L’ultimo testamento di Jacques Dupuis: “Il mio caso non è chiuso”

È in libreria «Il mio caso non è chiuso». Conversazioni con Jacques Dupuis (Editrice Missionaria Italiana, pp. 448), il libro-intervista che il giornalista Gerard O’Connell ha realizzato tra il 2002 e il 2004 con il celebre gesuita belga sostenitore della teologia del pluralismo religioso e per questo messo sotto indagine dalla Congregazione per la dottrina della fede di Joseph Ratzinger. Pubblichiamo di seguito uno stralcio della prefazione al volume di Giancarlo Bosetti, direttore di Reset.

Questo libro non è solo la storia di Jacques Dupuis, il teologo belga processato nel 2000 dalla Chiesa per le sue idee pluraliste. È molto di più ed ha uno straordinario interesse per tutti grazie alla vicenda umana che vi si racconta e perché è intessuto di una trama filosofica e teologica che merita la gratitudine di tutti coloro che credono nella tolleranza e nel dialogo tra diversi, tra le culture, tra le religioni. C’è chi vorrebbe il caso chiuso, ma si esce da questa lettura con la chiara convinzione che «la vicenda non è affatto finita», per usare le parole del protagonista, che se n’è andato a 81 anni nell’amarezza, ma anche con quella sensazione nella mente. La stessa di chiunque si addentri nelle avvincenti pagine di questo caso, che l’autore racconta qui nel suo accurato e appassionato dialogo con l’amico e confidente Gerald O’Connell.

Il caso Dupuis non è dunque chiuso, al di là di quello che possa risultare dalla ufficialità dei documenti giudiziari della Congregazione della dottrina della fede, di quella, cioè, che fu la Santa Inquisizione e poi il Santo Uffizio. E al di là della Notifica (leggi: sentenza) che lo accusò, dopo un imbarazzante andirivieni di correzioni e aggiustamenti di tiro, prima di «errori», poi – in diminuendo – di «ambiguità e difficoltà». La condanna, seppure più mite, sembrava riconoscere la buona fede del teologo belga, ma il veleno del discredito sulle sue tesi, per come vanno le cose della Chiesa, aveva comunque effetti penali ed era sufficiente perché, a procedimento ancora in corso, venisse cancellato d’ufficio il suo insegnamento alla Università Gregoriana – sarebbe stato l’ultimo per limiti di età – e perché poi gli fosse sottratta la direzione della rivista «Gregorianum». Quelle «ambiguità» infatti avrebbero potuto, secondo il documento firmato dai cardinali Ratzinger e Bertone, indurre in «errori» e «interpretazioni pericolose» i lettori del libro sottoposto ad indagine: Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, che era apparso nel 1997, in varie lingue.

L’amarezza e la depressione di Dupuis, che ne hanno probabilmente accelerato, come qui O’Connell ben racconta, la morte nel 2004 (il procedimento era iniziato sei anni prima, quando Dupuis aveva 75 anni), non hanno tuttavia incrinato la determinazione del gesuita nel difendere con puntiglio analitico le proprie ragioni, nel denunciare le scorrettezze, disinvolture e superficialità procedurali di cui fu vittima fino alla fine. Ed ecco qui il significato e la portata di questo libro, cui Dupuis consegna la sua autobiografia, la sua storia, quella personale degli affetti, quella della sua fede e missione di gesuita, quella della formazione intellettuale, filosofica e teologica e, infine, quella del caso di cui è stato al centro, con tutta la documentazione e i riferimenti che saranno utili perché qualcuno riprenda il suo cammino.

Questa vicenda è importante non solo per la storia della Chiesa, e dunque per chi ne è coinvolto, ma anche per l’intera storia delle idee e della filosofia di cui l’evoluzione storica della teologia cristiana è grande parte, da Origene di Alessandria a Nicola Cusano, da Pascal al Concilio Vaticano II. E merita l’attenzione speciale di tutti coloro che, dovunque si collochino per la loro formazione, credenti di ogni fede e non credenti di ogni genere, abbiano a cuore il pluralismo.

Chi vi scrive per introdurre l’edizione italiana di questo volume ha scoperto Dupuis grazie a chi lo ha avversato. Mi ha molto colpito negativamente, fin da quando fu pubblicata, la dichiarazione Dominus Iesus, dell’agosto del 2000, il documento dottrinale firmato dal prefetto della fede Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI, che rivendicava la unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, con un linguaggio che esalta la assolutezza dell’annuncio cristiano e che guarda con sospetto il dialogo, evocando la chiusura delle porte della salvezza agli altri, come faceva Agostino, tra quarto e quinto secolo, quando condannava non solo i peccatori o gli eretici ma anche ebrei e pagani e tutti coloro che non erano venuti a conoscenza del Verbo cristiano. Non mi ci volle molto, a me come tanti altri, per scoprire che, se Agostino era stato guidato dalla polemica contro Pelagio e contro il libero arbitrio, anche questo documento, più di un millennio e mezzo dopo, aveva i suoi bersagli: il dialogo tra le religioni e Jacques Dupuis.

————————————————————————————————————————–

«Il mio caso non è chiuso» sarà presentato venerdì 17 maggio 2019 alle ore 17.30 alla Libreria Einaudi (via Vittorio Veneto, 49) di Udine, nell’ambito del festival Vicino/Lontano. Ne parleranno Giancarlo Bosetti, direttore di Reset, e don Pierluigi Di Piazza, fondatore del Centro di accoglienza e promozione culturale Ernesto Balducci di Zugliano. Tutti i dettagli su www.emi.it 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *