Anche se In Sardegna non c’è il mare (titolo paradossale di un bel libro di Marcello Fois sull’identità sarda) gli Abruzzi non sono un’isola! E infatti, l’effetto Todde non c’è stato. Le suggestioni del voto sardo alla prova delle urne si sono rilevate ininfluenti. I sondaggi l’avevano previsto. In mancanza di una crescita dei numeri dei votanti, il bacino di elettori al quale il centrodestra di Marco Marsilio poteva attingere contava su rassicuranti percentuali, così come in Sardegna è maggioritaria l’area del centrosinistra su cui Alessandra Todde ha costruito il suo successo, riuscendo persino nell’impresa di anestetizzare il consenso identitario per Renato Soru. La narrazione pubblica, che prima ha “nazionalizzato” enfatizzando il senso politico del voto della Sardegna, ora si arrabatta a “regionalizzare” il voto in Abruzzo sminuendo il valore politico dell’affermazione del centrodestra.
Ma torniamo all’aritmetica: facendo di conto sui risultati l’evidenza dei numeri ci dice che, se Giorgia Meloni ha vinto, Elly Schlein non ha perso. Anzi: il 24,1 per cento di Fratelli d’Italia è davvero poco se paragonato al 27,7 delle elezioni politiche di due anni fa. Al contrario, il Partito democratico con un più che tondo 20,29 guadagna quasi 9 punti rispetto alle precedenti regionali del 2019 e quasi 4 punti rispetto all’elezioni parlamentari del 2022. La palma della sconfitta, seppure mascherata dalla vittoria, spetta a Matteo Salvini che, con il modesto 7,56 della Lega, è riuscito a dissipare ben 20 punti percentuali in una sola legislatura. Patetica la consolazione di aver superato di qualche decimo la percentuale dei Cinquestelle che con Giuseppe Conte si sono fermati al 7,01 per cento: un’emorragia di consensi rispetto al 24 per cento del 2019 e al 18,4 del 2022. Il riflesso dell’aritmetica sulla politica non potrà che avere effetti positivi sulla nuova Forza Italia di Antonio Tajani che è riuscito a canalizzare il 13,44 per cento del voto centrista doppiando la Lega e anche Cinquestelle. Finiscono così le illusioni di quanti avevano pensato di poter banchettare sulle spoglie del partito dopo la scomparsa di Berlusconi. Ben si adatta al voto del centro moderato la calma misurata di Tajani al confronto con la nevrosi aggressiva e solipsistica di Carlo Calenda e la concitazione autoreferenziale di Matteo Renzi.
Se la matematica non è un’opinione il risultato del Pd può essere considerato una “non sconfitta”, per dire il contrario della “non vittoria” di Bersani nel 2013. Sarà capace Elly Schlein di trasformarlo in una vittoria prossima ventura? Non ci sarà molto da aspettare per capire come vorrà amministrare la nuova forza elettorale del Pd. La prossima scadenza elettorale non è lontana. Il 21 e il 22 aprile si vota in Basilicata. Come in Sardegna, al contrario dell’Abruzzo il centrosinistra unito conterebbe su un rassicurante bacino di consensi. La discussione è in corso. Il candidato del Pd, Angelo Chiorazzo, un imprenditore cattolico vicino a Sant’Egidio alla guida di un movimento che conterebbe almeno sul dieci per cento di consensi, proposto da Roberto Speranza ma non gradito a Conte che vorrebbe invece candidare proprio il suo ex ministro della Sanità. Una sfida facile per la segreteria del Pd, ma proprio per questo ancor più insidiosa. E infine ci sarà da sciogliere il garbuglio del Piemonte, la “madre “di tutte le regionali ancor più problematica per la sovrapposizione con il voto per l’Europa. A metà di questo percorso un risultato di rilievo è già stato raggiunto da Elly Schlein proprio in Abruzzo, che la consacra figurativamente come sfidante unica del primato della Presidente del consiglio.
Immagine di copertina: Giorgia Meloni in comizio con il poi confermato presidente dell’Abruzzo Marco Marsilio, a Pescara, il 5 marzo 2024. Foto di Marco Zac / NurPhoto via Afp.