Il caldo delle giornate estive – e quest’anno non scherza – produce una specie di vuoto mentale che è in fondo la sensazione più seducente delle vacanze o delle ferie; anche se cerchi di pensare alle cose che stai facendo, i pensieri vagano perché intanto tutto si può rimandare, dal momento che le ore sembrano uguali tra loro – notte compresa – e perdono quella specificità che ritroveranno solo in autunno. La rete poi è complice della situazione: si cerca un libro, una notizia, un’informazione e ci si trova in luoghi dove mai si pensava di arrivare, ci si sofferma su questioni che mai avevano sfiorato la nostra curiosità.
E poi quanti anniversari ci si riversano addosso a partire dalla rete, dalle date di Wikipedia, dai siti dedicati alla storia, dalle parole di una canzone che finalmente sappiamo in quale anno fosse stata pubblicata. Volevo trovare notizie sul Tour de France, di cui non mi sono perso una tappa, per le immagini meravigliose proposte dall’elicottero, di boschi, paesi, cattedrali, dighe, mare, ma rotolo per la rete senza apparente direzione.
Ed ecco che improvvisamente si rivela la ricorrenza; come una pietra che rotola, like a rolling stone. Sono passati 50 anni da quando Bob Dylan cantò per la prima volta quella che è stata definita una delle più belle canzoni del secolo scorso – insieme a Imagine di John Lennon, naturalmente – e che segnò la famosa svolta nella sua carriera, dal folk di protesta al rock accompagnato dalla chitarra elettrica. Proprio nel luglio del 1965 Dylan comparve al Newport Folk Festival non più con l’aria del menestrello dei valori democratici popolari, non più come colui che pone domande la cui risposta is blowing in the wind, ma con la giacca di pelle e gli occhiali neri. I presenti ebbero la forte impressione di un tradimento e fischiarono quello che vissero come un abbandono dei valori tradizionali per arrendersi alla logica del capitalismo.
Come ci si sente / Come ci si sente / Senza una casa / Come una completa sconosciuta / Come una pietra che rotola? (Like a rolling stone).
Noi, adolescenti europei, eravamo come al solito in ritardo di mezzo giro e dovevamo ancora fare la prima parte del percorso; escludendo gli appassionati di musica rock, gli altri si resero conto solo anni dopo di quanto era successo al di là dell’oceano, in un posto di nome Newport. E neppure si interrogarono più di tanto, quando ne vennero a sapere, su chi fosse quella donna che un giorno vestiva bene, rideva di quanti le dicevano di stare attenta perché un giorno sarebbe potuta cadere, frequentava le scuole più prestigiose, anche se forse cercava solo di ubriacarsi, che ora invece è rimasta senza niente da perdere, senza casa, persino senza segreti. Ancora oggi – 50 anni dopo – si discute sulla rete di chi fosse la Miss Lonely, di cui si parla nella canzone e del possibile significato di molte delle metafore che rimangono del tutto misteriose.
Eppure nel corso di questo mezzo secolo – insieme a the answer, my friend, is blowing in the wind – ha continuato a frullare per la testa quell’altro verso, in cui – senza casa e ormai completamente sconosciuta – la protagonista della canzone viene paragonata a una pietra che rotola. Talvolta perché le vicende della vita facevano sentire una sensazione di spaesamento, di mancanza di orientamento che sembrava quella di una pietra che rotola; altre volte perché troppe regole, troppi sentieri già tracciati, troppe ripetizioni di atteggiamenti e di cose faceva sognare quanto sarebbe stato bello sentirsi liberi e senza percorsi obbligati come una pietra che rotola.
E Dylan insegnò anche quante contraddizioni, benedette contraddizioni, si incontrino nella vita, come sia possibile che chi canta la speranza di trovare le risposte perdute nel vento oppure la disperazione di quanti cadono dalla loro posizione di privilegio possa divenire idolo di quella stessa società di cui celebra l’ipocrisia o il cinismo. Forse perché, malgrado la speranza in regole capaci di dare senso oppure la disperazione per la mancanza di regole capaci di dare senso, alla fine ci rendiamo conto di muoverci nel mondo like a rolling stone.
L'ASINO DI BURIDANO