Il Pd ha avuto finalmente le primarie, dimostrandosi, come si dice, contendibile. Bene che sia accaduto, ma insisto sul «finalmente» perché questa gara aperta per la guida del centrosinistra (partito e/o coalizione, la questione è ancora aperta, perché c’è l’incognita della legge elettorale) avviene con un colpevolissimo ritardo. Se vogliamo risalire al 2005, dopo i primi esperimenti a livello regionale, Prodi fu votato alle primarie come candidato premier dell’Ulivo, con investitura plebiscitaria, ma quella era un’altra storia. Non era ancora il Pd, che nacque solo nell’ottobre del 2007 con l’intenzione di diventare il contenitore unico del centrosinistra, e con un progetto, una intenzione di governo. All’interno del Pd confliggevano due diverse visioni: una, quella di Veltroni, immaginava la possibilità di dar vita a una forza che conquistasse da sola i consensi sufficienti per governare, l’altra, quella di D’Alema, continuava a credere che il centrosinistra si potesse realizzare solo attraverso una coalizione con forze centriste (in un quadro proporzionalista).
Bersani era già un politico adulto e avrebbe potuto affrontare quelle primarie, dal momento che sosteneva la seconda prospettiva. Non lo fece. E poi se ne pentì. Veltroni fu prima investito plebiscitariamente, anche lui come Prodi, ma poi non ebbe l’appoggio dei sostenitori della visione alternativa alla sua. E lui stesso non perseguì con coerenza il progetto, come poi gli fu rimproverato (soprattutto, e con molti argomenti, da Parisi). Quelle primarie non furono dunque una vera contesa, soprattutto per colpa di Bersani, che non ebbe il coraggio di rompere con la logica dei «bilancini», che ben conosce per averla colpevolmente praticata (come lui stesso ha più volte ammesso).
Ora la contesa è aperta e assumerà la forma del ballottaggio. E non c’è dubbio che è non solo una gara tra due leader politici, ma anche tra quelle due visioni che non sono mai giunte al duello risolutivo, anche perché lo avevano finora deliberatamente evitato. Il merito di Renzi è quello di averlo reso inevitabile. Non si tratta solo di un conflitto di generazioni per il rinnovamento (aspetto che pure ha un notevole peso), ma di un contrasto sulla funzione da attribuire al Pd. Il sindaco di Firenze ha ripreso il progetto di Veltroni, dove Veltroni lo aveva lasciato per mancanza di determinazione. Una ragione del suo successo, che lo ha portato fin qui, a giocarsi ora la guida del centrosinistra con il segretario del Pd in carica, sta proprio nel coraggio di una sfida che finora era mancata sia da una parte che dall’altra. A ben vedere, il coraggio della sfida è il fattore di novità che Renzi ha portato in scena, ed è quel genere di qualità che finora nel campo progressista era mancato. Era mancato non tanto per individuale mancanza di coraggio, non per viltà personale insomma, ma perché le tradizioni profondamente e incorreggibilmente proporzionaliste della storia del Pci e della Dc si sono prolungate qui dalla Prima alla Seconda Repubblica. Con la conseguenza che sono prevalse nella selezione dei leader le doti del «bilancino», dell’equilibrio, della necessità di preservare un quadro di intese più larghe, di non procedere a «forzature» di maggioranza. Una via che, tra le molte conseguenze, aveva quella di attutire i contrasti, e fatalmente di aprire la via alla lottizzazione (scuola Rai), di preservare le carriere, e anche – ahinoi – di chiudere un occhio su abnormi finanziamenti e costi della politica.
La indeterminazione del centrosinistra, le sue divisioni, e soprattutto il suo attaccamento alla «guerra di posizione» (secondo la celebre distinzione gramsciana) sono caratteri di cui la destra berlusconiana si è fatta beffe, applicando la più disinvolta logica maggioritaria, giocando dal principio alla fine alla «guerra di movimento», fin dalla discesa in campo del 1994, con scorribande e attacchi del tutto disinibiti, modificando la legge elettorale a suo piacimento, disegnando leggi ad personam a cominciare dalla oscena legge Gasparri, che ci tiene tuttora fuori dai parametri europei di pluralismo.
Non stupisce che la sfida di Renzi sia stata premiata anche perché promette una rottura con queste «indulgenze» del ceto politico e mostra la possibilità di una azione politica più audace nel ridisegnare la scena: non solo minuto mantenimento. E il più importante dei cambiamenti promessi è quello di presentare alle prossime elezioni politiche un partito capace di vincere e di allargare i consensi oltre i tradizionali confini del vecchio elettorato «certo», (quello dell’eredità Pd-Ds-Margherita-Pds-Pci-Dc). Una ipotesi avvalorata dai sondaggi di D’Alimonte, di cui abbiamo già parlato. La settimana della campagna del ballottaggio sarà segnata da questi temi: un partito potenzialmente pigliatutto più disposto a sostenere un’agenda riformatrice, europea, non lontana da Monti, dalla parte di Renzi; un partito più prudente e attento alla difesa sociale, preoccupato di recuperare i voti di Vendola, anch’esso europeo, ma più vicino alla Camusso che a Monti.
L’occasione di invadere elettoralmente i territori di una destra in stato confusionale è unica e forse irripetibile per il centrosinistra italiano. Questo ballottaggio è importante e non sarà una battaglia dall’esito scontato. Se vincerà Bersani dovrà divincolarsi dal rischio di un partito inchiodato nelle vecchie trincee della storica guerra di posizione della sinistra italiana e minacciato dalle divisioni, da una parte e dall’altra. Se vincerà Renzi dovrà ricomporre le file sconcertate di un partito scosso da una sfida dirompente. Il tutto complicato da una lunga fase recessiva e da vincoli economici da far paura. Auguri.
Sonod’accordoncon la riflessione di Bosetti. Ora la sfida vera e’ la capacità di una visione riformista moderna. Questo vuol dire avere delle politiche che creano pari opportunità di partenza e che sanno connettere questo, con una politica di solidarietà . Ma a quali soggetti ci si rivolge? Spero alle donne, di ogni generazione. Poi ai giovani ragazzi, e, infine, agli studenti. Cioè ai soggetti che più hanno bisogno e aspirazione al cambiamento. In questo c’è anche il mondo del lavoro, dei lavori.