Editoriale da santalessandro.org
Settimanale on line della Diocesi di Bergamo
Sabato 17 settembre 2022
Giovanni Cominelli
Verso le elezioni. I cattolici, il discernimento e lo slancio profetico. Uno sguardo al futuro
Questo giornale ha pubblicato ieri, sotto la Rubrica “Società”, un testo firmato da una cinquantina di esponenti del cattolicesimo politico, tra cui anche nomi del cattolicesimo bergamasco. Intitolato “Spunti per un discernimento politico”, esso intende accompagnare criticamente la campagna elettorale in corso.
In effetti, la campagna elettorale in corso ne ha bisogno, tutta orientata dalle logiche del mercato del consenso. Così, si limita a parlare di ciò che può portare voti e non di ciò che potrebbe farne perdere.
“Spunti” si richiama, viceversa, a quella originale “istanza profetica”, che il pensiero dei cattolici dovrebbe sempre rendere visibile come dono di fede e come capacità di giudizio “sullo stato di cose presente”, soprattutto quando esso è drammatico.
Opportunamente il testo si tiene alla larga dalla discussione, che ormai ritualmente si apre ad ogni vigilia elettorale, sulla significanza/insignificanza della presenza cattolica nella politica. Tra impotente nostalgia di un’egemonia perduta e insignificanza reale, esiste una terza via: quella di “farsi presenza” nel giudizio e nelle battaglie che ne conseguono. Ed è ciò che “gli Spunti” tentano di fare.
Condividendo la maggior parte dei punti proposti all’attenzione, mi limito qui a qualche notazione perplessa o decisamente critica su qualcuno di essi.
La questione pace/guerra è tornata drammaticamente in primo piano, perché la guerra, dopo aver girovagato sanguinosamente per il mondo, dal 1945, è tornata in Europa.
Condividendo totalmente l’affermazione del testo: “Le alleanze politico-militari, nel nostro caso la Nato, non ci devono impedire di fare valere il nostro punto di vista (trattandosi appunto di alleanze). Nel quadro di un Occidente di cui riconosciamo i valori, ma che non possiamo intendere come un blocco contrapposto al resto dell’umanità in sviluppo, il nostro ruolo è costruire un autonomo protagonismo dell’Europa, i cui interessi e i cui valori non sempre né necessariamente coincidono con quelli degli Usa”… Certo, ma qual è esattamente ”il nostro punto di vista”, se proprio in questi giorni a Samarcanda, sotto la regia di Xi Jin Ping, si sta proponendo un nuovo ordine globale a egemonia autocratica? E’ vero o no che si profila un confronto globale tra autocrazie e democrazie? E’ l’Occidente che si contrappone al resto dell’umanità o sono le potenze autocratiche e le dittature che tentano di costruire una nuova cortina – di seta? – dentro cui rinchiudere l’Occidente? Intanto, l’ONU uscita dalla Seconda guerra mondiale è in agonia. L’Europa dei Trattati del 1957 – il prodotto migliore del pensiero cattolico europeo – è oggi inadeguata. Senza l’aiuto USA e GB l’Ucraina sarebbe in ginocchio da mesi di fronte a Putin. Occorre un’Europa federale, titolare di tre politiche fondamentali: moneta, politica estera, difesa. Tutto ciò oggi passa per la costruzione di un Esercito europeo e per il sentiero stretto di una sconfitta militare russa in Ucraina. Senza questi passaggi, “l’autonomia europea dagli Usa, il superamento della guerra, il disarmo e la smilitarizzazione, la comprensione internazionale, il contrasto alla produzione e al commercio delle armi” restano pii desideri.
Ed eccoci allo stato della democrazia in Italia. Il testo denuncia la degenerazione oligarchica dei partiti e la crescita dell’astensionismo. Contemporaneamente, però, si schiera a difesa intransigente non solo della prima parte della Costituzione – quella dei valori – come è giusto fare, ma anche della seconda parte – quella delle istituzioni – dentro la quale il sistema dei partiti è la forza dominante, legibus soluta. Alla tavola delle istituzioni, il sistema dei partiti è l’autentico convitato di pietra. Tale collocazione non è dovuta a fatali degenerazioni antropologiche o morali, è la logica conseguenza di un assetto istituzionale, che assegna di fatto ai partiti, senza dirlo neppure in una riga, il potere assoluto. Se la denuncia dell’oligarchia partitica non vuole ridursi a pura indignazione morale, confinando pericolosamente con il populismo, dovrebbe prevedere una redistribuzione dei poteri tra partiti e i cittadini, cioè riforme costituzionali. Significa riconoscere ai cittadini il diritto di scegliere direttamente – in modi da decidere – il proprio rappresentante e il Capo dello stato o di governo. “Verticalizzazione del potere” in arrivo? La verticalizzazione partitica non è già oggi la trave nell’occhio? Come può continuare a sfuggire che ad un governo debole corrisponde il corporativismo forte di mille centri di contro-potere, che paralizzano il Paese? La crisi del sistema politico, costruito dentro il quadro della Seconda parte della Costituzione, è ormai sotto gli occhi. Continueremo a difendere quella parte? Nessuna proposta di cambiamento?
E che dire del rifiuto dell’”autonomia differenziata” delle Regioni, con la motivazione che essa concorrerebbe a dilatare “il divario economico-sociale tra nord e sud del paese”. Ma questo divario non si è forse allargato dal 1861 e poi dal 1948 ad oggi, sotto la cappa del più rigido centralismo burocratico statale? Perché non fare un bilancio del regionalismo debole degli ultimi 52 anni, che quel divario non ha sanato, ma semplicemente riprodotto ed aggravato, e perché non proporre un dimezzamento del numero delle Regioni, l’abolizione delle Regioni a statuto speciale, la responsabilizzazione fiscale di ciascuna e, si intende, un meccanismo di solidarietà reciproca? Appena al di là delle Alpi, tanto il modello svizzero quanto quello tedesco praticano molto di più che la semplice “autonomia differenziata”. Si chiama federalismo, che, ben lungi dal dividere i Paesi, li tiene uniti. D’altronde, è irrimediabilmente contraddittorio rivendicare la sussidiarietà socio-orizzontale e opporsi a quella verticale-istituzionale. Se lo Stato resta centralistico, restano solo miseri spazi anche per la sussidiarietà orizzontale.
L’impressione generale è che in questi “Spunti” la dimensione profetica sia piuttosto debole. In parte, certamente ciò è dovuto al genere letterario di questi testi, obbligati necessariamente a fare “brevi cenni sull’universo”. Ma, per altra parte, pare essere l’effetto di un’intelligenza pigra, timorosa, conservatrice rispetto alle cose nuove che stanno accadendo. Che cos’è, infatti il “giudizio profetico”? E’ la pratica della parresia, è la sfida ai luoghi comuni pigri e conservatori, è l’idea/utopia di cambiare lo stato di cose presente, è l’audacia intellettuale. E’ la sintesi tra i valori a priori estratti dal Vangelo e dalla Tradizione e i dati a posteriori estratti dalla realtà dall’intelligenza discernente. Se questa discerne poco e male, se è tranquillamente conservatrice, se nel giudizio manca questo pezzo a-posteriori, l’apriori valoriale si riduce a moralismo rituale. Di profetico non resta nulla, solo la difesa dello status quo, molto democratico-cristiana.