Certo, è una bella soddisfazione vedere la copertina e il lungo articolo di apertura dell’ultimo numero del “Times Literary Suplement” dedicato a Bernard Williams. E lo è perché è come se il prestigioso settimanale non solo consacrasse ufficialmente un importante pensatore a dieci anni esatti dalla morte, ma anche confermasse una sensazione che recentemente ho avuto e che credo sia più che una suggestione personale: che forse l’ora di un’adeguata presenza pubblica per un tipo diverso di filosofare, rispetto a quello che è diventato col tempo il “canone anglosassone” dominante, sia finalmente giunta. Nel recensire il ponderoso volume che raccoglie gli scritti “di occasione” pubblicati da Williams su vari giornali (Essays and reviews.1959-2002, Princeton University Press), Joel Isaac, storico delle dottrine politiche a Cambridge, scrive che egli “è stato uno dei grandi intellettuali del suo tempo, ma che la sua influenza pubblica fu minore di quanto egli sperava” (Dreams of Bernard Williams, TLS, May 16 2014 No. 5798, pp. 3-5). Non poteva essere altrimenti, credo. Williams era un realista politico in un tempo in cui dominava nella riflessione il “moralismo” (come li stesso chiamava il cosiddetto “normativismo”); fu fautore di una “svolta storicistica” quando tutti erano neopositivisti, scientifici, o comunque aderenti ad una qualche metafisica; fu critico e oppositore di entrambe le tradizioni dominanti nell’ambito della teoria politica anglosassone, l’utilitarismo e il contrattualismo. Williams non era del tutto isolato, in verità, vuoi perché ricoprì ruoli accademici e pubblici importanti, vuoi perché si occupò molto dei temi più in voga a metà del secolo scorso: la morale e la politica, soprattutto: ad esempio i problemi connessi alla giustizia, alla democrazia, all’uguaglianza. Temi di cui, qui in Italia, continuiamo a mio avviso troppo ad occuparci perché, orfani come siamo di ideologie forti, chiediamo alla filosofia di darci quello che essa non può darci: rassicurazioni, tranquillità, persino una guida all’azione o le regole di un’ “etica pubblica” (sic!). Williams si occupava di tutte queste cose, ma per smontarle e metterle in crisi più che altro: per mostrare soprattutto come la politica non potesse essere letta in un’ottica morale e nemmeno teorica. Lo faceva con la immensa cultura che aveva, con il carisma della personalità, con un metodo avvincente: all’inizio, quando affrontava un tema e un autore, te lo illustrava e spiegava, e sembrava quasi che aderisse alle sue tesi. Subito dopo, però, implacabile, smontava una per una tutte le sue idee. E anche molte delle convinzioni accettate. Non è un caso che il suo autore di riferimento fosse Nietzsche: quello della Genealogia della morale, l’inesorabile chimico delle passioni e dei sentimenti considerati “alti” e “nobili”, ma in verità riducibili ai più semplici elementi “umani, troppo umani”. Altro autore che Williams aveva eletto a maestro era Robin George Collingwood, a cui dedicò anche un importante saggio: il suo contestualismo storicistico, la “logica della domanda e risposta”, non poteva non essergli congeniale. D’altronde, la formazione umanistica o classica di Williams non poteva non ricondursi, in qualche modo, a quella scuola storica e idealistica che aveva dominato in Gran Bretagna fra Otto e Novecento, giungendo fino alle riflessioni di Arnold Toynbee e Collingwood stesso. Williams è poi istruttivo anche per un altro motivo: era un laburista e dimostrava a tutti che, per essere socialista o “di sinistra”, non c’era necessità di ancorarsi ad una “filosofia politica”. Dimostrava, detto altrimenti, che una cosa è la politica; altra cosa è la filosofia (di cui, secondo lui, si può fare storia sia da un punto di vista filosofico in senso stretto sia dal punto di vista più generale della “storia delle idee”). Williams dimostrava, in altre parole ancora, che la filosofia non è né “di destra” e “né di sinistra”. A rigore di logica, come diceva giustamente un altro grande inglese del secolo scorso, Michail Oakeschott, la “filosofia politica” è un errore, non esiste.
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