Prosegue il dibattito sul futuro e il ruolo del Mediterraneo lanciato da Claus Leggewie su Reset. Qui tutti gli interventi.
La tesi di Claus Leggewie – pubblicata su Reset – può apparire velleitaria. L’ennesima riflessione su un Mediterraneo tutto costruito su auspici, sentimenti, potenzialità, ma del tutto fuori dalla vera agenda dell’economia e della politica economica europea. Ma come si fa, si potrebbe obiettargli, ad occuparsi di Mediterraneo con tutto il lavoro che l’Unione ha da fare sulle sue istituzioni, sui meccanismi di contrasto alla crisi finanziaria internazionale e dei debiti sovrani, sulla soluzione degli squilibri reali nei flussi commerciali al suo interno, sulla costruzione di un difficile bilancio per il 2014/20?
Come si fa ad introdurre questi temi con i sentimenti di scetticismo e di paura dominanti nelle opinioni pubbliche continentali? Il tema è fuori priorità, fuori scala rispetto alle dure necessità della realtà europea.
L’obiezione appare sensata; ma ignora la storia. L’Europa contemporanea è frutto di un processo straordinariamente interessante. Alla base vi sono le grandi tensioni politiche per la cooperazione, per uno spazio di pace e prosperità dopo la guerra; e allo stesso tempo l’idea di usare accordi economici per declinarlo e forgiarlo concretamente. Dal 1957 ad oggi il processo non è consistito nel raggiungere obiettivi prefissati, nell’affrontare un’agenda nota sin dall’inizio. I progressi dell’Europa si sono realizzati ampliando progressivamente l’agenda dei temi da affrontare. Consolidando cioè l’unione politica attraverso nuovi obiettivi e nuovi strumenti per le intese economiche. Rilanciando.
La Comunità si è rafforzata quando ha avuto nuovi obiettivi. Questo è avvenuto in momenti di gravissima crisi, come alla fine degli anni 1970 quando furono il crollo di Bretton Woods, l’instabilità dei tassi di cambio, gli squilibri e le tensioni commerciali che si andavano creando, a spingere verso la realizzazione del Sistema Monetario Europeo. In momenti più positivi, come alla fine degli anni 1980, quando la Comunità allargata ai nuovi membri mediterranei disegnò con Jacques Delors una propria politica di sviluppo regionale come vera e propria politica, allo stesso tempo, per la crescita dell’Unione e per l’integrazione dei nuovi stati membri. O ancora, come al volgere del nuovo secolo, quando si è fatta concreta la prospettiva dell’allargamento e le grandi reti, e il complesso ridisegno di alcune politiche (a cominciare da quella agricola) sono giunte sul tavolo.
Nei momenti di svolta, l’Europa è cresciuta non perché si è richiusa su sé stessa, “difendendosi” dai mutamenti dello scenario internazionale o dagli effetti delle sue stesse trasformazioni, ma perché ha colto quei momenti come occasioni di ridefinizione e di rilancio della sua azione. Concentrarsi sull’equilibrio interno all’attuale Unione può sembrare ragionevole: governance comunitaria, banche e finanze pubbliche, correzione degli squilibri prima di pensare ad altro. La ricerca di un nuovo equilibrio statico, per date condizioni politiche ed economiche. Apparentemente ragionevole: un progressivo rafforzamento di vincoli comunitari sui poteri decisionali degli stati membri; un percorso per riportare a zero i saldi intraeuropei di bilancia commerciale dei Mediterranei attraverso una forte deflazione. In realtà quasi impossibile. Un puzzle con troppe variabili e soluzioni troppo difficili. Una tela di Penelope.
Questo ci insegna la storia europea: un nuovo equilibrio si trova più facilmente allargando l’agenda delle questioni e delle politiche europee che difendendosi e rinchiudendosi. E le nuove questioni sono tutte e a Sud. Il rapido completamento dell’allargamento nell’Europa Sud-Orientale, eliminando il “buco” balcanico all’interno dello spazio europeo. Una seria ripresa dei difficili, ma non impossibili, negoziati con la Turchia per la membership. Un nuovo quadro, più intenso ed efficace, di relazioni con i paesi della sponda Sud.
Nuovi mercati per le merci europee e nuovi spazi di collaborazione; nuove opportunità di investimento per le imprese europee, nelle grandi città del Sud, nelle infrastrutture, nelle reti; nuovi temi per le politiche comunitarie: dall’approvvigionamento e sicurezza energetica al ruolo centrale del Mediterraneo nei trasporti intercontinentali con la Costa Est degli Stati Uniti e l’Asia; una gestione più umana e intelligente dei flussi di persone fra le due sponde. Una grande area geostrategica e geoeconomica di enorme rilevanza nel sistema mondiale; aperta ma sempre più integrata al suo interno. Non sono problemi da cui tenersi lontani, perché già ne abbiamo tanti oggi in Europa. Sono possibili soluzioni.
Se la Grecia non ha speranza di ripartire, può crollare; e tempi molto bui possono venire per l’intera Europa. Ma la Grecia riparte se non è periferia degradata di una “Fortezza Europa”, ma se diventa confine permeabile di più intense relazioni economiche con i Balcani e la Turchia.
La Ceca fu una risposta straordinaria alle tristi sorti dell’Alsazia, della Lorena e delle miniere di carbone nel cento anni precedenti; l’allargamento a Est è stata una risposta straordinaria alla transizione dopo decenni di comunismo. Il Mediterraneo può essere una straordinaria risposta alle debolezze attuali del sistema-Europa, e alla sua perdita relativa di peso nello scacchiere mondiale. Nulla di più concreto e ragionevole di un forte rilancio dell’Europa. Verso Sud.