Da Reset-Dialogues on Civilizations
Esattamente ottant’ anni fa, nel luglio del 1936, un’Europa che già marciava inconsapevolmente verso la Seconda Guerra Mondiale (a marzo Hitler aveva rioccupato la Renania; con la vittoria di maggio sull’ Etiopia, era iniziato il “divorzio” fra Italia fascista e democrazie occidentali) assisteva attonita, quasi senza reagire (era, del resto, in gran parte sotto regimi fascisti o parafascisti), all’Alzamiento dei generali spagnoli contro il governo della giovane Repubblica. Nata cinque anni prima, col volontario esilio di re Alfonso XIII (aprile 1931, dopo la netta vittoria dei repubblicani alle elezioni municipali), la Repubblica non aveva avuto vita facile: per i continui contrasti interni, e l’avvicendarsi di governi di segno opposto, iniziatori di forti riforme sociali o, al contrario, esecutori della reazione più spietata ( come per la sanguinosa repressione della rivolta delle Asturie, scatenata nel 1934 dai minatori guidati da socialisti del PSOE e anarchici, e stroncata dai legionari del “Tercio”, la “Legione straniera” spagnola, comandati dal generale galiziano Francisco Franco).
Il 17 luglio 1936, l’esercito comandato da Franco, di stanza nel Marocco spagnolo (dove il generale giunse in aereo dalle Isole Canarie, di cui è stato da poco nominato governatore militare, secondo la logica del “Promoveatur ut amoveatur”: da Madrid), si solleva, con un pronunciamiento che s’ estenderà, nei giorni successivi, a varie regioni della penisola. Nel frattempo, altri reparti in Navarra, comandati dall’altro generale José Sanjurjo, navarrese e “carlista” ( che morirà il 20 luglio, in un incidente aereo a dir poco sospetto), iniziano le operazioni nel Nord del paese. Dopo la morte di Sanjurjo, Franco, al comando delle truppe ammutinate in Africa e dei legionari del Tercio, prenderà la guida delle forze nazionaliste del Sud mentre il generale Emilio Mola ( vero ideatore di tutto il piano del “golpe”, che morirà l’anno dopo) di quelle al Nord.
L’ intenzione di Franco è conquistare il Sud per arrivare velocemente a Madrid; ma mentre Siviglia, Pamplona, La Coruña, Cadice, Jerez de la Frontera, Cordova, Saragozza, Oviedo e Burgos cadono tutte sotto il controllo degli insorti, la strenua resistenza delle forze repubblicane, in città come Madrid, Barcellona, Valencia e nei Paesi Baschi porta a una prolungata guerra civile, che si concluderà solo nel marzo 1939. Con Franco sono fascisti della Falange, carlisti (monarchici dissidenti) e monarchici legittimisti, nazionalisti, la maggior parte di conservatori e reazionari, e la parte preponderante del clero cattolico. Leader della Falange è il giovane Josè Antonio Primo de Rivera (figlio del dittatore che, ispirandosi a Mussolini, ha governato la Spagna dal 1923 al 1930): uomo intelligente, per certi versi un Codreanu spagnolo (ma assai più realista del leader romeno), che crede in un fascismo d’ispirazione corporativa, sindacalista, anticapitalista, ma molto legato alla tradizione religiosa e popolare spagnola. Morirà nel novembre 1936, fucilato dal Governo repubblicano. Appartengono, invece, allo schieramento repubblicano, i repubblicani propriamente detti, la maggioranza dei liberali, gli autonomisti baschi, catalani e asturiani, i socialisti del PSOE, Partito Socialista Obrero Espanol, i comunisti, gli anarchici di varie ideologie e i trozkisti del POUM, Partito Operaio Unificato Marxista.
