Nel pieno dell’estate, sopraffatto dalla canicola, il giornalista Marco D’Eramo ha scritto e pubblicato su “Il Manifesto” (19 agosto) un lungo articolo contro il pensiero e l’opera di Benedetto Croce. L’argomentazione intendeva rispondere ad una domanda ben precisa: perché, per quale arcano “mistero”, Croce sia stato considerato un filosofo importante e nemmeno oggi sia passato nel dimenticatoio. Cosa, quest’ultima, che, secondo D’Eramo, sarebbe buona e giusta, considerato che, sempre a suo dire, trattasi di un pensatore di poco o nullo spessore. Devo dire che, nel leggere l’articolo, pur essendo “crociano”, diciamo così, non me la sono presa più di tanto con l’autore. Né con il giornale che ha ospitato l’intervento. Non solo per la palese e disarmante ignoranza che D’Eramo mostra sul pensiero di un filosofo di cui probabilmente non ha letto che poche righe. Quanto, piuttosto, perché, in modo paradossale e forse persino esilarante, D’Eramo finisce per fare un gran servigio a Croce stesso, soffermandosi, seppur sbalordito, sulla vasta e varia, e a suo dire incomprensibile, fortuna del suo pensiero. Come può non venirgli il dubbio, mentre elenca i “successi” non solo italiani della sua “bestia nera”, che, fra tanti e illustri apologeti chiamati a giudizio, nel torto sia lui, D’Eramo, e non loro? Misteri del caldo agostano! Il primo a sbagliarsi sul conto di Croce fu, secondo D’Eramo, Gramsci. Il quale, poverino!, lo fraintese a tal punto da considerarlo un “papa laico”. Queste le parole che scrisse nei Quaderni: “Si potrebbe dire che il Croce è l’ultimo uomo del Rinascimento e che esprime esigenze e rapporti internazionali e cosmopoliti … Il Croce è riuscito a ricreare nella sua personalità e nella sua posizione di leader mondiale della cultura quella funzione di intellettuale cosmopolita che è stata svolta quasi collegialmente dagli intellettuali italiani dal Medio Evo alla fine del ’600. … La funzione del Croce si potrebbe paragonare a quella del papa cattolico e bisogna dire che il Croce, nell’ambito del suo influsso, ha saputo condursi più abilmente del papa: nel suo concetto d’intellettuale, del resto, c’è qualcosa di ‘cattolico e clericale’”. In altro luogo, il fondatore de “L’Unità” aveva anche scritto che Croce “rappresenta il momento mondiale odierno della filosofia classica tedesca”. Implacabile seppur basito, D’Eramo osserva poi: “E ancora Gramsci ricorda che l’operetta poi diffusa come Aestetica in nuce era in origine la voce “Estetica” affidatagli dall’ Enciclopedia Britannica nell’edizione del 1928 cui contribuirono, tra gli altri, Henri Bergson, Niels Bohr, Albert Einstein; e che il Breviario d’estetica era una serie di lezioni commissionategli nel 1912 da un’università americana, il Rice Institute di Houston,Texas”. Per non parlare delle traduzioni di quel breviario e delle altre sue opere in uno svariato numero di lingue. O della presenza di libri di e su di lui in svariate e importanti biblioteche nel mondo: “Il catalogo dell’Università di Berkeley in California –ci fa sapere D’Eramo- enumera 951 volumi riferiti a Croce” (e allora?). L’elenco potrebbe continuare con altri esempi, ancora più importanti, che D’Eramo non fa o non conosce. Uno fra tutti: al nostro sicuramente è sfuggita la lettera che Max Horkheimer, sì proprio il Padre della sociologia francofortese, scrisse alla vedova Croce dopo la morte del filosofo (ma non aveva Croce in odio la sociologia?): http://www.ernestopaolozzi.it/dettaglio.php?id=1192. Ma tant’è e tanto basti. Il “mistero” Croce c’è ed è, per D’Eramo, sempre più fitto e complicato da diradare. Per fortuna tuttavia, nel suddetto articolo, il nostro ci ha messo sulle tracce della soluzione del dilemma. Ma di esse, di grazia, parlerò nel prossimo post.
CROCE E DELIZIE