Alla fine è andata. Il governo delle larghe intese, che si sono fatte più strette, ha girato la boa. È stata la settimana più lunga e difficile. Non solo per il Pdl, che ieri s’è frantumato, ma anche per il Pd, che è arrivato alla crisi impreparato, stordito da mesi di discussione interna senza né capo né coda sulla propria leadership. E con il solo appuntamento delle primarie dell’8 dicembre.
E ora cosa accadrà? Cosa c’è da aspettarsi nei prossimi mesi? Nel governo e per il Partito democratico? Qual è la bussola e l’orizzonte? O è la scossa o si muore. Ne parliamo con Dario Nardella, deputato Pd, molto vicino al sindaco di Firenze, trentott’anni il prossimo 20 novembre, docente, già consigliere giuridico del ministro Vannino Chiti nel governo Prodi, tra il 2006 e il 2008. Un “emergente renziano”.
Onorevole Nardella, dopo la crisi-lampo, il futuro di Renzi si semplifica o si complica? Segreteria più vicina, governo più lontano.
Il punto non è cosa sia meglio per Matteo Renzi o la data di scadenza del Governo. In gioco è il bene del Paese. Il Governo attuale andrà avanti, ma Letta stesso lo ha ribadito: non governerà a tutti i costi. Non serve un esecutivo di sopravvivenza, ma un Governo che rivoluzioni il Paese e lo salvi dalla crisi. Perciò occorrerà una maggioranza coesa e partiti forti. Renzi e Letta potranno avere obiettivi conciliabili. Renzi e i deputati a lui vicini hanno sostenuto con lealtà il Governo Letta, incalzandolo – semmai – a fare ciò per cui è nato.
Il Pd non ha mai amato le “larghe intese”e l’8 dicembre ci sono le primarie. La crisi di questi giorni ha cambiato qualcosa nella vita politica del Pd?
La situazione politica emersa dopo il voto di febbraio ha costretto il Pd a un’assunzione di responsabilità per non aggravare la situazione economica, il debito pubblico e per fare riforme indispensabili come quella sul lavoro, la legge elettorale, le misure per il rilancio dell’economia e per la crescita. Il Pdl ha purtroppo pensato di usare questo governo, nato per fare delle cose precise, come mezzo per trovare un salvacondotto a Berlusconi: quando si è reso conto che il Pd non sarebbe sceso a compromessi sulla legalità ha preferito tentare di staccare la spina al Governo, al Paese e perseguire – come fatto per 20 anni – gli interessi personali del suo leader. Ora i tempi decisi dalla direzione Pd per il Congresso sono ampiamente confermati e devono esserlo anche in caso di elezioni nella prossima primavera. Il Congresso del Pd è decisivo per arrivare alle prossime elezioni con un partito rinnovato, forte, con idee chiare e vincenti.
Per me il punto è la riaffermazione di una cultura dell’alternanza fondata sul bipolarismo. Questo obiettivo è centrale, anche nel nuovo contesto politico dopo il voto di fiducia e la sconfitta politica di Silvio Berlusconi.
Non sarebbe stato meglio arrivare alla crisi, che si sarebbe potuta aprire in qualsiasi momento, con una scelta sulla leadership già fatta? Tanto più che ora il consenso, interno e esterno al Pd, ruota intorno a Matteo Renzi.
Per il Pd la discussione non è mai vana. Dopo l’elezione del Presidente della Repubblica il Pd ha dovuto superare la sua condizione di incertezza dettata dal congelamento delle correnti unite solo da una gestione consociativa del potere. Matteo Renzi gode di un consenso che è difficile negare, ma senza un passaggio democratico, una discussione vera come quella di un Congresso anche la sua elezione sarebbe inconsistente politicamente. Con Renzi spero prevarrà un profilo del partito decisamente rinnovato, più riformista, più vicino alla società e più lontano dai poteri forti.
Ultimamente “il renzismo” – se così lo possiamo definire – è diventato quasi una malattia. Miete proseliti e s’ingrossa vieppiù. Sono tutti renziani, come se lo spiega?
È proprio la parola “renziani” che vorremmo cancellare dal vocabolario del nuovo Pd. Renziani, bersaniani, fioroniani, veltroniani ecc., sono tutte espressioni riferite a correnti, figlie di una comunicazione malata. Non vogliamo il correntismo nel Partito democratico del futuro. Se molti stanno appoggiando Renzi con l’idea di salire sul carro del vincitore rimarranno delusi, i giochi di potere e di posizionamento non troveranno più spazio nel partito guidato da Matteo. Non esprimo giudizi sui sostegni che stanno arrivano da più parti, certamente in tanti oggi riconoscono il potenziale di Matteo Renzi per il Partito democratico e per il Paese.
Ed e il blocco dalemian-bersanian-prodiano a ostacolare la corsa del Pd al rinnovamento? Vi potete permettere di rinunciare a questo plafond di consensi interni, per la segreteria ad esempio?
Così ritorniamo sul discorso delle correnti. Il nostro obiettivo è quello di creare un partito forte e plurale con idee e progetti per il futuro condivisi. Un partito forte richiede una leadership forte. Dobbiamo romperemo le consuetudini che sono radicate da troppo tempo a sinistra: torniamo a formare la nostra classe dirigente a partire da competenze e valori, abbandonando il criterio della fedeltà come unico metro di giudizio per una nomina o un incarico.
Però “il renzismo” sfonda più fuori che nel partito. Dove resistenti e recalcitranti alla sua “sirena” non sono pochi. È questo zoccolo dei refrattari che blocca il partito?