Ottant’ anni dopo, che lezioni si possono trarre dalle vicende della Guerra civile spagnola? Franco, il generale che varie circostanze fan divenire leader incontrastato dei ribelli, è, un po’ come tutti i galiziani, uomo astuto, prudente, diffidente. Nel 1936, aderisce (solo in ultimo, quando ci sono ragionevoli probabilità di successo: proprio come, tanti anni dopo, farà Pinochet in Cile) a una congiura contro un governo democraticamente formato (nato dalle elezioni del febbraio 1936, segnate dalla vittoria del Fronte Popolare: composto – proprio come in Francia – dai partiti della sinistra, e che ottiene 4.838.000 voti contro i 3.996.000 della destra). Ma che risulta, sin dall’inizio, da un lato dominato dalla sinistra massimalista (comunisti, socialisti massimalisti, anarchici); dall’altro, paralizzato dai gravi contrasti interni al PSOE. Dove è forte lo scontro tra i riformisti, guidati da Indalecio Prieto (che nel ’36 sta per diventare Premier, ma deve rinunciare per il veto postogli dal suo stesso gruppo parlamentare, dominato dai massimalisti), e i rivoluzionari di Largo Caballero, detto il “Lenin spagnolo”. Il risultato è che, nella primavera del 1936, Prieto deve rinunciare a formare un suo governo: lasciando l’incarico al repubblicano, galiziano, Casares Quiroga. Copione che ricalca esattamente, quattordici anni dopo, quello miseramente recitato, in Italia, nell’ estate del ’22: quando la possibilità di fermare il fascismo creando un governo d’unità nazionale, guidato da Vittorio Emanuele Orlando e pienamente appoggiato dai socialisti, era sfumata per i contrasti interni e le indecisioni di socialisti, popolari e liberali.
In Spagna, nel 1936 proseguono le violenze: in parte dovute alle sinistre che, in preda all’euforia della vittoria elettorale, da febbraio hanno iniziato ad assalire le chiese e le proprietà private dei benestanti, e ad aggredire i militanti della Falange. Si susseguono continuamente scioperi, proclamati dagli operai, frustrati dalle lunghe attese per le riforme; così come le richieste esagerate di aumenti salariali. Scontri di piazza e attentati contro singole personalità politiche aumentano, compresi anche scontri tra falangisti e anarchici, o tra questi e i socialisti.
Come ricordano storici autorevoli (1) – secondo un resoconto delle Cortes, il Parlamento spagnolo, dal 16 febbraio al 17 giugno 1936 si registrano 269 morti, 1287 feriti, 160 chiese distrutte e 251 saccheggiate. La Chiesa cattolica, d’altra parte, in Spagna gode d’un Concordato, stipulato con lo Stato nel 1851, che l’autorizza a mantenere ampie posizioni di privilegio, e ad ingerirsi continuamente nella vita civile; il Governo repubblicano già dal 1933 aveva del resto già cominciato a rivedere fortemente questa normativa, e avvia la secolarizzazione di tutti i beni e proprietà ecclesiastici. Ma scivola troppo spesso nella repressione antireligiosa, con arresti e fucilazioni di migliaia di ministri del culto, o anche semplici cittadini di fede cattolica (proprio come, dieci anni prima in Messico, il governo ultramassonico del presidente Elias Calles, che aveva suscitato, per reazione, la grande rivolta popolare dei “Cristeros”). Lo ammetterà, molto onestamente, lo stesso ministro repubblicano de Crujo, in un rapporto agli altri membri del Governo, a Valencia il 7 gennaio 1937.
In questo caos, non c’è da stupirsi che, nella Spagna del ’36, un gruppo di generali tradizionalisti (poco propensi a commuoversi per i casi di anticlericalismo feroce, dato anche che tra loro abbondano i massoni, compreso persino il fratello di Franco, Ramon; ma assai più sensibili alle minacce d’una collettivizzazione dell’economia) decida di tentare un golpe, sapendo d’avere alle spalle circa la metà della società spagnola (latifondisti, industriali, alta borghesia ed alto clero, e parte consistente dei ceti medi, specie piccolo-borghesi e impiegatizi). Il Paese è veramente spaccato in due. Mentre il Governo – in modo esattamente simmetrico all’Italia del ’21- ’22 – reprime duramente le organizzazioni illegali di destra, ma chiude largamente un occhio sulle violenze della sinistra: Casares Quiroga, il premier repubblicano del ’36, passerà da allora alla storia come il “Luigi Facta spagnolo”, col suo “Ho la situazione in pugno” (frase più volte ripetuta nel giugno del ’36, a poche settimane dal golpe), che davvero ricorda il “Nutro fiducia” del Presidente del Consiglio italiano del ’22.
