La pandemia rappresenta la sfida di oggi, e del domani. Sfida per la scienza, ma anche sfida per la democrazia. Papa Francesco, dicendo che non siamo in guerra visto che siamo tutti sulla stessa barca, ha sostanzialmente detto a tutti gli umanisti: uniamoci per i difendere i diritti umani, bisogna impedire un’uscita selettiva dal dramma della pandemia. Essere tutti sulla stessa barca infatti vuol dire “tutti”, senza selezioni previe. Questo messaggio è stato chiarissimo quando ha parlato di timore di un genocidio virale: è genocidio dei dimenticati, degli anziani, dei non sufficientemente abbienti. Si prospetta dunque un’alleanza, ribadita anche nell’intervista a La Stampa: “ mi rifiuto di dividere tra credenti e non credenti. Davanti a Dio siamo tutti figli.” Siamo tutti figli, o gli ultra ottantenni lo sono di meno? O forse i nati in Paesi poveri, o ipocritamente definiti “in via di sviluppo”, lo sono di meno? Tutto questo non è scontato, le politiche selettive sono già oggi evidenti, come i tentativi di trasformare la salute in un grimaldello per giustificare sistemi totalitari. Ora che la dittatura “emergenziale” entra addirittura in Europa e attraverso l’ungherese Fidesz nel PPE il discorso non merita di essere preso tremendamente sul serio? Francesco ha chiaramente auspicato un accordo europeo, importante perché simbolo globale di solidarietà: dunque accettando di essere tutti figli di Dio accettiamo di avere tutti gli stessi diritti e quindi di doverci chiedere dove siano finiti i migranti che affollavano le strada delle nostre città. Qui, sotto casa mia, la venditrice di fazzoletti che fine ha fatto? E lì, in borgata, quel piccolo artigiano cosa farà?
L’appello globale di Francesco richiede una risposta: ci può essere una nuova alleanza in nome della fratellanza umana? Siamo capaci di accettare che questa fratellanza è intrinsecamente plurale , affratella tutte le culture e quindi tutti gli ecosistemi di cui queste culture sono espressione? Il nuovo patto che propone Francesco è la difesa del pluralismo attraverso la scelta della fratellanza umana e la cura del creato. Dunque si tratta di difendere un mondo che cesserebbe di essere tale se non si riconoscesse plurale; la difesa dell’altro e dell’altra cultura è la difesa di noi stessi. Questo mondo, nel quale il tutto non è semplice somma delle parti, ma una realtà che non esisterebbe senza la pluralità delle sue componenti, prende atto che salvare il mondo è salvare il suo pluralismo, capovolgendo la cultura della “scontro di civiltà”. Solo l’armonia tra culture ed ecosistemi sa consentire il futuro. Questo impone ai credenti, a tutti i credenti, un’importante rinuncia: chiudere la stagione nella quale si sentivano investiti del dovere di creare la società escatologica. E ai non credenti? Anche a loro impone la stessa rinuncia, in particolare a chi di loro aveva condiviso l’idea di quella fine della storia nel sistema unico neo-liberista. Ma vale per tutti i non credenti una domanda, alla quale è indispensabile rispondere per capire se si possa aderire all’alleanza proposta dal papa: “in che cosa non credete? Siete convinti che ci serva un alfabeto comune e non un unico idioma?”
Il non credente può guardare soddisfatto al passato: addio “cristianità”, addio vecchio creazionismo: su quest’ultimo punto pochi hanno dubbi anche se non sarebbe saggio rivendicare “io l’avevo detto”. Ognuno ha un letteralismo, o dogmatismo, da archiviare. Fatto sta che nel patto proposto da Francesco cristianità e creazionismo non ci sono. E’ un primo elemento di convergenza, ma più importante di tante divergenze. Se la rinuncia al regime di “cristianità” è evidente, sul versante della creazione è altrettanto evidente che l’idea stessa di evoluzionismo oggi non sia più incompatibile con la fede. Il progetto intelligente non postula forse che «alcune caratteristiche dell’universo e delle cose viventi sono spiegabili meglio attraverso una causa intelligente, [che] non attraverso un processo non pilotato come la selezione naturale”? Credere in questo è compatibile con chi dica di non credere, ma nella consapevolezza che nel 1789, stilando la carta dei diritti dell’uomo, si esordì così: “ I rappresentanti del popolo francese costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le uniche cause delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito di esporre, in una solenne dichiarazione, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro incessantemente i loro diritti e i loro doveri; affinché maggior rispetto ritraggano gli atti del Potere legislativo e quelli del Potere esecutivo dal poter essere in ogni istante paragonati con il fine di ogni istituzione politica; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per risultato il mantenimento della Costituzione e la felicità di tutti. Di conseguenza, l’Assemblea Nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere Supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino.”
Questo non credente dunque crede, sotto gli auspici dell’Essere Supremo, nei diritti dell’uomo, inalienabili e suoi propri. Dunque sin qui può aderire all’alleanza proposta da Francesco. Ciò in cui costui non è disposto a credere infatti è che qualcuno sia depositario in terra della difesa dei diritti di Dio. L’artificio nel confronto sul “fine vita”, che stranamente i credenti non definiscono mai “inizio viaggio”, sta qui: si rivendica il diritto a vedere il diritto del malato o si rivendica il diritto di Dio? Ma se in ballo ci fosse il diritto di Dio a non interrompere una cura oggi possibile a differenza di ieri ciò non vorrebbe dire che lo scientismo è la forma più alta di fede? Solo il progresso scientifico saprebbe tutelare i diritti di Dio… Dunque per procedere nel patto proposto da Papa Francesco occorre un non credente consapevole di non disporre della sua e dell’altrui vita a proprio piacimento e di un credente consapevole che bisogna trovare nel rispetto della ragionevolezza il metro misuratore delle sofferenze di ogni malato, che non deve soffrire per la gloria del soffrire, o in omaggio all’invincibilità della scienza, ma solo per l’amore che ognuno degli deve.
Dunque quello in atto è un confronto artificioso per favorire chi vuole dividere, introducendo surrettiziamente i diritti di Dio. Il vero confronto non è su un supposto fine vita, ma sull’accanimento terapeutico, che non può essere affrontato in capitoli, questo si e quello no, ma in casi, davanti alla coscienza del malato, dei suoi cari e del medico. Dunque il metodo di papa Francesco è il solo che potrebbe aiutarci a de-ideologizzare anche questa tematica e consentire al patto di superare anche questo ostacolo.
Il patto che Francesco ci offre con urgenza, fratellanza e cura dell’ambiente, richiede di credere nei diritti dell’uomo. Il non credente umanista, che sa credere nell’Essere Supremo, crederà anche in ciò che è stato dichiarato sotto gli auspici di questo Essere Supremo. E il primo diritto di ogni essere umano non è quello a vivere? Sappiamo benissimo che le diverse sensibilità sono divise dall’aborto: l’umanista credente vede il diritto del nascituro, l’umanista figlio dei Lumi quelli della madre. Bene, io credo che molti “non credenti”, che qui siamo arrivati a indicare come credenti nell’Ente Supremo, oggi possano convenire che l’aborto non è un diritto, ma un male minore. Infatti, considerarlo un diritto è umano? Per stare in questa alleanza si potrebbe dunque convenire che non l’aborto in sé ma i singoli aborti possano costituire la base di una successiva discussione. Questi casi potrebbero essere studiati come eccezioni al no dai credenti e come eccezioni al sì per gli altri. Se chi non crede non crede che l’aborto sia un diritto vuol dire che crede nella diversità tra essi.
Così si può proseguire, concedendo che ci sono diverse priorità, non diversi principi. Se il credente ha dato sovente l’impressione di essere attento alla vita del nascituro e del morente e non dell’uomo formato, il non credente non può negare di aver dato l’idea di potersi sbarazzare senza problemi del primo e del secondo. Oggi si può convenire sul primo punto se si conviene sul secondo.
E arriviamo così alla vera sostanza del patto, il diritto di ognuno a vivere secondo coscienza. Anche questa certezza oggi non divide più tutti i credenti dai non credenti. Il Concilio Vaticano II ha riconosciuto come propria del credente cattolico e della fede cattolica la libertà di coscienza, prima ritenuta il male supremo, come sancito in diverse encicliche di diversi Sommi Pontefici. E’ chiarissimo al riguardo Gregorio XVI, nel 1832, che ha scritto nell’enciclica Mirari Vos: «Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione». Più in là è stato Pio IX a ribadirlo nell’enciclica Quanta Cura; parlando proprio al riguardo della libertà di coscienza scrisse: «E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano “la libertà della perdizione” [S. August., Epist. 105, al. 166].»
Per fortuna del beato Newman, convertitosi al cattolicesimo dalla confessione anglicana, la libertà di coscienza è diventata un cardine delle fede cattolica e dello stesso dialogo interreligioso, fondato sulla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, dove si afferma: “ La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.”
Coerente con quesa scelta conciliare papa Paolo VI ha rinunciato, durante il Concilio stesso, alla tiara che dal Medioevo definiva il papa «Padre dei principi e dei re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra». Progressi paragonabili sono stati fatti da altri fedi. Lo stesso islam, con il documento sulla fratellanza del febbraio del 2019, ha riconosciuto il diritto di pari cittadinanza non solo agli altri credenti ma anche ai non credenti.
Per sposare l’alleanza proposta da Francesco, unica garanzia di pluralismo futuro, il non credente vorrà ribadire di non credere nella Chiesa quale Sposa di Cristo, avendola vista per secoli più Sposa dell’Imperatore, o sua ancella. Qui torniamo alla rinuncia, già compiuta, al dovere di edificare in terra la società escatologica. Questa pretesa totalitaria di dover imporre il bene secondo l’unico metro possibile, quello bizantino, ha portato a tante persecuzioni, ma la prima è stata quella dell’altro cristianesimo, quello orientale, perseguitato dai bizantini nell’Oriente dove si era affermato nel nome del Vangelo perduto, quello di Giacomo. Francesco però è chiaramente fuori da questa storia, rifiuta che il Dio della Chiesa cattolica pretenda di imporsi alle coscienze altrui; non è che vorrà imporsi alle altre coscienza la Dea ragione dei figli del lumi? Queste due tendenze totalitarie esistono, ma vanno combattute ciascuna a casa sua, prima che in quella altrui. E il modo migliore per farlo è combatterle insieme, uniti in questa grande alleanza pluralista. E per aderire con convinzione, e senza rinunciare alle sue convinzione profonde, i non credenti, o credenti nell’Essere Supremo, devono solo rispondere alla prima domanda delle tante domande: dove pongono l’origine dei diritti dell’uomo, cioè i principi morali dai quali derivano quei diritti? Alla fine dello storia, prima della quale ogni violazione sarebbe possibile, o all’inizio dei tempi?
Resistono delle diffidenze. Ad esempio, l’antico patto clerico-fascista ha avuto i suoi lasciti anche dopo il Concilio. E’ davvero cambiata tutta la Chiesa? Non credo, ma di certo è cambiato il potere, l’altro contraente del patto clerico-fascista. Il potere da socio-autoritario è diventato consumista. Il potere del consumo non pone limiti cristiani a se stesso. Se serve un portapillola del giorno dopo, se la richiesta sul mercato è forte, verrà prodotto e promosso, senza esitazione alcuna. Come i bouquet nunziali per gay. Dunque questa idea sociale di non credente in polemica con la Chiesa per il suo appiattimento su un ordine clerico-fascista è legata al passato. Davanti al nuovo potere chi crede nell’Essere Supremo sotto i cui auspici è stata firmata la dichiarazione del 1789 come farà a difendere i suoi principi se non respingendo, oggi, la soluzione selettiva alla crisi del coronavirus? O forse il non credente preferisce allearsi con i profeti dell’Io consumatore di ogni libertà? Il suo ordine valoriale è la cancellazione di ogni valore?
In assenza di un proprio rappresentante il pensiero dei non credenti non può essere espresso, rappresentato, riassunto da un pensiero ufficiale. Ma la domanda “in che cosa crede il non credente” rimane. Il figlio cedi Lumi si sente complementare alla società del libero consumo? Quindi il clerico-fascismo è stato sostituito dal laico-fascismo? La fede del non credente rifiuta ogni altra fede, come Pio IX rifiuta la libertà di coscienza? Tutto l’universo del non credente si risolve nell’illusione di essere libero? Libero di drogarsi, di guadagnare, di licenziare, di sottrarre, di godere, di evadere? Ma questa è la dichiarazione dei diritti di alcuni, non dei diritti dell’uomo. L’alleanza proposta da Francesco può salvare il pluralismo nel mondo e del mondo se i non credenti vi aderiranno compiendo il loro scisma da chi crede nella libertà di pochi e non dei diritti di tutti. Il patto offerto Francesco è lì, come la mano tesa. Chi è pronto a stringerla? Il tempo corre, converrebbe affrettarsi.