Dialogo, viaggi, riforme. Il 2022 di Bergoglio verso una “Chiesa sinodale”

Il 7 settembre 2021 è stato pubblicato il documento preparatorio del nuovo cammino sinodale voluto da Papa Francesco sulla sinodalità e che si concluderà con l’assemblea sinodale nell’autunno 2023. Il testo afferma che «con questa convocazione, Papa Francesco invita la Chiesa intera a interrogarsi su un tema decisivo per la sua vita e la sua missione: Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Questo itinerario, che si inserisce nel solco dell’”aggiornamento” della Chiesa proposto dal Concilio Vaticano II, è un dono e un compito: camminando insieme, e insieme riflettendo sul percorso compiuto, la Chiesa potrà imparare da ciò che andrà sperimentando quali processi possono aiutarla a vivere la comunione, a realizzare la partecipazione, ad aprirsi alla missione. Il nostro camminare insieme, infatti, è ciò che più attua e manifesta la natura della Chiesa come Popolo di Dio pellegrino e missionario». Aggiornamento della Chiesa. Vivere la comunione. Realizzare la partecipazione. Aprirsi alla missione. Vuol dire che la Chiesa deve aggiornare se stessa e realizzare la partecipazione. Tutto il popolo di Dio in cammino, quindi tutti i battezzati, sono chiamati a partecipare a questo cammino di aggiornamento e realizzazione.

Se ogni giorno è importante nel calendario di un papa, come in quello di ciascuno di noi, anche nel calendario papale si può immaginare un cerchio rosso intorno a una data. E nel calendario del 2022 io ritengo che il cerchio rosso sul calendario di Francesco sia apposto sulla scritta “Agosto”, quando arriveranno in Vaticano le sintesi da parte delle Conferenze episcopali dei loro lavori, cui seguirà la compilazione del primo Instrumentum laboris da parte della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Sinodo è parola tanto importante quanto complessa, e un “cammino sinodale sulla sinodalità” è questione complessissima ma che se si capisce dimostra facilmente tutta la sua importanza.

 

Cambio di paradigma

Da lungo tempo la Chiesa cattolica ha preso una struttura piramidale. Il suo paradigma non appare più “Gesù, apostoli, vescovi, popoli di Dio”, ma “Gesù, San Pietro, Papa, clero”. La diversità di questi due paradigmi è ben spiegata nel suo significato profondo dall’idea di fondo della vecchia liturgia e da quella della nuova. Nella vecchia liturgia il sacerdote dava le spalle ai fedeli, guidandoli verso l’altare, cioè verso la Verità, celebrando lui il rito. Dunque era lui a vedere, sapere e indicare. Tutto si svolgeva in un ordine rettilineo: Dio, celebrante, fedeli. Nella nuova liturgia l’altare è staccato dal muro, diviene una mensa (eucaristica) intorno alla quale il sacerdote e i fedeli si uniscono e riuniscono, celebrando insieme. Qui l’ordine è circolare.

Sinodo, parola greca che vuol dire “camminare insieme”, è un termine antico e caratteristico dell’antica cristianità, quella dei primi secoli. Poi è rimasto nelle Chiese orientali, ortodosse e cattoliche, ma è stato espunto da quella cattolica, organizzatasi verticalmente, in modo piramidale. A conclusione del Concilio Vaticano II papa Paolo VI varò un’importantissima riforma, il sinodo dei vescovi. Poté prevederlo come strumento consultivo nel governo del successore di Pietro, il vescovo di Roma, ma che è stato sempre chiamato “papa”, per non ridurne apparentemente l’immagine di vertice alto, apicale. È chiaro però che il Concilio ha fatto emergere un’impalcatura diversa: da un rito di un ministro, il celebrante, a un’assemblea nella quale ognuno svolge un ministero diverso, il celebrante, il lettore o la lettrice, colui o colei che aiutano a istruire le ostie e raccogliere le offerte e così via, fino a altri ministeri, come quello di catechista e così via. Ora c’è anche l’amministratore o amministratrice parrocchiale. Questa dunque è una Chiesa non più clericale, cioè non fatta dal clero che indica e conduce, ma tutta ministeriale, cioè nella quale ogni fedele, maschio e femmina, svolge un ministero, cioè un servizio. In questa Chiesa tutta ministeriale non c’è qualcuno che dice dove si debba andare, ma si cammina insieme. Il Concilio parlò di Chiesa tutta ministeriale, di qui la Chiesa tutta sinodale. L’ordine gerarchico c’è, ma è capovolto.

Era il 17 ottobre 2015, cinquantesimo anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI. Davanti ai padri sinodali – era in corso il sinodo sulla famiglia – papa Francesco ricordò che «la sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice san Giovanni Crisostomo, “Chiesa e Sinodo sono sinonimi” – perché la Chiesa non è altro che il “camminare insieme” del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore – capiamo pure che al suo interno nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno “si abbassi” per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino. Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la “roccia”, colui che deve “confermare” i fratelli nella fede. Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi, vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli. E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei».

