Nel pieno dell’epidemia, le televisioni, pubbliche e private, sono lasciate libere di decidere non solo il loro palinsesto ma anche e soprattutto l’informazione – sia pure, quanto alla Rai, con rischieramenti stabiliti comunque al suo interno. Eppure la televisione è assurta oggi a primo mezzo di conoscenza e di informazione, dotato di un potere di condizionamento maggiore e tale dunque da non poter essere usato arbitrariamente con le conseguenze cui assistiamo di notizie confuse e contraddittorie, ma innanzitutto di opinioni che tendono a diventare proposte e che ad ogni modo si convertono in forme di consenso popolare e in strumenti di manipolazione della coscienza collettiva.
Una trasmissione condotta mercoledì 18 marzo (il giorno del massimo numero di morti) da Barbara Palombelli su Retequattro si è resa responsabile del veicolamento di pareri che vanno contro ogni tipo di buonsenso, senso comune e orientamento di tutti i governi del mondo: a Nicola Porro (una delle fonti più allarmistiche e disforiche in Italia), ospite in streaming, è stato permesso – sostenuto dalla stessa Palombelli e in qualche modo anche da Gianni Riotta (che ha pensato bene di scappare dall’Italia e riparare negli Stati Uniti, da dove continua a parlare dell’Italia e dispensare consigli) – di sostenere due primati, quello delle libertà individuali e quello dei contraccolpi economici. Secondo l’amico di Sallusti, forse tra i pochi rimasti a condurre attacchi contro Conte e il suo governo, il coronavirus non può fermare la mobilità, costringere la gente a chiudersi in case di quaranta metri quadri e permettere che l’economia si fermi, con danni che saranno maggiori del virus. Dal canto suo la Palombelli (quella che trovava essenziale chiedere a ogni ospite quanti soli avesse in tasca nel tempo beato quando i talk riguardavano le leggi finanziarie) ha rincarato dicendo che in fondo non fa male a nessuno chi da solo si fa una passeggiata o una corsetta mattutina. L’uno e l’altra hanno ottenuto così che migliaia di persone si sono trovate d’accordo. giacché “l’ha detto la televisione”, nel perpetuare un costume che forse nemmeno un regime di coprifuoco riuscirebbe a debellare: la cocciutaggine del 40 per cento degli italiani di continuare a vivere come prima, andare a giocare la schedina, girare in macchina per trovare un bar dove leggere il giornale o riunirsi come a Catania per inneggiare contro il virus e per la libertà di circolazione. Comportamenti scellerati, ma legittimati da gente come Porro e Palombelli. Il primo, dopo aver battuto il virus con la tachipirina, pensa al dopo e alle macerie che l’Italia troverà. La seconda si erge a paladina di un modello di vita borghese che è il suo e al quale non intende rinunciare. Né l’uno né l’altra hanno capito quel che sta succedendo e il peggio è che viene loro consentito di sostenere ragioni che possono apparire sostenibili se non fossero pericolose alla salute pubblica.
E’ vero che l’economia – non italiana, ma mondiale – subirà un durissimo colpo ma questa oggi è una preoccupazione e non ancora un’emergenza. L’emergenza è quella di impedire che il virus ci uccida. Non si può fare come i capponi di Renzo che si beccano quando sono destinati ad avere tirato il collo né come naufraghi che sperano di approdare in un posto dove ci sia l’acqua calda. È altrettanto giusto non privare i cittadini della loro libertà di movimento e assecondare le loro abitudini quotidiane, ma qualcuno dovrebbe chiedere alla Palombelli se nell’Italia del 1944, bombardata dagli Alleati, anziché sopravvivere il pensiero della gente fosse di uscire a fare footing o il fatto di vivere in quaranta metri quadri. Porro ricorda un quadro celebre, Studio di antiquario di Frans Francken II, dove uomini di lusso mercanteggiano quadri in un raffinato negozio di antiquario mentre all’esterno uomini-asino stanno distruggendo il mondo e incombono su di essi. E la Palombelli evoca la regina di Francia che non capisce perché mai il popolo non mangi briosce se non trova il pane.
Nel risiko di ciò che deve stare chiuso e cos’altro aperto, il senso di responsabilità auspicato nei cittadini deve essere richiesto anche ai conduttori di trasmissioni televisive e a quanti le autorizzano. È forse il momento che le Palombelle tacciano e i Porri rientrino, perché in televisione possano apparire solo medici e scienziati, con l’aggiunta di qualche prete o di uno psicologo. Ci salviamo solo se diamo ascolto a loro e non a mestatori che risultano i veri untori.
IL SOTTOSCRITTO