Sul piano geopolitico, poi, la guerra di Spagna si affermò quasi come “prova generale” della Seconda guerra mondiale. Nonostante la firma, da parte di quasi tutte le nazioni, d’un “Patto di non intervento” in Spagna, proposto nel ’36 dalla Francia, “de facto” vari Paesi aiutano le parti in lotta, anche alla luce del sole: URSS staliniana e (in misura molto minore) Messico anticlericale e Francia, i repubblicani; Italia fascista e Germania nazista, i franchisti. Scendono in campo, dal 1936 al 1938, le “Brigate internazionali”, a fianco del Governo repubblicano. Per la Germania, intervenire in Spagna significa anche testare sul campo – in vista del possibile, futuro confronto con democrazie occidentali o Unione sovietica – i forti armamenti convenzionali che, in barba al trattato di Versailles, ha cominciato a realizzare già addirittura negli anni di Weimar (e persino, secondo documenti studiati, nel 2009-2010, da autorevoli testate di storia “dietro le quinte”, i primissimi velivoli ultrasegreti, perfezionati in seguito, che nella guerra mondiale saranno scambiati per UFO).
Se questo terribile conflitto, che alla Spagna ha causato un milione di morti, al contrario fosse stato vinto dai repubblicani, che corso avrebbe avuto la storia? Nel 1998, la rivista “Liberal” dedicò uno dei suoi libri alla polemica che aveva visto scendere in campo, su questo tema, nomi come Giuliano Bonfante, Edgardo Sogno (ambedue ex- combattenti, su fronti opposti, nel 1936- 1939), Renzo Foa, Barbara Spinelli, Indro Montanelli, Piero Ostellino. Concludeva la raccolta di interventi, Sergio Romano, autorevole editorialista del “Corriere della Sera”. La storia non è mai semplice: probabilmente, le divisioni interne già tipiche del Governo repubblicano, dopo la vittoria sarebbero esplose ancor più, con sanguinose repliche dei massacri stalinisti di Barcellona del ’37 (dettagliatamente ricostruiti da George Orwell nel suo splendido “Omaggio alla Catalogna”). Mentre proprio non si può dire cosa avrebbe fatto un Governo di sinistra spagnolo dal ’41 in poi, con l’URSS aggredita da Hitler e i nazisti sulla porta di casa, al confine della Francia occupata. Ma se Franco resta, per la storia, l’autore d’una repressione spietata e prolungata al di là d’ogni ragione, che non può essere giustificata dalle decine di migliaia di vittime fatte in campo opposto (ancora nel 2001-2002, sono state ritrovate centinaia di fosse comuni dell’epoca, in stile centroamericano), almeno il Caudillo pose fine a una guerra civile che in Spagna, in realtà, andava avanti, con periodici massacri, da centodieci anni, dal tempo dell’intervento della Santa Alleanza contro i rivoluzionari liberali (1823), e delle sanguinose lotte civili al tempo della Prima Repubblica (1873-’75).
E anche se, nell’ultimo decennio, il governo guidato dal socialista Zapatero si è proposto di rimuovere sistematicamente, dal paesaggio urbano, qualsiasi testimonianza del regime franchista, la maggioranza degli spagnoli, per più generazioni, pur non potendo riconoscersi nel regime, tutto Chiesa-censura-prigione-repressione sessuale, del Caudillo, ha tenuto conto di tutto questo, e dell’aver potuto evitare la tragedia della Seconda guerra mondiale. Preparandosi a un ritorno alla democrazia che è stato tra i piu’ rapidi della storia: in soli sette anni, dalla morte di Franco nel novembre 1975 al trionfo elettorale di Felipe Gonzales nell’ottobre 1982, la Spagna passava dal franchismo all'”alternativa socialista” (anche nei suoi lati negativi, come la degenerazione partitocratico-scandalistica). E poi – sino almeno all’attuale “empasse” – a una fisiologica alternanza al governo di partiti opposti.
(1) Dal celebre Hugh Thomas (autore per Einaudi, sin dal 1963, di un’ampia Storia della guerra civile spagnola in piu’ volumi) ai più recenti Paul Preston e Arrigo Petacco: autori, rispettivamente, de La guerra civile spagnola, Mondadori, Cles (TN) 2011, e Viva la muerte!, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2006.
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