Una manifestazione bella quanto quella di Parigi. Quella che avevamo voluto subito dopo la sparatoria del Bardo.
Importantissima dal punto di vista del messaggio politico.
Per dire che la guerra contro l’orrore comincia a Tunisi. Che non aspettiamo di essere colpiti in casa per reagire in maniera difensiva e senza idee.
Che comincia dall’altra parte del Mediterraneo, quella che – trent’anni fa – avrebbe dovuto essere – soprattutto nell’interesse dell’Italia – futuro allargamento dell’Europa prima di scomparire dall’agenda dell’Europa in espansione (giustamente) verso l’Est.
Che la guerra non è tra noi e l’Islam ma tra chi ha il coraggio di difendere i valori sulla base di quali sono costruiti le civiltà e chi con viltà spara a gente inerme nei musei e nelle redazioni dei giornali.
Per stabilire che non è vero che la primavera araba sia stata un errore e che si stava meglio quando si stava peggio (con i dittatori). Che non ha senso parlare di “sicurezza nazionale” se non ci accorgiamo di cosa ci succede attorno.
Per questi motivi la manifestazione di Tunisi è stato un tributo alle vittime del Bardo significativo quanto lo è stato quello alla memoria delle vittieme di Charlie: ci ricorda che Tunisi è vicina quanto Parigi a Roma. Forse, persino un centinaio di chilometri di meno.
La real politik – quella cinica che ha dominato gli ultimi vent’anni di nulla – si è mostrata molto meno pragmatica di una visione nella quale i problemi, semplicemente, si anticipano prima che ci caschino in testa.