Il più prolisso e verboso è sicuramente Giuseppe Civati. Che firma un documento in 69 cartelle (“Dalla delusione alla speranza”) sulla falsa riga del «Programa di Gotha» redatto nel 1875 e attraverso il quale l’Associazione generale degli operai tedeschi e il Partito socialdemocratico dei lavoratori si unirono per dare vita al Partito socialista dei lavoratori, prima base costitutiva della Spd. Ovvero, del genere “fase attuale e nostri compiti”, incipit molto caro alla sinistra d’antàn. Il più essenziale è Matteo Renzi, che – con le debite proporzioni – potrebbe essere l’estensore della Critica del Programma di Gotha, come lo fu in effetti Karl Marx nel maggio di quello stesso anno vergando l’omonimo libello. Diciotto pagine in tutto, comprese le tre dedicate al titolo, il già noto “Cambiare verso”, oggetto di maliziose interpretazioni, al sommario e alla dedica al “tempo” come «il bene più prezioso che ci sia dato», tratta da «Resistenza e resa» di Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano e pastore evangelico tedesco vissuto tra il 1906 e il 1945, protagonista della resistenza al nazismo. Nel mezzo Gianni Cuperlo, con le fitte 22 pagine della sua piattaforma “Per la rivoluzione della dignità”, e Gianni Pittella con le sue quasi 24 pagine dedicate al “Futuro che vale”, viatico a un Partito democratico “solidale, europeo”.
Se dovessimo fermarci alla superficie, agli slogan e all’essenza comunicativa, le quattro piattaforme programmatiche per scalare i vertici del Pd da parte dei quattro candidati alla segreteria e/o anche alla premiership del Paese, si potrebbero riassumere con un semplice «Voglio un Pd con Sinistra&Libertà e tanti volti nuovi», cioè un’altra classe dirigente democratica rispetto all’attuale (Civati) oppure un «Se vinco io, basta con le larghe intese» (Renzi) o anche «Ticket correnti, vezzo italiano» (Cuperlo) mentre però già si parla di una sua possibile unità d’intenti con il sindaco di Firenze dopo il voto e una vicesegreteria ad hoc, di supporto al già probabile o sicuro vincitore delle primarie, il primo cittadino della città gigliata. Insomma, il classico ticket. Infine, Pittella, che guarda oltre confine con il suo «Europeisti, ma non subalterni alla Ue». Schemi&slogan, per estrema sintesi.
Il confronto-scontro a quattro è infatti già ridotto a due: Cuperlo-Renzi. Tradizione vs. innovazione. O tradizione che cerca di contaminare e tenere quanto più ancorata possibile al passato, alla storia che è stata – condizionandola –, l’innovazione. Vecchio partito che resiste al nuovo Pd. Tanto che la cronaca del day by day ci restituisce l’interrogativo o il dubbio dell’ex segretario della Fgci, Cuperlo, che non capisce «quale sia l’idea di partito» che Renzi ha in mente, ma che però il documento del sindaco descrive invece così: «Agile ma radicato». E in cui abbiano spazio soprattutto gli amministratori locali e i sindaci, meno gli organismi centrali e il vecchio apparato dei funzionari, meno passivo e più partecipativo, che faccia primarie sulle idee e lanci campagne dal basso. Si potrebbe dire quasi un partito in mobilitazione permanente, attivo e reattivo, non burocratico, un po’ “all’americana”, modello che gli avversari del sindaco temono di più. Tanto che Cuperlo dice un “no” netto all’idea di un partito «che sia comitato elettorale permanente».
Ma l’obiettivo di Renzi è contenuto nel titolo stesso del documento congressuale o delle primarie: «Vogliamo cambiare verso cambiando radicalmente non solo il gruppo dirigente che ha prodotto la sconfitta di quest’anno, ma anche e soprattutto le idee che non hanno funzionato, le scelte che hanno fallito, i metodi che ci hanno impedito di parlare a tutti». Un metodo politico che guarda al di là dei propri orizzonti, varca le frontiere, cerca di sfondare anche nel campo avverso per aprire al consenso degli avversari pescando direttamente nelle fila nemiche, senza chiederne l’adesione militante ovviamente… Consenso puro, per governare.
Le differenze tra l’ex segretario della Fgci e ghostwriter di Massimo D’Alema sono piuttosto marcate e pure marchiane: se Cuperlo mette subito le mani avanti dicendo che una volta diventato segretario proporrà la netta distinzione «tra incarichi di partito, a tutti i livelli, e incarichi di governo, a tutti i livelli», quale patto comune tra le diverse anime per la rinascita del Pd, il sindaco attuale non ha alcun timore di dire di essere intenzionato a ricandidarsi per un nuovo mandato al governo della sua città anche nel caso dovesse diventare segretario. Ed è infatti, questo, il ruolo-chiave di un partito che si vuole in mano agli amministratori, legati e radicati sul territorio e che di quest’ultimo ne conoscono bene le tematiche e le problematiche, soddisfacendole nel far funzionare la macchina del suo governo.
