Sono passati trent’anni dal 1989, ma molti ricorderanno le feste, la gioia, e non solo di Berlino. La caduta, rovinosa, di quel muro consentiva a tutti di essere felici non solo per la fine di un sistema politico insopportabile, ma anche perché senza più quel muro davanti si poteva finalmente immaginare. Immaginare la vita, immaginare la libertà, immaginare la felicità. Perché quel muro significava illiberalità, vivere senza vita, infelici. Quel muro aveva diviso una città, e i suoi cittadini, per ventotto anni… Basta consultare la popolare Wikipedia per trovare spiegata bene e semplicemente la ragione che aveva indotto nell’estate del ‘61 le autorità della Repubblica Democratica Tedesca a edificarlo: “impedire la libera circolazione delle persone”. Stiamo parlando di un evento epocale, di cui parla tutto il mondo da allora: la caduta del muro di Berlino. Sono passati appena trent’anni e il capo dell’ “altro mondo”, il mondo libero, il mondo che si opponeva all’ “impero del male” lascia il suo paese con gli uffici governativi chiusi per estendere l’edificazione del muro lungo il confine tra il suo Paese e il Messico. E’ pronto a dichiarare lo stato d’emergenza per ottenere i fondi che gli servono. Ma intanto è andato in loco, e ha twittato una foto del muro che è già stato costruito durante la sua presidenza in aggiunta a quanto già c’era. Il suo progetto è dunque di edificare un muro di 3mila chilometri, quanti sono quelli lungo i quali corre il confine. Nel suo messaggio su twitter Potus, cioè il President of the United States, scrive: “ le false che i media seguitano a divulgare dicono che noi non abbiamo costruito nessun nuovo muro.” La fotografia del nuovo muro, metallico, è davvero impressionante, un muro lunghissimo, che lui descrive così: “include sistemi anti-arrampicamento, molto alto, forte e bello!” Non è un tentativo di arrampicarsi su quel muro dire che il motivo per cui viene costruito è lo stesso che Wikipedia indica come motivo del muro di Berlino: “ impedire la libera circolazione delle persone”. Oggi tutto deve circolare liberamente tranne gli umani. Ma non è questo che ha richiamato l’attenzione del direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, che sempre su Twitter ha scritto: “Va bene qualunque cosa (si fa per dire) ma come fa Donald Trump a definire un muro così “bello”? Qual è il canone di questa bellezza che devasta la nostra immaginazione?” Proviamo a ripercorrere i trent’anni a cui ci riferiamo. Trent’anni fa la caduta del muro di Berlino faceva festeggiare in piazza, felici, con il violoncello di Rostropovic, che ha reso indimenticabile la serata berlinese, fredda e ventosa, dell’11 novembre 1989. Non c’era bisogno di esoticità per immaginare anche in quel freddo, a due passi dalla porta di Brandeburgo, un mondo caldo, affascinante, finalmente bello dopo il buio di quell’orrore. E festeggiare. Oggi, trent’anni dopo, l’edificazione del muro di Trump è addirittura sconosciuta; nessuno festeggia, nessuno festeggerà. L’ideatore di questo tratto, lungo diverse miglia, deve addirittura andarci per farlo vedere in fotografia, ma nessuno gruppetto va in piazza, neanche i suoi familiari, a brindare. Il canone della bellezza che vede e rilancia Trump non si basa sulla felicità, sull’immaginazione, ma sulla paura. E la paura ognuno la vive per conto suo, a casa sua, forse felice di essersi lì rintanato, ma certamente senza alcun desiderio di uscire.
Non c’è nulla da festeggiare, ma non c’è neanche nulla da immaginare. Se ci fosse immaginazione sarebbe spaventosa: invasori, nemici, assassini, criminali, predatori. Se il mondo è questo lo si temerà, e quindi nessuno vorrà immaginarlo. Il bello di questa nuova cultura è l’isolamento, lo sbarramento (anche degli occhi), i sonar. Invece del “sogno americano” Trump sembra portare nel mondo il nuovo “incubo americano”. Quelli, da noi, che vivono, o soffiano, sull’incubo americano, prospettando di fare del Mediterraneo un muro d’acqua, potrebbero ispirarsi ai celebri dipinti sulla fuga d’Egitto. Ma lì le acque si aprivano, i perseguitati passavano. No, nessuna forma artistica verrà in soccorso ai teorici del nuovo “incubo americano”, meglio quindi rinunciare all’immaginazione…
Io però, nel mio piccolo, tengo con me un quadro di mio padre al quale tengo molto. Vi si vedono alcune donne sedute in un piccolo spazio sterrato tra le fiancate interne di palazzi che non hanno finestre e tengono in mano… degli aquiloni. Lo ha dipinto nel ‘61, l’anno del muro di Berlino.