Il Partito democratico non è composto soltanto dai suoi dirigenti. Non abbiamo ancora dato la parola agli iscritti per poter affermare che il consenso di cui gode Matteo sia più forte all’esterno piuttosto che all’interno del partito. Certo, Renzi è entrato a gamba tesa nella dialettica sul Pd del futuro, ha rappresentato un punto di rottura rispetto al passato. Forse il bisogno di rinnovamento che lui rappresenta non è stato accolto con favore da tutte le “anime” del partito ma non per questo possiamo pensare che il Pd viva come una minaccia l’entusiasmo, la passione e la voglia di vincere che Matteo sa interpretare.
Uno come Massimo Cacciari dice che «dietro Renzi non ha un partito e per la sua cultura pensa di poter fare il premier senza partito». È così come dice Cacciari?
Renzi si candida alla segreteria proprio perché sa bene che senza il Pd non si potrà cambiare il Paese. Renzi, se e quando vincerà le elezioni, come mi auguro, e diventerà premier non sarà un generale senza truppe. Cacciari mi sembra pervaso da una furia distruttiva verso chiunque e qualunque cosa. Mi dispiace per lui.
Ma c’è anche chi dice che Renzi oltre al suo “cerchio magico” – Bonafé, Righetti, lei stesso – non abbia un vero gruppo intorno. Ecco, qual e la classe dirigente del sindaco fuori e dentro il partito? Molti temono che non ci sia.
Matteo ha la straordinaria capacità di parlare ed ascoltare tutti. Non si circonda di nomi altisonanti della politica ma dialoga con molti e diversi mondi, si confronta con imprenditori, economisti, intellettuali, amministratori. Forse è proprio la sua forza. Non considera la politica come l’unico settore di interesse della società ma è incuriosito da tutti gli aspetti del mondo. Riconoscere i limiti della sfera politica è il primo passo per aprirsi – mentalmente e culturalmente – alla società. Quando sarà il momento metteremo in campo la nostra squadra che, forse non seguirà gli standard della classe dirigente così come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, ma che certamente terrà conto del merito e della competenza delle persone.
La forza di Renzi è la comunicazione, intesa come strategia di rottura. Parole d’ordine, soprattutto. Ma la linea politica, l’agenda per il Pd e il paese? Basta la comunicazione per innovare?
La capacità comunicativa è una risorsa non il sintomo di una debolezza di contenuti. Molto spesso, lo vedo da deputato, facciamo tante cose che i cittadini nemmeno conoscono: non è un merito ma un demerito. Matteo non è solo una grande comunicatore, ma ha dimostrato – da amministratore – di avere idee chiare e una visione politica ben definita. Ha detto chiaramente più volte quale tipo di Paese ha in mente; le priorità in campo sociale, dell’economia, della cultura. Lo ha detto e ha saputo dimostrarlo con i fatti. La migliore forma di comunicazione è fare le cose, mantenere gli impegni.
Matteo sa trasformare in idee guida concetti molto complessi come il superamento degli standard europei nei servizi per l’infanzia, il valore moltiplicatore degli investimenti in cultura; il recupero degli spazi pubblici come spazi di socialità e la difesa del territorio dalla cementificazione.
Ipotesi: c’è un militante del Pd, età 60 anni, che lei o Renzi dovete convincere, conquistare, con quali strumenti lo avvicinate e lo convincete?
Intanto liberiamoci, una volta per tutte, dalle categorie preconfezionate. È un errore storico – figlio di una società ormai ampiamente superata – quello di catalogare la società in categorie fisse per poter scrivere facili ricette. Le persone sono molto più della loro età, della loro professione, della loro residenza. Un cittadino è un complesso articolato di interessi, passioni, ideali, culture. Non c’è un’identità nel semplice fatto di avere 60 anni, ma c’è in tutte le sfaccettature dell’esistenza.
Questo cittadino sarà preoccupato certamente per la tutela del potere di acquisto del suo stipendio, sarà preoccupato di garantirsi una equa pensione ma sarà sensibile certamente al futuro dei suoi nipoti, alla qualità della vita nella sua città, alla qualità e al costo delle prestazioni sanitarie. In sostanza – che abbia 60 anni come 40 – sarà attento alle prospettive del Paese e alla nostra capacità di disegnare un futuro sostenibile e convincente. Il nostro compito è rivolgerci alla società italiana proponendogli un’Italia in cui sia più facile e bello vivere a patto di essere disponibili a cambiare le proprie abitudini.
Lei gli ha letti i commenti di questa mattina di giornali, giornalisti e direttori. Libero, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, ancora domenica scriveva che la crisi di governo faceva comodo pure al Pd per coprire le proprie magagne. Era solo propaganda? Alla luce del poi, lei adesso cosa si sente di rispondere?
È risaputo a quale corrente politica sia affine il quotidiano di Belpietro, che per sostenere l’assurda linea politica del Pdl, in questi giorni ha tentato in ogni modo di distorce la realtà fino a giustificare l’estremo atto di un uomo e di un partito allo sbando. Ma evidentemente non in maniera così efficace se è il 55% degli elettori del Pdl che non ha di fatto capito il senso di questa crisi. Di fronte a questa situazione molto tesa, la stampa vicina a Berlusconi tenta continuamente di descrivere una realtà distorta giustificando politicamente un gesto privo di qualsiasi senso politico. La crisi di governo è stata voluta da Berlusconi per salvaguardare ancora una volta i suoi interessi personali e giuridici e tentare improbabili baratti sul fronte della legalità. Ma Belpietro risponde a logiche diverse dalla verità.