Il resto sono parole, tante. Sia nella dimensione extralarge di Civati che in quella più short di Renzi. E suggestioni, molte, più o meno innovative: «La fotografia di queste ore ci consegna l’immagine di un’Italia stanca, impaurita, rassegnata. Sembra che il nostro tempo migliore sia alle spalle e che cambiare sia uno sforzo più possibile che difficile. Non è così. Chi crede nella politica, nel valore e nella dignità (stesso termine del titolo del documento di Cuperlo, ndr) della politica, sa che non è così, non può essere così. Ci meritiamo di più. E tocca a noi cambiare verso. Dobbiamo affrontare la paura con il coraggio, la stanchezza con l’entusiasmo, la rassegnazione con la tenacia. E dobbiamo sapere che la crisi (…) è la più grande opportunità che noi abbiamo per restituire il futuro all’Italia. Questa crisi non va sprecata, noi non vogliamo sprecarla» sono le dieci righe dell’incipit del sindaco. «Il Partito democratico può guidare la riscossa civile, economica e morale del Paese – scrive Cuperlo -. Riusciremo a farlo se avremo coraggio e passione per cambiare tutto quello che oggi è da cambiare: nella politica, nello Stato, nelle responsabilità dei singoli, nelle logiche del mercato, in élite arroccate a difesa di poteri immobili e conservatori, se non opachi. A noi tocca portare al centro il valore della persona, dell’uguaglianza, del senso di comunità (…) a servizio di una rivoluzione della dignità».
Per Civati il partito deve essere uno strumento «che studi e progetti» e in cui netta sia la «distinzione tra partito e istituzione di governo» sia territoriale sia statale, che non adotti più «pratiche da 101», ovvero il numero di quanti nel segreto del voto hanno affossato l’ascesa di Romano Prodi al Quirinale la scorsa primavera. Dunque un partito «che si mobilita», «non conservatore di se stesso», che abbia «cultura politica», al tempo stesso «ospitale» ma che «riduca i numeri per contare di più» in quanto «la politica è reale solo se condivisa». In definitiva, un partito «semplice e accessibile», «trasparente», il cui bilancio sia «completo, aperto, comprensibile, partecipato». Da qui ne consegue anche l’Agenda per il 2014, ovvero il Progetto, che vede dentro l’ambiente, una «città possibile che promuova l’agricoltura», che abbia «intelligenza», in cui il territorio sia «unico e irripetibile», a «rifiuti zero» e con «il cento per cento di recupero», in cui si stabilisca un «nuovo patto per l’acqua» e un «piano per l’energia» e si garantisca il diritto alla mobilità costruendo una «vera metropolitana d’Italia». Abbiamo ricostruito questi passaggi del programma di Civati in un unicum, mettendo insieme – in piccola parte – i soli titoli dei tanti paragrafi dello stesso.
E se Civati parla al cuore più militante, di base e di sinistra del partito, Cuperlo sta a metà, tra vertice e base, profetizzando un Pd che guidi la riscossa «civile, economica e morale del Paese» anche se per cambiare l’Italia deve necessariamente «cambiare se stesso», recuperando «la propria autonomia culturale alzando lo sguardo sul mondo» ma trovando anche il modo «di stare tra le donne e gli uomini» e scegliendo «a chi vuole dare voce e potere». Ma la piattaforma Cuperlo, pur invitando «a costruire il cambiamento» si propone per contrasto e differenza da Renzi. Negando l’uno definisce se stesso, come quando fa cenno alla «proposta del sindaco d’Italia», lanciata dal primo cittadino di Firenze, che nell’analisi di Cuperlo finisce per inserirsi «nel solco di quel presidenzialismo che non è la risposta ai problemi dell’Italia». Un contrappunto continuo, financo ossessivo. Del resto gli sfidanti sono loro. Gli altri partecipano.
Cuperlo propone un «nuovo patto per l’Italia» che investa «sulla democrazia e sulle persone» al fine di creare benessere e occupazione con al centro «de suo modello di sviluppo la cultura e la creatività», riqualificando la spesa e non riducendola, sapendo che allo stato attuale la pressione fiscale «è al limite massimo e il carico fiscale va redistribuito», investendo sull’istruzione «colonna vertebrale della nazione». Infine il Pd. Ma quale Pd? Un partito che pensi «in grande», progetti il futuro al di là delle contingenze, senza procedere a piccoli passi ma sfoderando un’«energia rivoluzionaria per cambiare il corso delle cose», per tornare a far politica per e con passione, in modo «intelligente, aperto, democratico» in cui l’etica «sia tutto».
