Sergio Mattarella sta per ‘esaurire’ i suoi discorsi, le sue esternazioni più politiche e le sue uscite pubbliche. Nel senso che il prossimo 3 agosto inizia il famoso ‘semestre bianco’, e cioè gli ultimi sei mesi del mandato presidenziale in cui il Presidente della Repubblica, per precisa scelta dei padri costituenti, non può sciogliere le Camere – arma di pressione sul Parlamento e suo vitale potere da quando esiste la figura del Capo dello Stato. E, in quegli ultimi sei mesi del mandato, Mattarella – così traspare dai refoli che arrivano dal Quirinale – entrerà in una sorta di auto-mutismo: un mutismo voluto e auto-imposto. Da se stesso, ovviamente, e non da altri. L’attuale inquilino del Colle si dedicherà, piuttosto, a una serie di viaggi, per lo più all’estero, fuori d’Italia.
Ma se Mattarella viaggerà tanto, parlerà poco. Di certo, non entrerà più in corpore vili della lotta politica, come pure ha fatto, seppur sempre centellinando e calibrando tutte le sue ‘uscite’. Tantomeno accennerà a un suo possibile ‘bis’.
Per quello che riguarda, infatti, la possibilità di un ‘bis’ del suo settennato, come pure da molte parti gli chiedono e gli continuano a chiedere, il punto è che sette anni al Quirinale sono più che sufficienti, ha più volte ribadito Mattarella. L’attuale inquilino del Colle – ex professore di diritto costituzionale, ex giudice della Consulta, due elementi del suo curriculum da tenere sempre a mente se se ne vogliono capire le intenzioni – ha detto, in modo ufficiale e per ben tre volte, che non intende farsi rieleggere neppure per poco.
Il doppio obiettivo di chi vuole la sua rielezione
L’obiettivo politico per cui dovrebbe fare il bis è duplice. Da un lato mantenere a palazzo Chigi l’attuale premier, Mario Draghi, dargli modo di completare le riforme del PNRR, tenendo coesa la larga e complicata maggioranza che lo regge (da Lega-FI a Pd-LeU passando per M5s) e dall’altro impedire rischiose elezioni anticipate che cadrebbero nel bel mezzo dell’esecuzione del Recovery Plan, cioè a primavera del 2022, un anno e mezzo prima dalla scadenza naturale.
L’obiettivo sarebbe di garantire la ‘transizione’ di una legislatura che ha già conosciuto tre governi e tre maggioranze di segno diametralmente opposto (gialloverde, giallorossa, giallorossaverdeazzurra) verso le nuove Camere che, nel 2023, quando e se la legislatura si chiuderà in modo ‘naturale’, vedranno entrare in vigore la riforma del taglio del numero dei parlamentari. Nel 2023, infatti, i cittadini eleggeranno un Parlamento a 600 membri (400 deputati e 200 senatori) e non a 945 (630 deputati e 315 senatori, più gli attuali sei senatori a vita) in base alla riforma costituzionale fortemente voluta dai 5Stelle ed entrata in vigore.
Insomma, un Parlamento di fatto ‘delegittimato’ chiede a Mattarella di restare per evitare che un nuovo Presidente (magari proprio Mario Draghi) si trovi costretto, come primo atto, a sciogliere le Camere, a ‘mandare a casa’ i suoi parlamentari e, anche, che un Presidente eletto sulla base del plenum attuale (1009 ‘Grandi elettori’: 945 parlamentari eletti, 6 senatori a vita, 58 delegati regionali) si trovi, presto, a fare i conti con un Parlamento decurtato nei numeri che potrebbe non ritenersi pienamente rappresentato da un Presidente eletto con i vecchi numeri, gli attuali.
Sette anni per me posson bastare
Obiettivi politici ‘di sistema’ e ‘nobili’ ma che vedono Mattarella, all’idea del bis, irremovibile. Finora, già tre volte Mattarella ha detto ‘no’ in modo palese. Nel discorso di Capodanno (“quello che inizia sarà l’ultimo anno del mio mandato”), quando ha parlato davanti a tutti i cittadini. A febbraio scorso, ricordando la nascita di un suo predecessore, Antonio Segni e riprendendone il messaggio inviato alle Camere nel 1963, ha ribadito con un messaggio rivolto, stavolta, al mondo politico: “sette anni sono abbastanza per assicurare la continuità dello Stato”, il concetto.
A maggio, infine, parlando davanti ai bambini di una scuola elementare di Roma, Mattarella ha ribadito, con un sorriso un po’ triste: “Tra otto mesi potrò riposarmi. Sono vecchio”.
