Sono tempi difficili per i leader di Washington e Mosca. Gli Stati Uniti sono alle prese con l’impeachment del presidente Donald Trump, mentre la Russia fa i conti con gli strascichi delle proteste di quest’estate contro il presidente Vladimir Putin.
A seguito della decisione della Commissione elettorale di Mosca di escludere i candidati di opposizione al consiglio cittadino dalle elezioni locali dell’8 settembre, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a protestare; poche settimane dopo, altrettante sono ritornate in strada per chiedere il rilascio dei manifestanti arrestati e denunciare la repressione subita.
Il Cremlino ha cercato di contenere le proteste, ha schierato la guardia nazionale – un corpo di polizia che risponde solo al presidente, che Putin aveva creato nel 2016 proprio per situazioni come questa – che ha risposto in maniera violenta con centinaia di arresti. Per questo motivo, molti osservatori interpretano queste proteste come un attacco ciclico all’establishment, esattamente come le manifestazioni di massa contro Putin nel 2011/12, inevitabilmente destinate a essere soffocate.
I risultati delle scorse elezioni, tuttavia, indicano che non si è trattato di molto rumore per nulla, anzi le proteste hanno avuto un certo impatto sulle geometrie del potere locale. Sebbene i candidati del partito del presidente, Russia Unita, si siano assicurati abbastanza facilmente tutti i posti di governatore regionale, la strategia dello “SmartVote” sostenuta dall’attivista anti-corruzione Alexey Navalny si è rivelata piuttosto efficace: poiché molti candidati di opposizione erano stati già esclusi dalla competizione elettorale (a causa della suddetta decisione del comitato elettorale), Navalny ha esortato gli elettori russi a votare per il candidato con le migliori possibilità di battere quello di Russia Unita (per ogni regione la squadra di Navalny ha provveduto a informare gli elettori identificando e analizzando le possibilità di vittoria di questi candidati). Di conseguenza, Russia Unita ha perso un terzo dei seggi nel parlamento di Mosca, è stata sconfitta a Khabarovsk e ha perso la maggioranza a Irkutsk.
Non si tratta di un cambiamento radicale, ma senz’altro le recenti elezioni hanno scardinato la convinzione – sbagliata – dell’opinione pubblica internazionale che vede i russi compiacenti con lo status quo che assicura ordine e stabilità. Se questo poteva essere valido quando la memoria dei “torbidi” anni ’90 era ancora fresca, queste proteste hanno dimostrato che non è più così.
Dallo scoppio della crisi in Ucraina e il conseguente peggioramento delle relazioni tra la Russia e l’Occidente, Mosca ha condotto una politica economica piuttosto difensiva per evitare di collassare sotto la pressione del conflitto in Ucraina orientale e in Siria, ma soprattutto per opporre resistenza alle sanzioni di Unione europea e Stati Uniti (insieme a Norvegia, Canada e Australia). In questo frangente sono però emersi diversi elementi di dissenso legati al peggioramento delle disuguaglianze sociali (la Russia si posiziona quasi sullo stesso livello degli Stati Uniti circa la distribuzione della ricchezza nel paese), la riforma delle pensioni che ha incrementato di cinque anni l’età pensionabile, il problema dei rifiuti che diventa sempre piú urgente perché associato alle sfide poste dall’inquinamento e dal cambiamento climatico (incendi in Siberia) che continuano a mobilitare molte persone. Se questi sono i segnali piú visibili di molte proteste scoppiate in Russia e sul continente europeo negli ultimi anni, gli stessi sono sintomi di motivazioni piú profonde che segnalano un crescente distacco tra il popolo e i suoi rappresentanti, le cui scelte tecnocratiche hanno ignorato importanti componenti politiche e sociali.
In cerca di un’alternativa
In questo quadro, i dati del Levada Center potrebbero sorprendere dato che certificano il tasso di popolarità di Vladimir Putin a un piuttosto alto 67%. Tuttavia è interessante notare come sebbene solo il 27% degli intervistati abbia ritenuto che il presidente avesse affrontato correttamente i problemi del paese, mentre molti hanno ammesso di non avere in mente alternative (43%) per il 2024.
Ed è esattamente questo il problema. La mancanza di alternative al governo del presidente è indicativo della caratteristica principale del sistema costruito da Putin in vent’anni di potere, in cui ha ingaggiato diversi gruppi di interesse assicurandosi la loro lealtà con la promessa di benefici economici e politici, facendo ben attenzione a tenerli ben divisi l’uno dall’altro in un astuto esercizio di divide et impera. In assenza di un sistema che possa assicurare non solo elezioni libere ed eque, ma anche l’applicazione imparziale delle regole dello stato di diritto, la successione di Putin è destinata a tradursi in una lotta tra i vari clan del Cremlino e di conseguenza a generare un caos politico.
Intanto, mentre il presidente è intento a elaborare stratagemmi per mantenere il controllo sul paese dopo il 2024, una nuova generazione sta gradualmente prendendo il posto della vecchia guardia degli uomini fedeli a Putin, e con essa emergono nuovi interessi. Tuttavia, affinché la transizione proceda senza intoppi, il presidente russo dovrà inventarsi un sistema per evitare che le élite rivali minaccino l’autorità del suo futuro ed eventuale successore.
Sembrerebbe un arido gioco di potere dove le elezioni non contino affatto, ma non è cosí. Se è difficile immaginare un Navalny trionfare contro un protetto di Putin alle elezioni del 2024, non è impossibile pensare a sempre piú giovani che chiedono di avere voce in capitolo nella politica del proprio paese, pronti anche al caos politico pur di ottenerla.
Foto: K. Kudryavtsev / AFP