Gianni Pittella punta sul «Paese da ricostruire» puntando sul «valore della creatività» con al centro la fucina e «l’officina delle città», promuovendo l’economia civile e l’uguaglianza delle capacità, introducendo il reddito minimo garantito (cedimento al grillismo?), riducendo la spaesa militare, le tasse sul lavoro e l’impresa, incentivando il turismo, i beni culturali e ambientali, «cambiando il destino al Mezzogiorno», creando «la rete delle infrastrutture». Quanto al partito, per Pittella come per i Civati e Cuperlo, l’orizzonte del Pd «può essere esclusivamente un partito legato al Partito Socialista Europeo», ritrovando la politica necessaria, «la partecipazione, ma anche il favore della delega» perché la politica è anche questo, «fiducia, decisione». Ma mettendo la parola fine al «partito fragile, grande ma dalla capacità decisionale minima».
Dunque, alla fine, Renzi e la sua piattaforma programmatica. Di cui si sa già tutto e anche di più. Linguaggio, termini e visioni più immaginifiche, che non sono riusciti neppure a quel Cuperlo che nel 1997 scelse lo slogan del congresso del Pds mutuandolo da una frase del poeta Reiner Maria Rilke: «Il futuro è già in noi ancor prima che accada». Il sindaco, è vero, è forse il più immaginifico di tutti. Scrive e parla per slogan, frasi ispirate e talvolta anche fatte. Ma non è certo meno ricco di contenuti degli altri tre. O vacuo. Anzi, è quello che parla più schietto, che non si nasconde dietro al fatto che «gli iscritti al Pd sono 250 mila, ma erano ottocentomila nel 2009». Qualcosa vorrà pur dire. Con un emorragia di voti (oltre due milioni) che i 12 milioni de 2008 «sembrano il miraggio di una stagione lontana». Ma se gli italiani vogliono cambiare, più che votare Grillo che devono fare?» E Renzi insiste: «SI vince recuperando consensi in tutte le direzioni: centrodestra, Grillo, astensioni».
Sul Partito, il sindaco dice che il Pd «deve essere un luogo bello della formazione politica» ma deve anche prendere atto che è il «primo partito nel pubblico impiego e tra i pensionati, il secondo tra gli studenti, addirittura il terzo tra operai, disoccupati, professionisti, imprenditori». «Vogliamo essere il primo partito in tutte queste categorie (…) ma dobbiamo avere il coraggio di dire che, a parte il pubblico impiego, noi non riusciamo a incrociare le preferenze di chi lavora e nemmeno di chi sognerebbe un lavoro come i nostri concittadini disoccupati». Il Pd? Deve essere un partito «di amministratori, di circoli, di parlamentari», la sua vera base costitutiva, le sue tre anime. Che ha a cuore ed è «custode del bipolarismo» ed è capace di comunicare con trasparenza per essere in grado di cambiare l’Italia.
Se le prime tre piattaforme, hanno basi e ispirazioni più comuni, quella di Renzi è un po’ più fuori dal coro. Diverse sono le ricette. Non tanto l’idea della rottamazione, ma l’assunzione di responsabilità, il prendere in mano le sorti del cambiamento in modo più deciso e meno rituale. Cambiare si deve. Quello di Renzi è un documento contro i miti, i riti e i tanti totem&tabù di freudiana memoria della sinistra italiana. Partito dei diritti al pari dei doveri. Territorio e Sud come risorsa e opportunità sono linguaggio comune ai quattro documenti. Renzi non difetta. Pure il Terzo settore, che per ciascuno dei quattro sfidanti deve diventare settore primario, se non “il primo”, come dichiara apertamente il sindaco. Anche l’orizzonte europeo e gli Stati Uniti del vecchio continente non differenzia i quattro, se si escludono le famiglie politiche europee, nella fattispecie il rapporto con il Pse chiamato in causa da Cuperlo ma non da Renzi. Poi c’è il 3% del Pil, soglia «anacronistica» per Renzi e da poter superare, ma non per Cuperlo che auspica il mantenimento al di sotto di quella percentuale. E poi c’è il governo, Cuperlo parla di sostegno «con lealtà e autonomia a Letta», Renzi non cita una sola volta il presidente del Consiglio.
Tra meno di dieci giorni, la parola e il responso della sfida al “popolo delle primarie”.
Si rilegga i documenti, è meglio.