Il 23 luglio Mattarella compirà 80 anni, eppure Sandro Pertini fu eletto Presidente a 82 anni e Napolitano fu rieletto che ne aveva già fatti 88, per il suo secondo mandato, dal 2013 al 2015. Ma restare al Colle altri due anni (fino, cioè, alle Politiche del 2023) vorrebbe dire ‘scavallare’ la durata del mandato dei giudici della Consulta. Un tempo politico che Mattarella ritiene eccessivo.
La Costituzione, però, non vieta espressamente la rielezione. Sull’argomento, semplicemente, tace, ma che i padri costituenti non volessero che un Presidente diventasse ‘un monarca repubblicano’ è cosa nota. Finora vi è stato un solo bis, quello di Napolitano (9 anni), ma Mattarella non ama i bis, e ritiene quella del mandato del presidente della Repubblica un mandato repubblicano ‘a termine’.
“La storia siamo noi”
“Ora tocca a voi giovani”. Anche nel discorso tenuto il 2 giugno per festeggiare la festa della Repubblica, a distanza di 75 anni dalla nascita, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha voluto mandare un messaggio molto chiaro: “tocca a voi scrivere la storia della Repubblica”. Perché se è vero che, come ha detto il presidente della Repubblica, citando Francesco De Gregori, “La storia siamo noi. Nessuno si senta escluso” e che “solo uniti si riparte dopo il Covid”, il futuro sono i giovani: “Tocca a voi”.
Un messaggio subliminale che, pur senza parlare di politica e di bis, Mattarella ha dato sulla sua successione. E un anniversario, quello dei 75 anni della nascita della Repubblica, che Mattarella ha voluto festeggiare – dopo che l’anno scorso si è presentato, in splendida solitudine, davanti all’Altare della Patria con una fotografia che ha fatto il giro del mondo – in formato ridotto, ma comunque in modo forte, pieno, evocativo. Obiettivo, ricordare il referendum del 2 giugno 1946, che scelse la forma repubblicana, ma anche i valori fondanti e le idee base della Repubblica, dando un ruolo particolare e speciale alle donne. Mattarella ha ricordato le tante donne – citando alcune delle più famose (Lina Merlin, Nilde Jotti, Liliana Segre, Luana D’Orazio, Samantha Cristoforetti) – che hanno illustrato l’Italia.
E se stavolta toccasse a una donna?
Si fanno molti ipotesi e molti nomi, se Mattarella non concederà alcun bis, tra cui molti sono nomi di donne, appunto. L’ex premier, Romano Prodi, ha lanciato l’idea di una candidatura femminile per il Colle: “Ancora non possiamo dire chi. Ma può essere il caso che arrivi una donna perché non c’è mai stato un presidente della Repubblica donna. Penso possa essere una bella prospettiva”.
Ma chi potrebbe essere questa donna? Qualche nome è stato già fatto, da quella più quotata come l’attuale Guardasigilli, Marta Cartabia, alla leader dei Radicali, Emma Bonino, già altre volte lanciata nella corsa al Quirinale, ma che ora preferisce non partecipare perché “nella vita come in politica esiste un tempo per ogni cosa”. Girano anche i nomi della presidente del Senato Elisabetta Maria Casellati e la giurista Lorenza Carlassare, che piace molto ai 5S, Anna Maria Tarantola, ex presidente Rai ed ex dirigente di BankItalia, perfetta candidata draghiana, e di Elena Paciotti, prima donna presidente dell’Anm.
Totonomi (e totoagende)
Sul taccuino sono segnate due date clou. Il 3 agosto inizia il ‘semestre bianco’ e, il 3 febbraio 2022, finisce formalmente il settennato dell’attuale Capo dello Stato. Poco prima di quella data, a gennaio, dovranno essere aperte le urne per eleggere il suo successore, chiunque sia. Certo è che il ‘gran ballo del Quirinale’ è iniziato.
Ma chi, dopo Sergio Mattarella? Mario Draghi, come vuole e dice, a ogni piè sospinto, Matteo Salvini, che pensa e spera che, in questo modo, caduto il governo guidato dall’attuale premier, si vada di gran corsa al voto anticipato? L’attuale ministra alla Giustizia, ed ex presidente della Consulta, Marta Cartabia, che sarebbe la prima donna a salire al Colle, come sperano e tifano il mondo cattolico (Vaticano in testa) e gli azzurri, un nome che non dispiace neppure al Pd? Finalmente una personalità di centrodestra (la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, o l’ex presidente del Senato, Marcella Pera), come auspica Giorgia Meloni? Magari Silvio Berlusconi prospettiva che, forse, non si augura forse neppure lui, l’ex premier azzurro?
Un Veltroni, o un Franceschini, o un Gentiloni o un Sassoli, o magari ancora lui, Prodi, come fanno voti nel Pd, dove si spera ancora di poter ‘piazzare’ al Colle uno dei loro? Giuseppe Conte per toglierlo di mezzo da leader dei 5Stelle come sognano nel M5s? Pierferdinando Casini come crede di riuscire a brigare e fare Matteo Renzi? Per ora, è un quien sabe? (chi può saperlo?). Certo, alcuni candidati sono più plausibili di altri e, soprattutto, sia Draghi che Mattarella restano i due candidati più accreditati, volenti o nolenti.
Grandi elettori, data di convocazione e altro. Qualche ‘nota tecnica’
Una cosa è sicura. A partire dal 3 agosto, quando inizierà il semestre bianco, ci si ritroverà in una situazione rischiosa: se qualcuno facesse cadere Mario Draghi – per esempio Matteo Salvini o Giuseppe Conte – e non si formasse una maggioranza alternativa, come assicurano nel Pd, a Mattarella non resterebbe che allargare le braccia. Per sbloccare l’impasse bisognerebbe attendere l’elezione del suo successore, ma nel frattempo il Paese resterebbe mesi senza governo.
Purtroppo, non è questo l’unica stravaganza di questa corsa al Colle. Per esempio, nemmeno si sa esattamente quando verrà eletto il tredicesimo presidente. La data è ballerina perché la norma è confusa. L’articolo 85 si limita a stabilire che “trenta giorni prima” della scadenza il presidente della Camera “convoca” il Parlamento in seduta comune e, in aggiunta, i delegati regionali. Tutti insieme eleggeranno il nuovo capo dello Stato.
Si tratta di un ‘collegio elettorale’ speciale composto, questa volta, da 1009 ‘grandi elettori’: 630 deputati eletti, 321 senatori, di cui 315 eletti e sei senatori a vita, per un totale di 951 parlamentari, più 58 delegati regionali, scelti tre per regione, due di maggioranza e uno di opposizione, tranne la Valle d’Aosta, uno solo. Un collegio elettorale che, per la prima volta, vede il centrodestra ‘in vantaggio’ sul centrosinistra: 451 ai primi e 442 ai secondi, grazie soprattutto al numero di delegati regionali.
Ma, tornando al calendario, non è chiaro se nei trenta giorni antecedenti la fine del settennato le Camere dovranno per forza riunirsi o sarà sufficiente che Roberto Fico imbuchi la lettera di convocazione. A sentire alcuni giuristi (come al solito in disaccordo tra loro) basterà la seconda. Così perlomeno si è fatto l’ultima volta, nel 2015. Calendario alla mano, Mattarella giurò il 3 febbraio 2015, ergo la convocazione dovrà partire entro il 4 gennaio 2022. Per dare tempo alle Regioni di scegliere i loro rappresentanti, passeranno almeno una decina di giorni; dunque, la prima votazione sul successore di Mattarella verrà a cadere verso la metà di gennaio. Ma la votazione potrebbe arrivare con due settimane di anticipo se Fico, interpretando in senso restrittivo, spedisse la lettera la vigilia di Natale e convocasse i “grandi elettori” prima della Befana.
Di certo c’è un’altra scadenza da tenere a mente: la sera del 2 febbraio 2022 Mattarella concluderà il suo mandato. Se nel frattempo il successore non sarà stato eletto – per colpa delle liti politiche, dei “franchi tiratori” o quant’altro – nessuno ha idea di cosa potrebbe accadere. Anche qui la Costituzione non dice niente. Qualcuno ipotizza che Mattarella resterebbe al suo posto in regime di “prorogatio”; altri lo escludono e ritengono che a controfirmare eventuali decreti legge o altri provvedimenti urgenti dovrebbe essere Elisabetta Casellati, presidente del Senato e seconda carica dello Stato. E c’è addirittura chi ipotizza un intervento della Corte costituzionale.
In compenso, la legge non lascia dubbi su cosa potrebbe accadere qualora al Quirinale venisse eletto l’attuale premier Mario Draghi. In attesa di conoscere la sorte del suo governo, al posto del presidente del Consiglio andrebbe il vice. Ma dal momento che di vice-premier non ce ne sono, la poltrona di presidente del Consiglio verrebbe occupata dal ministro più anziano. E chi è? Sorpresa: Renato Brunetta, che ne ha 71. Insomma, se Draghi vincesse la corsa al Colle, ci si può ritrovare Brunetta alla guida del governo… Anche di queste curiosità è fatta la lotta del Colle.
Foto: Alessandra Tarantino / AFP