Hamas vs. Israele, una guerra (anche) su Twitter

E’ diventata una guerra 2.0, l’eterno conflitto tra Israele e Palestina. E dopo il cessate il fuoco annunciato la sera del 21 novembre, anche sul fronte dei social media, di annunci se ne sono sparati di meno, rispetto alla settimana del conflitto.

Che si sarebbe trattato della “first social media war”, come ha titolato la Bbc, era stato chiaro sin dall’inizio, quando l’annuncio dell’avvio dell’operazione Pillar of Defense era stato fatto di fronte allo schermo di un computer, dato in pasto a quel flusso continuo di micropost che è Twitter. Nessuna conferenza, nessun giornalista, nessuna sala stampa tradizionale. E tuttavia in pochi devono aver dubitato che la situazione a Gaza non stesse peggiorando, leggendo, nel primo pomeriggio del 14 novembre 2012, il tweet lanciato dall’account ufficiale delle Forze di Difesa Israeliane (@IDFSpokesperson), che avrebbe segnato l’inizio della “colonna di difesa” contro i terroristi e la jihad islamica.

L’operazione militare è stata al tempo stesso un’operazione di comunicazione bellica e propaganda 2.0, mai vista prima e combattutasi attraverso le forme più disparate, tra quelle offerte dalla rete. Annunci, rivendicazioni, minacce e informazione di parte sono state gestite direttamente dai due schieramenti e direttamente hanno coinvolto gli utenti, invitandoli in una specie di gara, a che condivide e commenta di più foto e video, secondo le pratiche di quella che viene chiamata gamification. Così, benché l’utilizzo più massiccio dei nuovi mezzi di comunicazione sia stato fatto dalle Forze di Difesa Israeliane, la guerra si è combattuta parallelamente a Gaza e su Internet. Di fronte agli occhi del mondo intero, adottando l’inglese come lingua universale e schierando un linguaggio e delle forme di comunicazione d’impatto. I toni di quello che probabilmente è e resterà lo scambio più simbolico del conflitto, sembrano infatti più adatti alla cinematografia americana che alla diplomazia internazionale. “Raccomandiamo a tutti gli agenti di Hamas di non farsi vedere in giro nei prossimi giorni”, questo è in sostanza il contenuto del tweet che ha anticipato l’inasprirsi della violenza da parte di Tel Aviv. E la risposta data da Hamas non ha usato certamente parole più prudenti: “Vi siete aperti le porte dell’inferno da soli”.

 

 

Poco dopo, la Difesa Israeliana annunciava il successo dell’attacco al leader di Hamas – Ahmed Jabari – con un video su Youtube e un’ infografica che, simile a una macabra locandina, celebrava l’uccisione: “Eliminated”.

 

Ma la Rete non è stata usata solo per la celebrazione delle gesta dell’esercito israeliano. Il tentivo di influenzare l’opinione pubblica è costante, da parte di Tel Aviv, e passa attraverso la continua giustificazione di un conflitto che è innanzitutto una reazione alle offese di Hamas. Basti pensare alle immagini di copertina nella pagina Facebook che contano i missili lanciati su Israele o le numerose infografiche che strizzano l’occhio al mondo occidentale – come a chiedere il permesso di reagire.

Infographics: What Would You Do?

In un’intervista a Buzzfeed, la portavoce della Difesa israeliana, Avital Leibovich, si è detta “molto orgogliosa” del lavoro svolto sui social media e del successo che l’account Twitter ha avuto, in termini di followers. “Ci sono così tanti opinionisti, leader mondiali e politici in tutto il mondo che usano Twitter. Lo trovo uno strumento essenziale per raggiungere le audiences e noi lo usiamo constantemente. […] Uno dei vantaggi che forse posso avere, ripetto ad altri, è il fatto di avere dei diciottenni. Quando recrutiamo i soldati hanno 18 anni.. l’età di coloro che sono praticamente nati con i social network. La parte creativa del linguaggio viene quasi naturale.”

Non è infatti raro trovare post su Facebook o video di propaganda, con dei toni che sfiorano, per la loro leggerezza, i codici pubblicitari. Ed è forse singolare che questo avvenga soprattutto quando si tratta di ribadire un’attenzione verso una difesa dei civili, poi smentita dai dati Onu, che hanno contato fino a 103 civili palestinesi uccisi, su un totale di 158.

A conflitto interrotto – la tregua non è una pace, ricorda Le Figaro – si tirano le somme. Già prima della mediazione dell’Egitto e degli Usa per il cessate il fuoco, diversi osservatori – tra i quali Augusto Valeriani – evidenziavano una vera e propria “guerra degli hashtag”, finalizzata a imporre la propria tendenza come più popolare su quella del nemico – e vinta, secondo il Washington Post, da Hamas con un uso molto più diffuso di #GazaUnderAttack, rispetto a #IsraelUnderAttack.

Qualcuno si è domandato se le minacce di una parte o dell’altra avessero violato i codici etici della rete o i regolamenti degli specifici social network. In maniera più o meno diretta, la questione è stata indirizzata a Twitter, da diversi utenti. Ma il sito – che tra le sue “Regole” comprende: “L’utente non può pubblicare o postare minacce dirette e specifiche di violenza contro gli altri” – non ha ancora risposto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *