THE VISIONNAIRE

Francesco Grillo

Francesco è Amministratore Delegato di Vision and Value, società di consulenza direzionale e si occupa soprattutto di valutazione di politiche pubbliche per organizzazioni internazionali. E' direttore del think tank Vision, con cui gestisce diversi progetti dedicati a "le università del futuro", "big society", "la famiglia del futuro" ed in generale all'impatto della rivoluzione delle tecnologie dell'informazione sulla società e sull'economia. In precedenza ha lavorato per la Bank of Tokyo e con McKinsey. Laureato in economia alla LUISS, ha completato un MBA alla Boston University e un PhD presso la London School of Economics con una tesi sull'efficacia della spesa pubblica in ricerca (http://www.visionwebsite.eu/vision/staff_cv.php?cv=1) . E' editorialista de Il Mattino e de Il Messaggero ed è autore di diversi libri sull'impatto di Internet sulla sanità (Il ritorno della rete, Fazi, 2003), sull'automobile (La Macchina che cambiò il Mondo, Fazi, 2005), sui media (Il Sonno della Ragione, Marsilio, 2007).

Vertice europeo sui migranti: un’idea per uscire dalla palude

migranti

Il vertice di oggi del Consiglio Europeo sui migranti, allargato eccezionalmente alla Turchia, potrebbe essere l’ultima occasione per salvare l’Unione. Purtroppo, i precedenti sono scoraggianti: più aumenta la preoccupazione, più sembra accrescersi la paralisi e i vertici sembrano, ormai, tutti destinatia “comprare, tutt’al più, tempo” in attesa che i problemi si sgonfino da soli o che venga a qualcuno un’idea.

E, tuttavia, stavolta una proposta, in teoria, ci sarebbe: considerando che la Grecia è l’epicentro di tutte e due le questioni – rifugiati ed Euro – che in questi ultimi dodici mesi hanno rischiato di uccidere l’Unione e che la Germania è in entrambi i casi il Paese che rischia di più, potremmo provare ad unirle. A risolverle entrambi con la stessa mossa. Basterebbe, del resto, applicare uno sconto di qualche punto sul debito che la Grecia ha, principalmente, nei confronti della Germania, per finanziare un’operazione che porrebbe l’Europa alla guida della più grande iniziativa umanitaria dalla fine della seconda Guerra mondiale. E che arresterebbe quei flussi senza controllo che stanno facendo spuntare, dappertutto, i muri contro i quali rischia di infrangersi un progetto nato per abbatterli.

Sarebbe destinata a disintegrarsi un’Unione Europea che dimostrasse – come sta tragicamente facendo – di poter rinunciare a uno dei propri tratti fondanti – la libera circolazione delle persone – per non saper accogliere un’ondata di migranti dolorosa ma il cui numero è, comunque, pari allo 0,2% della sua popolazione complessiva. Così come è destinata, prima a poi, al fallimento – si disse qualche mese fa – un’unione monetaria non in grado di risolvere definitivamente la crisi di uno Stato Membro importante come la Grecia, ma il cui peso è pari a circa l’1,5% sulla ricchezza complessivamente prodotta nella zona Euro.  È probabile che tra dieci anni guardando indietro, ci troveremo a dover ammettere che il più importante tentativo di costruire un’unione tra Stati senza passare per una guerra, si è sfasciato sui decimali.

Perché allora non proviamo a colpire due uccelli con la stessa pietra?

L’ipotesi potrebbe essere quella di concedere alla Grecia una riduzione di un debito che, prima o poi, tornerà a dimostrarsi impagabile; in cambio della creazione – al confine con la Turchia – di una grande infrastruttura di accoglienza per tutti i rifugiati che ne avessero davvero bisogno. I due problemi sono diversi e hanno scale non comparabili e, però, collegare i due problemi, ne aumenterebbe, di molto, la fattibilità ed il ritorno politico.

La struttura – ne parlava GideonRachman sul Financial Times qualche giorno fa – avrebbe l’obiettivo preciso di dare accoglienza ai rifugiati provenienti esclusivamente dagli Stati dai quali vengono  gran parte delle persone che hanno diritto ad asilo e andando a prendersi i rifugiati in Turchia se necessario: in fin dei conti basterebbe concentrare lo sforzo anche solo su Siria e Afghanistan per contare – secondo i numeri dell’alto commissariato per i rifugiati – più della metà delle persone che fuggono dal proprio Paese per guerra nel mondo e ciò metterebbe, davvero, l’Unione in prima linea sul fronte dell’emergenza umanitaria.

Contemporaneamente, però, andrebbe stabilita la natura temporanea dell’accoglienza perché ciò sarebbe assolutamente fondamentale per garantire il capitale umano che sarà, prima o poi, necessario per la ricostruzione dei Paesi di provenienza per i quali il conflitto non deve assolutamente diventare permanente: la necessità di finanziare l’operazione umanitaria diventerebbe, anzi, il più potente incentivo per l’Europa a cercare con i propri partner una soluzione dei conflitti.  Andrebbe, inoltre, chiarito che ulteriori viaggi attraverso le frontiere sono un’assoluta eccezione aperta solo a chi ha familiari in altri Stati dell’Unione: in questa maniera, i migranti che attraversano il mare per ragioni economiche, verrebbero scoraggiati perché l’accoglienza temporanea in un Paese che ha tassi di disoccupazione del 25%, poco avrebbe a che fare con la possibilità di trovare un lavoro.

 

Molto più mirato e meno invasivo diventerebbe, a quel punto, l’accordo con la Turchia che è, comunque, un partner più problematico di quanto non lo sia uno Stato membro come la Grecia: non ci sarebbe più da costruire città ai confini con la Siria, come qualche giorno fa suggeriva Erdogan, ma più semplicemente chiedere la collaborazione per identificare i rifugiati e smantellare il traffico di esseri umani. Che perderebbe buona parte del suo potenziale commerciale, un po’ come succede con i pezzi di economia sommersa quando se ne rende conveniente l’emersione.

I protagonisti del vertice di Lunedì ne avrebbero tutti un beneficio. Alexis Tsipras trasformerebbe in una risorsa, il fatto di essere l’epicentro di entrambe le crisi che stanno affondando l’Europa. La cancellieraMerkel uscirebbe dall’angolo con un risultato politicamente molto più spendibile sul fronte interno, di quanto possa pesare uno sconto sul debito della Grecia. I nazionalisti si ritroverebbero senza l’ossigeno politico che ne ha alimento l’ascesa. Lo stesso governo italiano avrebbe l’occasione di portare su un piano strategico diverso, la richiesta – che oggi appare marginale – di una flessibilità sul deficit per far fronte al costo di essere frontiera dell’Europa.

E, tuttavia, l’Europa ha un problema con soluzioni che appaiono razionali. Esse richiedono che l’Europastessa passi sul cadavere del suo peggior nemico: l’inerzia. Che riesca a trovare in modo per sfuggire alla sindrome della negoziazione permanente che la fa – sempre – arrivare in ritardo. Avere la Grecia come prima sperimentazione di una vera frontiera e, persino, di un’esperienza di politica estera comune comporta qualche investimento – francamente non imponente – ed alcune modifiche regolamentari – a partire da una revisione degli accordi di Dublino – che però sono indispensabili per salvare Schengen.

Cambiamenti assolutamente fattibili e che, tuttavia, diventano automaticamente difficilissimi per quest’Europa. Lacerata dalla contraddizione di dover, da una parte, fronteggiare problemi drammatici che vengono dilatati a dismisura dalla televisione; e dall’altra, da una paralisi che non può che continuare a produrre topolini. Servirebbe pragmatismo per trovare soluzioni in tempi brevi. E una visione che abbiamo perso per l’incapacità di prenderci dei rischi. È questo il vero fantasma che dovrebbe agitare i sonni di una generazione cresciuta abbattendo muri.

Articolo pubblicato su Il Messaggero ed Il Gazzettino del 7 Marzo

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