E’ un singolare duello a distanza quello che ingaggiano i due fratelli Calasso – il maggiore di età, Gian Pietro, cineasta e saggista, e il più giovane, Roberto, anima dell’Adelphi – su un tema che con evidenza ha avvinto entrambi, ma in modo opposto: il tema, davvero poco scontato, è la teoria del comico e del riso elaborata da Charles Baudelaire.
L’articolo di Gian Pietro Calasso (PDF)
Roberto Calasso è il primo scrittore di lingua non francese ad aver vinto il Prix Chateaubriand, grazie alla traduzione del suo saggio La folie Baudelaire pubblicata nell’anno appena chiuso da Gallimard. E’ lo studio, uscito per i tipi della sua Adelphi in Italia nel 2008, in cui si segue la straordinaria moderna scia che l’autore dei Fiori del male ha lasciato dietro di sé, quell’onda, dice Calasso, “che attraversa tutto il secolo XIX e si infrange all’inizio del secolo XX, con la Recherche di Proust”. Ed è in occasione della consegna del premio, il 12 dicembre scorso a Parigi all’Institut de France, che Calasso ha tenuto una “lectio” in cui ha per l’appunto affrontato il soggetto (il testo della lectio).
In origine c’è l’articolo che Baudelaire pubblicò nel 1855 su una rivista, Le portefeuille, col titolo Dell’essenza del riso. E’ il testo in cui il poeta elabora la teoria della “superiorità” – il riso è suscitato dal sentimento di superiorità che qualcosa induce in noi – e individua due forme di comico, il significativo e l’assoluto, il primo che deriva dal sentimento di superiorità dell’uomo sull’uomo, il secondo da quello che l’uomo esercita nei confronti della natura. Da lì la catalogazione dei maestri del comico, da Molière a Rabelais agli assai meno ovvii Bruegel il vecchio e Goya.
Nella sua “lectio” Roberto Calasso ha tracciato il posto che Baudelaire occupa in quella “saga familiare” (o più freudianamente, ha aggiunto, “romanzo familiare”) che, ha spiegato, da un trentennio lui stesso va scrivendo, di saggio in saggio, in un suo percorso che accomuna i miti vedici e Kafka, Kafka al “dandy” Chateubriand e questi all’autore delle “Fleurs du mal”…
Ed eccolo addentrarsi nel testo “De l’essence du rire”. “’Il Saggio non ride se non tremando’:questa massima ominosa, riconducibile a Bossuet, accoglie il lettore sulla soglia del saggio” ricorda. E continua: “Un avvertimento solenne che serve a far capire che il tema del comico è quanto di più grave ed elusivo il pensiero possa affrontare. Osservazione puntuale: da Aristotele a Freud, a Bergson, a Ferenczi, non si può certo dire che il comico sia stato illuminato in modo soddisfacente dal pensiero”. Per poi aggiungere: “E neppure il saggio di Baudelaire ci riesce” . E tuttavia “Sull’essenza del riso” resta per Roberto Calasso “uno dei saggi” di Baudelaire “più importanti e lungamente elaborati”, che Baudelaire stesso “definiva una sua «ossessione»”.
Coincidenza o altro? Vent’anni fa Calasso senior, Gian Pietro, aveva pubblicato con La Nuova Italia Ipotesi sulla natura del comico, un testo dove una dozzina di pagine analizzano proprio lo scritto baudelairiano. E lì Calasso senior lo bocciava come “inattendibile e fuorviante”, “non credibile” e di una “ambiguità inaccettabile”.
C’è qualche concreto “romanzo familiare” dietro questo duello a distanza su un saggio uscito 157 anni fa? Gian Pietro Calasso, cui chiediamo se prima di pubblicare con La Nuova Italia abbia mai sottoposto al fratello editore il proprio scritto, glissa: “Sono passati vent’anni. Può darsi che gli abbia chiesto di pubblicarlo, ma non ricordo con certezza.”. Quanto a Roberto Calasso – interpelliamo anche lui – derubrica la faccenda a pura “casualità”. Qui, le pagine del saggio di Calasso senior, in cui ci siamo imbattute. Come, nelle righe precedenti, il link alle pagine del Corriere della sera che il 12 dicembre scorso hanno riprodotto la “lectio” di Calasso junior. Perché i lettori si facciano un’idea propria. Liberi di supporre che una piccola “saga familiare”, tutto sommato, si annidi – ma sì – dietro questa tenzone baudelairiana.