Qualche giorno fa si è svolto all’Istituto di Scienze Umane (SUM) di Napoli una interessante e riuscitissima giornata di studi seminariale sul pensiero italiano. Si è potuto così verificare non solo come ci sia una cifra che accomuna autori pur molto diversi fra loro, ma anche come il carattere della nostra filosofia sia confacente non a un’eterea postmodernità ma una idea diversa di modernità. Un’altra modernità che oggi appare molto più attrezzata per capire il mondo che non quelle “filosofie” eticiste che, come scrive Dario Gentili, “avevano salutato e accompagnato l’imporsi della globalizzazione” (cito dal bel libro Italian Theory, appena edito da Il Mulino nella collana dell’Istituto). Teorie, in primo luogo quelle di Juergen Habermas e di John Rawls, che, “nel ricondurre l’agone politico a quello etico”, intendono nientemeno che neutralizzare il costitutivo carattere conflittuale della politica. Una della parole chiave attorno a cui si può organizzare il “canone” italiano, diciamo così, è sicuramente quella di vita, che ha trovato uno dei più acuti e raffinati interpreti ultimamente in Roberto Esposito (autore fra l’altro di Bios, Einaudi 2004). Per Esposito, scrive Gentili “l’unica politica in grado di tenere insieme immanenza e conflitto è una biopolitica affermativa, cioè una politica che ha origine nella vita”. Come Esposito stesso ha più volte affermato, Benedetto Croce rientra appieno nel suddetto canone (si veda il capitolo dedicato al filosofo napoletano in Pensiero vivente, Einaudi 2010). Sarebbe tuttavia un errore pensare che il tema della vita sia emerso all’improvviso nell’ultima riflessione crociana. E che esso, così comparendo, abbia alla fine messo in crisi il sistema delle categorie e l’impianto concettuale su cui quel pensiero si era formato e sorretto. A me sembra piuttosto che le ultime riflessioni abbiano semplicemente messo in primo piano un elemento da sempre presente in Croce e che, come un fiume carsico destrutturante, ha accompagnato tutta l’evoluzione del suo pensiero. Significativo è in tal senso che il “sistema” si chiuda proprio con la parola Vita, espressa, fra l’altro, con la maiuscola. Né è assolutamente un caso che la Vita venga messa da Croce in relazione con la struttura stessa del “sistema”, cioè con le quattro “categorie”, in un rapporto assolutamente non paritetico: la Vita è ad esse superiore, è una sorta di prius che può in ogni momento metterle in crisi. Croce afferma che, se altri pensatori dopo di lui, individueranno, con più solidi e validi argomenti, altre e diverse “categorie”, essi debbano essere i benvenuti: le forme individuate ono da intendersi nulla più che come mobili e provvisori “paletti”, utili semplicemente ad orientarsi nella realtà. “E perché -scrive in quella pagina concliva- la Filosofia, non meno dell’Arte, è condizionata dalla Vita, nessun particolare sistema filosofico è definitivo, perché la Vita, essa, non è mai definitiva … In questo senso la Verità è sempre cinta di mistero, ossia è un’ascensione ad altezze sempre crescenti, che non hanno giammai il loro culmine, come non l’ha la Vita”. Particolarmente importante da considerare è poi il fatto che il termine ritorni anche nel monito goethiano che Croce fa proprio e ripete in più occasioni: “Viva chi vita crea!”. Per Croce, la vita, assunta nel suo polo positivo, è l’obiettivo a cui tende ogni vera etica. La quale proprio per questo è meramente formale e non può essere ridotta nelle formulette (a volte veri e propri “ricettari”) del pensiero astratto. Promuovere la vita, in ogni sua accezione e forma, combattendo prima di tutti in noi stessi l’immane e pur irriducibile “potenza del negativo”, è perciò l’obiettivo dell’uomo onesto e l’ideale a cui deve tendere ogni giusto sforzo. A chi promuove vita ogni errore è non solo “perdonato” ma anche trasvalutato.