La cosiddetta crisi dell’editoria sta provocando un rumore assordante senza per questo dirci perché e come il business della comunicazione stia veramente soffrendo. Tutti sono spasmodicamente impegnati a parlare di rilancio, ma nessuno sa dirci quale sarà veramente la struttura del business nel futuro, come sarà effettivamente il mercato librario e con quali mezzi la società veicolerà informazioni, commenti e riflessioni e soprattutto la pubblicità.
Una cosa è certa: tra massimo vent’anni tutto sarà cambiato e già intravediamo quali strumenti tecnologici avremo a disposizione, ma nessuno sa dire quali verranno veramente accettati dal pubblico e dagli sviluppatori di applicazioni e quindi prevarranno. Se ci affacciamo sul presente per contemplare l’ampio scenario delle attività editoriali, una volta considerate le più affascinanti del mondo, non vediamo una vasta prateria fiorita percorsa da pulsazioni primaverili, ma un triste paesaggio autunnale cosparso di rami secchi e da qualche vecchia quercia eccessivamente potata, in crisi esistenziale.
Nessuno sembra percepire che le entusiasmanti possibilità che ci saranno offerte dalla tecnologia fanno parte già oggi di questo scenario e non sono certo una minaccia da cui difendersi, ma delle opportunità da cogliere. Proprio in ragione della profondità dei cambiamenti attesi, si stanno confermando in modo inequivocabile alcuni stereotipi propri dei settori in declino nell’ultima fase della loro sopravvivenza. Prima di tutto nessun cambiamento avviene immediatamente come allo scatto di un interruttore, ma dopo un periodo di sovrapposizione delle vecchie e delle nuove forme di business. Questa fase può essere più o meno lunga perché è condizionata dalla velocità di cambiamento delle abitudini della clientela e dalla naturale resistenza al cambiamento delle persone coinvolte.
Lo stereotipo è che il periodo finale di un business obsoleto, con tutte le forze concentrate sulla riduzione dei costi, può essere molto profittevole, fino al crollo finale. La RCS è un caso esemplare: quando tutti dichiarano la morte della carta stampata, Urbano Cairo compra l’azienda e con una gestione rigorosa e professionale la porta a livelli di reddito che i suoi predecessori non riuscivano a raggiungere neppure nei periodi buoni. Una pagella impietosa per il management e per gli azionisti precedenti. Credo però che l’azienda sia impreparata per la prossima tempesta tecnologica. Nel paesaggio autunnale non si vedono ancora stelle, cioè aziende che si trasformano con successo diventando esempi di innovazione.
Anche alcuni ammirevoli casi, come il NYT o Axel Springer, sono solo encomiabili esempi di uso intelligente delle tecnologie oggi disponibili. È anche molto interessante quello che sta succedendo nel mercato librario. La non particolarmente brillante idea di trasferire il libro cartaceo su uno schermo assistito non ha ucciso il libro cartaceo, ma ha quasi raddoppiato la lettura, così come la possibilità di ricevere a casa un libro in due giorni non ha ucciso le librerie: i vantaggi offerti dalle tecnologie si sono trasformati in business addizionale pur in condizioni diverse. Un altro fenomeno è stato completamente sottovalutato ed è il successo dei siti di lettura e scrittura che servono alcuni milioni di lettori finora sfuggiti alle statistiche basate sui pezzi venduti. Siti come Watpad o Goodreads o Anobii servono le esigenze di migliaia di scrittori e milioni di lettori svolgendo le funzioni di un social network basato sui gusti e sulle propensioni e quelle di un interessante vivaio di nuovi talenti immediatamente riconosciuti senza intermediazioni a volte discutibili.
L’equivalente cinese che appartiene al gigante tecnologico Tencent ha in portafoglio sei milioni di autori ed è quotato alla borsa di Hong Kong. Goodreads è stato comprato da Amazon nel 2014 quando aveva otto milioni di utenti. Oggi ne ha 80 milioni e rappresenta per Amazon una immensa e inestimabile banca di informazioni sui gusti e sulle tendenze del pubblico. La Mondadori, il cui business principale oggi è il libro, con una certa lungimiranza ha comperato Anobii nel 2014, che operava con un certo successo e qualche interessante novità operativa in un mercato ovviamente più piccolo di quello della lingua inglese o cinese. Con sorpresa di molti, nel giugno del 2019, Anobii è stata venduta a una piccola software house torinese, che avrà un suo piano e alla quale auguriamo ogni bene. Ma più sorprendente è il fatto che non c’è stata una corsa a comprare da parte di altri editori o tentativi di cordate di piccoli editori.
Si può concludere che gli editori italiani, compreso Cairo, preferiscono il naso e le relazioni ai big data. Tre cose sorprendono nella situazione attuale: che nessuno pensi di usare seriamente l’intelligenza artificiale e il riconoscimento facciale per creare l’atmosfera coinvolgente della libreria, che nessuno pensi a un’organizzazione della distribuzione che elimini i resi, e che i libri elettronici non siano ancora diventati dei metalibri pieni di approfondimenti e completamenti, più attraenti della versione cartacea, in attesa che gli autori producano libri multimediali o multifunzionali. Mi viene un dubbio: che la crisi dell’editoria sia in realtà una crisi degli editori?