono una gara a chi le spara più dolci. Eppure una soluzione può venire solo dall’alto di una politica, che sapesse stare in alto, perché gli impulsi dal basso, a quanto pare, spingono ad evadere a oltranza.
Dubbi sul fatto che gli illusionismi sono tre, di tutti e tre: centrosinistra, centrodestra e Cinque stelle? Si può concedere al Pd che è andato un po’ più vicino a una proposta di cambiamento e di verità, anche perché era il più convinto di vincere, e governare subito dopo. Ma non tanto più vicino. Bersani nella alleanza con Sel e facendosi scudo del sindacato ha scelto, delle due possibili, la via più tranquillizzante e più elusiva: la manutenzione (sperata) del suo pacchetto elettorale, poco attraente per l’Italia dei giovani disoccupati al quasi 40 per cento, non incisiva rispetto alle plaghe in mano alla criminalità, ai vizi della spesa pubblica e della macchina dello Stato, alla rabbia nei confronti del ceto politico.
Berlusconi ha confermato la sua palese vocazione professionale a eludere le questioni sgradevoli: negazionismo sistematico, non c’è una crisi italiana, le colpe sono dell’Europa, degli eurocrati e dei comunisti; ci sono dei persecutori da cacciare e sono peraltro gli stessi che si accaniscono contro di lui e le sue aziende, sono le toghe rosse, i media avversi. Regolati quei conti, i problemi si risolverebbero da sé.
E, terzo, Grillo – più ancora dei primi due – ha scelto la strategia illusionistica e ne ha fatto il suo efficacissimo carburante: ma quali riforme difficili? È tutto semplicissimo, basta liberarsi dai cialtroni che sono al comando, che sono mascalzoni o pazzi, puttanieri e/o da ricovero. Impediscono di applicare ricette semplicissime come la svolta energetica, la rivoluzione del web e dei trasporti (ma cancellando la Tav), l’introduzione di una lira parallela all’euro e altro ancora. Togliamo a questo paese il coperchio dei gruppi di potere, dei burattinai della finanza internazionale e d’incanto va in scena il mondo nuovo della sostenibilità e della felicità, da lasciare di stucco anche i più arditi teorici dell’economia «senza crescita», senza benzina e senza petrolieri. Avete poi sentito in campagna elettorale qualcuno parlare dello stock del debito pubblico?
Tre modi diversi, dunque, di eludere. Per questo siamo fermi. Nessuno voleva davvero una guerra di movimento per cambiare la faccia di questo paese. Tutti volevano lisciare il pelo a un animale che non aveva voglia di correre. E tuttavia, a un certo punto della legislatura, al momento opportuno, qualcuno ha provveduto al contropelo e a rimettere in circolazione il principio di realtà, con le sue indesiderabili amarezze. E a prendere qualche indispensabile misura. A farlo è stato il Quirinale, una istituzione che non a caso è nelle mani di un Presidente che non viene votato direttamente dal popolo sovrano, ma è il frutto di una elezione di secondo grado.
È assai probabile che questa condizione, insieme alle sue personali caratteristiche, abbia consentito a Giorgio Napolitano, decisioni che difficilmente sarebbero germinate da una campagna elettorale e da un partito. E non c’è chi non veda che, alla fine del 2011, questo è stato un bene prezioso. Il principio di realtà, nonostante le debolezze del sistema politico, ha avuto sul Colle il suo presidio. Ora che il Parlamento deve eleggere il nuovo inquilino, approfittiamo della imperdibile occasione di una elezione di secondo grado. Teniamola cara visto che la Costituzione ce l’ha data e difendiamo il presidio, con la preoccupazione essenziale di garantirne la continuità e di difenderla dagli illusionismi: realismo e capacità di usare il «terzo occhio». Almeno lì.
Articolo uscito anche su La Repubblica del 18 aprile 2013.