Dunque Francesco si è incamminato nell’edificazione di una Chiesa sinodale, che in quello stesso discorso vedeva così: «In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale, il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli “organismi di comunione” della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col “basso” e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione. Il secondo livello è quello delle Province e delle Regioni Ecclesiastiche, dei Concili Particolari e in modo speciale delle Conferenze Episcopali. Dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. Siamo a metà cammino, a parte del cammino. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare “decentralizzazione”. L’ultimo livello è quello della Chiesa universale. Qui il Sinodo dei Vescovi, rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale».

Non serve essere esperti di ecclesiologia per capire che si tratta di tornare a una visione di Chiesa non centralista e liberata dal clericalismo, per riprendersi dai vizi e dalle deformazioni che alcune consuetudini hanno diffuso e reso apparentemente immodificabili. Il popolo di Dio in tutto il mondo è chiamato infatti a confrontarsi su cosa questi errori abbiano prodotto nella realtà ecclesiale, come è scritto nel documento preparatorio: “La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali)”. Non è un’agenda da poco quella che partendo dal clericalismo arriva all’obbedienza e da un’altra parte al decentramento, che fa capire il mondo dalle sue periferie, non dal centro.

 

Agenda di riforme

È questa la grande scommessa del pontificato e il fatto che per parlarne si sia fatto ricorso a un testo del 2015 spiega come questo percorso accompagni il pontificato dal suo inizio. Un po’ come un altro percorso, per il quale è stata istituita dall’inizio del pontificato una commissione cardinalizia transcontinentale che coadiuva il papa nella revisione e reimpostazione degli uffici curiali. Il sinodo sulla sinodalità si concluderà nel 2023; la nuova costituzione apostolica sulla riorganizzazione della curia romana uscirà prima? È data per scritta da anni, tradotta, ritoccata, annunciata da anni, addirittura con date ufficiose per la promulgazione. E così la ristrutturazione degli uffici è già in atto, molti accorpamenti di uffici pure. Ma la costituzione apostolica ancora non c’è. L’auto espansione curiale, che dilatava i propri poteri come i propri uffici, è già finita. La costituzione apostolica che la cristallizza e che fisserà dei nuovi criteri e dei nuovi parametri arriverà, certo, e sarebbe anche interessante capire come mai tardi tanto. Ma se devo immaginare un unico cerchio rosso sul calendario del papa non immagino che riguardi la firma di questa costituzione apostolica, sebbene sia estremamente importante e il cui ritardo è spia di persistenti difficoltà, nodi, dubbi, ma forse anche di altro.

Ovviamente il 2022 di Francesco non ha solo un’agenda di questa natura. Ma la sinodalità è anche questione ecumenica, cioè di riavvicinamento tra Chiesa cattolica e le altre Chiesa cristiane ma non per annettere, ma valorizzare le diversità. Solo una visione sinodale inter-ecclesiale può consentire di procedere non solo formalmente sulla via di un avvicinamento. Questo spiega perché l’incontro probabile con il patriarca russo Kirill sia molto alto nell’agenda di Francesco. Se Mosca davvero si accingesse a creare una chiesa ortodossa russa anche nel territorio africano che canonicamente non è suo, ma della Chiesa ortodossa di Alessandria, sarebbe un ulteriore sbandamento di Mosca verso un nazionalismo ecclesiale ancor più preoccupante. La distanza con la visione di Francesco è evidente, ma proprio questo fa della vicinanza con Mosca non una scelta ma una necessità. Evitare derive, chiusure, arroccamenti non richiede rampogne, ma vicinanza. La solitudine infatti in simili circostanze è la peggiore consigliera. Sempre più ancella del Cremlino, Mosca non può essere lasciata a una deriva cesaro-papista, e per questo l’incontro ipotizzato per i prossimi mesi, naturalmente in campo neutro, è di primaria importanza.

Il primo impegno internazionale del Papa conferma poi che come il dialogo ecumenico è importante il dialogo inter-religioso. Domenica 27 febbraio infatti sarà a Firenze per l’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo promosso dal presidente della Cei. Ci si arriverà probabilmente senza sviluppi decisivi nel nuovo colloquio tra sunniti e sciiti che Francesco ha messo su binari molto promettenti e che potrebbe portare a passi inconsueti, come un incontro tra la prima autorità teologica sunnita, l’imam di al-Azhar e quella sciita, l’ayatollah al-Sistani, nel nome della fratellanza. Ci sarà nel corso dell’anno? Nessuno può dirlo anche se resta probabile, salvo disastri in Iraq, dove è annunciata da tempo la visita dell’imam di al-Azhar. Ecco perché si può dire che un evento decisivo del 2022 di Francesco sarà la canonizzazione, il 15 maggio prossimo in San Pietro, di Charles de Foucauld, l’amico dei Tuareg, che lo chiamavano il “santo cristiano”.

 

Foto: Vincenzo Pinto / AFP.

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