Contro il terrorismo
la lotta al fianco delle comunità

Non verrà dai campi di guerra, né dai palazzi dei singoli Stati: la soluzione per sconfiggere il terrorismo, è nel dialogo con la società civile. È questo il messaggio che arriva da Washington, dove la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato hanno ospitato un summit internazionale (17-19 febbraio) incentrato su quello che formalmente è chiamato CVE – Countering Violent Extremism (vale a dire il contrasto dell’estremismo violento). Il riferimento al terrorismo jihadista, è esplicito nel discorso del Presidente Obama ed è volto a sottolineare la netta differenza tra il cosiddetto Stato Islamico e ciò che l’Islam davvero rappresenta. “Non sono leader religiosi, sono terroristi. E noi non siamo in guerra contro l’Islam” – chiarisce Obama. Non c’è pertanto alcuno scontro di civiltà, non c’è alcuna religione responsabile per il terrorismo; ci sono semmai delle persone responsabili per questo – e sono loro, i terroristi, i veri nemici da combattere con le armi di valori universali come la pace, la tolleranza, l’inclusione. “La violenza non difende l’Islam e i musulmani, la violenza danneggia l’Islam e i musulmani”, ribadisce il Presidente degli Stati Uniti e la platea composta dai rappresentanti di oltre sessanta Paesi plaude le sue parole.

“Bisogna coinvolgere i musulmani, convincerli a prendere parte alla condanna al terrorismo e a sostenere quelle voci che, all’interno del mondo islamico, predicano l’inclusione, il dialogo, l’impegno concreto per la pace, proponendo un modello alternativo alla narrativa terrorista”. Commenta così il deputato del PD Khalid Chaouki, unico italiano insieme al Ministro degli Interni Angelino Alfano ad aver ricevuto l’invito dalla Casa Bianca. Nel tono delle sue parole c’è la soddisfazione di chi sente di essere sulla strada giusta, lui che più volte ha rimarcato l’importanza dell’unione delle forze di governo, società civile e musulmani contro la minaccia del terrorismo. Dieci anni dopo il suo primo viaggio a Pennsylvania Ave (già nel 2005 aveva portato a Washington la sua esperienza di islamico trapiantato in Italia, impegnato nella politica e nel sociale), la sua presenza al summit è ancora più calzante, vista l’azione che gli Stati Uniti propongono per fronteggiare il terrorismo: dare sostegno alle comunità locali perché possano loro limitare la radicalizzazione.

 

Una soluzione pilatesca? Tutt’altro: sono le famiglie, le scuole, i leader religiosi delle piccole moschee, gli strumenti migliori contro il lavaggio del cervello usato dall’ISIS per reclutare i giovani musulmani – dice Obama nel suo discorso, ribadendo quanto già aveva scritto in un op-ed pubblicato sul Los Angeles Times, alla vigilia del summit. “Il mondo deve continuare a far emergere le voci di religiosi e studiosi musulmani che insegnano la vera natura pacifica dell’Islam. Possiamo rilanciare le testimonianze di ex estremisti che sanno come i terroristi traviano l’Islam. Possiamo aiutare gli imprenditori e i giovani musulmani a lavorare con il settore privato per sviluppare strumenti social per contrastare la narrazione estremista su Internet… Gruppi come Al Qaeda e l’ISIS sfruttano la rabbia che si insinua nelle persone che sentono che l’ingiustizia e la corruzione stanno togliendo loro ogni speranza di migliorare le proprie vite. Il mondo deve offrire ai giovani di oggi qualcosa di migliore”.

A porre la questione del terrorismo in questi termini è stato anche il Segretario di Stato John Kerry. “Vogliono (i terroristi, ndr.) convincere i giovani che la loro più grande aspirazione nella vita debba essere morire facendosi saltare in aria insieme a un mucchio di persone”, ha detto durante il summit. Nel discorso di Kerry non è mancato un pensiero per Mohamed Bouazizi, il giovane tunisino che dette il via alla Primavera Araba, con il gesto estremo di darsi alle fiamme per difendere non la propria fede, ma la dignità sua e del suo lavoro. A distanza di quattro anni e con le Primavere per lo più sfiorite, Bouazizi è diventato un simbolo nuovo: quello dei giovani musulmani da salvare dalle sirene dello Stato Islamico.

Attraverso l’educazione, la lotta alla corruzione, le garanzie di una democrazia forte – in termini di libertà di parola, di aggregazione, di religione – l’azione presentata da Obama è volta a infondere una speranza nuova per un futuro diverso: “Ai giovani musulmani, anche ai più giovani, dobbiamo dire che c’è posto per voi, qui in America.”

Il resto spetta alla società civile, alle comunità musulmane. La base teorica di questa politica è un documento dell’agosto 2011, quando gli Stati Uniti si interrogavano su come contrastare l’allora nascente fenomeno dei foreign fighters, giovani pronti a lasciare il Paese per arruolarsi non già tra le fila dell’Isis ma tra quelle di Al Qaeda. Tre erano le aree di condotta da parte del governo federale: un maggior impegno e supporto alle comunità locali; lo sviluppo di programmi di training e di ricerca accademica per prevenire l’estremismo violento e il contrasto di quella stessa propaganda che tutt’oggi e specialmente attraverso internet e i social network contribuisce a minare l’unità dell’America.

Lo scorso settembre – dopo l’uccisione dei primi due ostaggi americani James Foley e Steven Sotloff, a fronte dell’avanzata dell’ISIS in Siria e in Iraq, e dell’aumento nel numero di americani entrati nell’esercito di Al Baghdadi – gli Stati Uniti hanno voluto mettere in pratica queste indicazioni, lanciando tre progetti pilota – a Boston, Los Angeles e Minneapolis.
“Si tratta di iniziative che mettono all’opera un lavoro positivo con le comunità locali, creando ponti per una maggiore inclusione sociale grazie al coinvolgimento di famiglie, leader religiosi e polizia locale”, ci spiega Khalid Chaouki. “Dati alla mano, questi progetti aumentano il legame dei giovani con la comunità di accoglienza, riducendo così il rischio di infiltrazioni terroristiche.”

Ai ministri e ai rappresentanti volati a Washington per il summit, Obama chiede di seguire anche questa strada, oltre a quella della condivisione delle informazioni sui foreign fighters. Le linee d’azione sono pragmatiche: dal coinvolgimento delle famiglie, all’ipotesi di sfruttare le testimonianze degli ex terroristi, dei reduci, a livello culturale. Gli fa eco Kerry: “Insieme, amici miei, abbiamo un importante lavoro generazionale da fare”.

L’Italia intanto, nella figura del ministro Alfano, ha portato a Washington le misure antiterrorismo diventate legge appena una settimana prima del summit. “Il decreto è una risposta molto interessante” – commenta ancora Chaouki, apprezzando proprio la concretezza del decreto.

“Uscire da risposte prettamente ed esclusivamente ideologiche”: è questa, per il deputato del Pd, la prima mossa per vincere contro lo Stato Islamico. Le armi imprescindibili sono la conoscenza e l’inclusione: “Dobbiamo semmai chiederci chi e perché sceglie di arruolarsi con l’ISIS. Soprattutto dobbiamo domandarci quali modelli possiamo noi offrire per evitare quei disagi e quei vuoti identitari, che sono il terreno più fertile per il terrorismo.”

 

Leggi anche l’intervista Chaouki: “Per sconfiggere l’ISIS serve un’alleanza con l’Islam moderato”

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